Stupefacenti - vendita al dettaglio dei prodotti derivati
stupefacenti - in genere - legge n. 242 del 2016 - liceità della coltivazione della cannabis sativa l. - conseguenze - vendita al dettaglio dei prodotti derivati - applicabilità del d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 - esclusione - fattispecie. Corte di Cassazione, sesta sezione Sentenza n. 4920 ud. 29/11/2018 - deposito del 31/01/2019, commento a cura dell’Avv. Marta Cigna.
Fatto. Il Tribunale rigettava istanza di riesame proposta avverso provvedimento di sequestro preventivo di infiorescenze di cannabis messe in commercio. Il Tribunale aveva ritenuto sussistente il fumus in relazione al reato di cui all’art. 73 comma 4 d.p.r. 309/1990 escludendo che potesse trovare applicazione la legge 242/2016 intitolata “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” poiché circoscritta alla regolamentazione esclusivamente delle coltivazioni di canapa non rientranti nell’ambito di applicazione del dpr 309/1990 e alle condotte dell’agricoltore.
Veniva dunque proposto ricorso dinanzi alla Suprema Corte.
Decisione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso e annullato l’ordinanza impugnata disponendo la restituzione del materiale sequestrato ritenendo che, quando le infiorescenze sequestrate provengono da coltivazioni lecite ex lege n. 242/2016, non solo per l’agricoltore, ma anche per il commerciante, è esclusa la responsabilità penale nel caso di sequestri ( e distruzioni) dei prodotti a causa del superamento del limite dello 0,6%; è, pertanto ammissibile solo un sequestro in via amministrativa con modalità di prelevamento conformi a quelle indicate dall’art. 4 comma 3 L. n. 242/2016. Diversamente sarebbe se si provasse che il commerciante fosse consapevole (a fortiori, artefice) di trattamenti del prodotto successivi all’acquisto dal coltivatore volti a incrementare il contenuto di THC.
La Suprema Corte giunge a tale conclusione dopo aver analizzato e messo a confronto, da un lato, il d.p.r. 309/1990 “Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stadi di tossicodipendenza” e, dall’altro, la legge 242 del 2016 contenente “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”. Quest’ultima si pone l’obiettivo, argomenta la Suprema Corte, di promuovere e diffondere nel sistema produttivo italiano l’uso della canapa, in particolare della canapa sativa, e far ripartire la filiera nazionale della canapa. Per evitare, tuttavia, che siano erogati aiuti a favore di colture illecite, la legge 242/2016 prevede un doppio limite: il superamento della percentuale del limite dello 0,2% di THC comporta la perdita dei benefici economici, ma fino al limite dello 0,6% di THC la sostanza non è considerata dalla legge come produttiva di effetti stupefacenti giuridicamente rilevanti ed è, pertanto, lecita.
Inoltre, ai sensi dell’art. 4 comma VII della l. 242/2016, se a seguito di un accertamento, risulti che il contenuto di THC nella coltivazione è superiore allo 0,6 per cento, viene disposto il sequestro e la distruzione delle coltivazioni, restando esclusa, però, la responsabilità dell’agricoltore.
La Suprema Corte ritiene di non condividere la tesi in base alla quale la liceità della cannabis debba essere circoscritta alla coltivazione e secondo cui la presenza di principio attivo tra lo 0,2 e lo 0,6 % sarebbe consentita solo al coltivatore e non anche a chi commercia i prodotti derivati dalla cannabis. In questo senso si partirebbe dalla inesatta considerazione della L. 242/2016 come norma eccezionale e, quindi, non estensibile analogicamente alle altre condotte disciplinate dal d.p.r. 309/’90, come la vendita e la detenzione per fini commerciali.
Al contrario, la Suprema Corte afferma che, in ossequio ai principi generali del nostro ordinamento, sono le norme incriminatrici a rappresentare tassative eccezioni rispetto alla generale libertà di azione delle persone. La legge 242/2016, invece, ridimensiona la portata applicativa di una precedente norma incriminatrice, quale il d.p.r. 309/’90, e, lungi dall’essere considerata come norma eccezionale di ristretta applicazione, rappresenta una riespansione delle libertà individuali ed è, quindi, ben suscettibile di essere estesa analogicamente.
Pertanto, non solo la coltivazione, ma anche la commercializzazione di un bene che non presenti intrinseche caratteristiche di illiceità, deve ritenersi consentita.
In conclusione, è sempre possibile, secondo la Suprema Corte, sul piano del diritto amministrativo il prelievo di campioni (per non compromettere le esigenze del venditore) delle infiorescenze per verificare il tasso di THC. Non può, invece, essere legittimo il sequestro preventivo delle infiorescenze di provenienza lecita che si discosti dalle modalità di cui all’art. 4 comma 3 della l. 242/2016 al fine di effettuare successive analisi se non è supportato da altri elementi di valutazione che rendano ragionevole dubitare della veridicità dei dati offerti e lascino ipotizzare la sussistenza di un reato ex art. 73 comma 4, d.p.r. 309 1990.