decorrenza del termine “lungo” di impugnazione ex art. 327 c.p.c.
Impugnazioni – Termine “lungo” ex art. 327 c.p.c. – Decorrenza dalla pubblicazione della sentenza cartacea – Irrilevanza della comunicazione via PEC. Corte di Cassazione, sez. Lav, ordinanza n. 9029 dell’1 aprile 2019, commento a cura della Dott.ssa Ilaria Gonnellini.
Fatto. La MM s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Cagliari, Sez. distaccata di Sassari, ha dichiarato antisindacale la condotta tenuta dalla predetta società in occasione dello sciopero proclamato nel gennaio 2011 dall’O.S. XXX e, per l’effetto, ha annullato le sanzioni disciplinari irrogate ai lavoratori indicati nel ricorso ex art. 28 Stat. Lav.
Ha resistito con controricorso l’O.S. XXX eccependo, in via preliminare, la tardività del ricorso ex art. 327 c.p.c. perché notificato in data 13 gennaio 2017, oltre il termine di sei mesi previsto dalla citata norma decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza avvenuta mediante deposito in cancelleria in data 11 luglio 2016; per contro, la MM s.p.a. ha dedotto che, essendo la sentenza stata comunicata dalla cancelleria via PEC in data 14 luglio 2016 ai sensi dell’art. 133 c.p.c., ai fini della decorrenza del termine per impugnare occorreva avere riguardo a tale adempimento, donde la tempestività e l’ammissibilità del ricorso.
Decisione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stante la tardività del gravame notificato oltre il compimento del termine di decadenza di sei mesi decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza, avvenuta con il deposito nella cancelleria del giudice a quo.
La sentenza gravata, invero, è stata redatta in formato cartaceo e, ai fini della decorrenza del termine “lungo” di impugnazione previsto dall’art. 327 c.p.c., occorre avere riguardo soltanto all’attestazione dell’avvenuto deposito apposta dal funzionario in calce al provvedimento, a nulla rilevando la diversa data della successiva comunicazione via PEC alle parti – a differenza di quanto avviene per le sentenze redatte in formato elettronico, in cui è solo con la trasmissione per via telematica mediante PEC che il procedimento decisionale si completa e si esterna e, solo dalla relativa data, il provvedimento diviene irretrattabile dal giudice che l’ha pronunciato e noto a tutti, con conseguente decorrenza del termine di sei mesi per impugnare di cui all’art. 327 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., n. 13794 del 2012).
Al di fuori di tale ipotesi, trova applicazione la regola generale della coincidenza tra il deposito e la pubblicazione della sentenza nel momento in cui avviene l’inserimento del provvedimento nell’elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti – inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione (cfr. Cass., Sez. Un. n. 18569 del 2016); in tale ambito, infatti, l’attestazione con la quale il cancelliere dà atto del deposito della sentenza costituisce atto pubblico avente efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2700 c.c. e si presume conoscibile dalla parte, seppur attraverso la necessaria intercessione del difensore.
Né la decadenza dal termine per impugnare può ritenersi incolpevole e giustificare la rimessione in termini ove si avvenuta per errore di diritto, atteso che il termine di cui all’art. 327 c.p.c. decorre a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria, degli obblighi di comunicazione alle parti, rientrando nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state poste in essere attività processuali a sua insaputa – ciò anche in considerazione del bilanciamento operato dalla citata norma tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa garantito dall’ampiezza del termine per impugnare, che costituisce corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata deve ritenersi formata indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, con la conseguenza onde lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio.