Appalto per ristrutturazione di immobili – Ritardata riconsegna – Risarcimento
Appalto per ristrutturazione di immobili – Ritardata riconsegna – Risarcimento – Appalto lavori di ristrutturazione edificio in condominio – Consegna ritardata dei singoli immobili – Risarcimento del danno - Prova – Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza n. 1657 del 22 gennaio 2019 - a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
Fatto. Il Tribunale aveva accolto la domanda di una condomina proposta nei confronti della appaltatrice, condannando quest’ultima a consegnare gli appartamenti (che la società aveva ristrutturato, a seguito di contratto di appalto), nonché a risarcire il danno derivato da mancato godimento degli immobili, in quanto riconsegnati in ritardo rispetto a quanto pattuito contrattualmente ed aveva, altresì, accolto la domanda della società appaltatrice al pagamento della somma dovuta quale residuo prezzo non ancora corrisposto per lavori svolti extra capitolato.
La Corte d’Appello, quindi, accolta la sola impugnazione della appaltatrice, aveva rigettato la domanda di risarcimento conseguente al mancato godimento degli immobili.
Su ricorso della condomina la Suprema Corte respingeva il ricorso stesso, ritenendo che nella fattispecie non fosse applicabile il principio del risarcimento “in re ipsa” invocato dalla ricorrente, in relazione ad un principio in tema di onere della prova ritenuto corretto anche da due recenti decisioni dello stesso giudice di legittimità.
La ricorrente denunciava, in particolare, che erroneamente il giudice d’appello aveva escluso che il danno da mancato godimento degli immobili integrasse un’ipotesi di danno “in re ipsa”, in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, poiché tale danno si quantifica sulla base di presunzioni semplici, tenuto conto del danno figurativo da mancata locazione.
Decisione. La Suprema Corte ha rigettato l’impugnazione senza rinvio, non condividendo la predetta doglianza.
Rilevato preliminarmente che il problema della esistenza di un danno “in re ipsa”, basato o meno su di una presunzione “iuris et de iure” non è ancora stato risolto definitivamente dalla Cassazione (necessitando, al riguardo, a mio avviso, una decisione in merito delle sezioni unite), in quanto, a fronte di una giurisprudenza prevalente tesa a riconoscere l’esistenza di detto danno in caso di occupazione illegittima di un immobile, causata automaticamente dalla perdita della disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità da essa ricavabile in rapporto alla sua natura fruttifera, per cui la prova del danno, viene a costituire oggetto di una presunzione “iuristantum” (ovvero suscettibile di prova contraria), talchè lo stesso può essere liquidato dal giudice in base a presunzioni semplici con riferimento al danno figurativo e cioè al valore locativo dell’immobile (così Cass. n. 16670/2016; conf. 20823/2015; 11992/2014; 9137/2013 ed altre precedenti, ove si era precisato, tuttavia, che non di danno “in re ipsa” si tratta, ma di danno-conseguenza, che va provato dal danneggiato, il quale può pur sempre avvalersi di presunzioni), ha evidenziato che esistono in tema altre motivazioni differenti.
Si è affermato, in particolare, con tesi molto più restrittiva, che nella fattispecie non può parlarsi di danno “in re ipsa”, poiché ciò comporterebbe un’identificazione tra danno ed evento dannoso, contrastante con l’insegnamento delle sezioni unite secondo il quale ciò che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che va allegato e provato dal danneggiato (così Cass. n. 16601/2017), mentre, successivamente, ed ancor più di recente, si è affermato che il danno da occupazione illegittima può essere provato effettivamente con presunzioni semplici, pur precisandosi che “un alleggerimento dell’onere probatorio non può includere anche l’esonero dell’allegazioni dei fatti che debbono essere accertati, relativi all’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto” (Cass. n. 13071/2018).
Sul medesimo orientamento si è espresso il giudice della sentenza esaminata, esprimendo il seguente principio “Nella fattispecie esaminata non esiste una presunzione che, per le sue caratteristiche di assolutezza, integri una presunzione iuris et de iure, come affermato dal giudice d’appello, ma piuttosto si è in presenza di una presunzione semplice, che non trova conforto nella normativa applicabile. In particolare, il ricorrente, non ha allegato (presumibilmente perché convinto dell’esistenza di una presunzione assoluta non suscettibile di prova contraria), neppure in cosa sia consistito, nello specifico, il danno da mancato uso, cioè che abbia di fatto tentato vanamente di sfruttare economicamente gli immobili”.
Pur in attesa di una decisione definitiva delle sezioni unite sulla questione, ci sembra di poter condividere queste due ultime sentenze della Suprema Corte in tema, perché giuridicamente più corrette ed aderenti alla normativa in vigore e, in ogni caso logicamente motivate.