Chiamata in causa del terzo da parte dell’opposto – Reconventio reconventionis
Chiamata in causa del terzo da parte dell’opposto – Reconventio reconventionis – Nuove domande – Domande necessitate dalle difese dell’ingiunto – Comunanza di causa ex art. 106 c.p.c. – Ammissibilità – Ratio della sanzione della inammissibilità delle iniziative processuali di parte – Principi di economia e ragionevole durata dei giudizi, di conservazione degli atti e di precauzione rispetto a situazioni di conflitto tra giudicati – Cass. Civ, Sez. I, 11 aprile 2019, n. 10218, commento a cura dell’Avv. Giorgia Franco.
Fatto. La Corte di appello di Napoli, confermando la decisione di primo grado in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha dichiarato inammissibile, perché nuova, la domanda svolta dall’opposto Tizio nei confronti di alcuni funzionari e amministratori comunali, chiamati in lite quali terzi firmatari di taluni ordinativi, dopo che l'amministrazione comunale, opponendosi al titolo monitorio diretto a reclamare il pagamento di forniture da Tizio eseguite, aveva eccepito con comparsa di costituzione e risposta la propria carenza di legittimazione passiva per insussistenza di un contratto vincolante in quanto privo della forma scritta, indicando, espressamente, come responsabili, gli amministratori che le avevano personalmente commissionate.
La Corte territoriale aveva motivato nel senso che Tizio, parte convenuta nel giudizio di opposizione, non potesse introdurre domande nuove rispetto a terzi, non ricorrendo nella specie una ipotesi di cd. reconventio reconventionis, valida solo nei rapporti tra opposto e opponente.
Il ricorrente sottolinea, invece, che con la chiamata in causa dei terzi funzionari, amministratori che avevano firmato gli ordinativi di merce, in qualità di opposto, attore sostanziale, a fronte della deduzione del Comune di insussistenza tra le parti di un valido rapporto contrattuale, avrebbe proposto non una domanda nuova, ma la medesima domanda di condanna al pagamento delle medesime forniture già avanzata in fase monitoria nei confronti dell'ente territoriale, in ragione della diretta imputabilità ai primi dello stesso rapporto obbligatorio, sussistendo la comunanza di causa ex art. 106 c.p.c., e dell'esigenza di economia dei giudizi e di prevenzione dei conflitti tra giudicati.
In ogni caso, il ricorrente aggiunge che si sarebbe trattato di domanda necessitata dalle difese del Comune ingiunto che, solo con l'opposizione, aveva eccepito la propria carenza di legittimazione passiva indicando come responsabili gli amministratori che avevano personalmente commissionato le forniture di causa.
Infine, i terzi si sarebbero poi difesi nel merito senza nulla eccepire sulla novità della domanda avanzata dall'opposto e, pertanto, il profilo di inammissibilità non avrebbe potuto essere sollevato d'ufficio dal giudice, pena la violazione dell'art. 112 c.p.c.
Decisione. Le Sezioni Unite ritengono fondati i motivi di ricorso.
La giurisprudenza di legittimità, nel rimarcare che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è naturalmente preposto a dare definizione al rapporto intercorrente tra le parti del procedimento monitorio, non connette a siffatta affermazione l'inammissibilità di ogni diversa domanda introdotta nei confronti di terzi – iniziativa che sottopone, piuttosto, al rispetto delle regole di rito e delle conseguenti preclusioni valevoli per il giudizio ordinario, una volta individuata rispetto a opponente e opposto la posizione sostanziale di attore e convenuto da cui far derivare i correlati poteri processuali (Cass., 1 marzo 2007, n. 4800 e Cass., 27 giugno 2000, n. 8718).
Come noto, infatti, il giudizio introdotto dall'opposizione a decreto ingiuntivo si svolge, alla stregua dell'art. 645, comma 2, c.p.c., secondo le norme del procedimento ordinario e, essendo strutturato sulla falsariga di un giudizio impugnatorio, in esso si assiste a un’inversione dei ruoli processuali delle parti. Stante il richiamo alle norme del procedimento ordinario di cognizione, è da intendersi applicabile, pertanto, anche l'art. 183, comma 5, c.p.c., a mente del quale l'attore - ovvero, per l'inversione dei ruoli processuali che si realizza nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opposto - può, non solo proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza delle domande riconvenzionali e delle eccezioni del convenuto - in tal caso opponente -, ma anche chiamare in giudizio un terzo nei termini di cui agli artt. 106 e 269, comma 3, c.p.c. ove l'esigenza sia sorta dalle difese del convenuto.
Il giudice di appello è, dunque, incorso in una errata lettura della disposizione, ovvero dell'art. 183, comma 5, c.p.c. come richiamato dall'art. 645, comma 2, c.p.c., nella parte in cui si è limitato a riscontrare l'insussistenza dei presupposti di applicazione di quella parte del precetto che legittima l'attore alla proposizione della riconvenzionale alla riconvenzionale del convenuto – cd. “reconventio reconventionis” – , senza avvedersi che la norma abilita, altresì, l'attore a chiedere la chiamata in giudizio di terzi in quanto l'esigenza sia sorta in forza delle difese del convenuto.
La Corte rileva, inoltre, sul punto, che la chiamata in giudizio, stante, nel caso di specie, la sua consequenzialità rispetto all'eccezione sollevata dal Comune inizialmente ingiunto, resta altresì sostenuta da una comunanza di causa non revocabile in dubbio nei rapporti tra creditore e amministrazione comunale e tra creditore e singoli amministratori, in ragione della medesima causa petendi.
Inoltre, il Collegio ritiene che l’indicata esegesi sia ulteriormente sostenuta da più generali ragioni di tutela dell'economia dei giudizi e della loro ragionevole durata, nonché di conservazione degli atti e di precauzione rispetto a situazioni di conflitto tra giudicati.
Nel caso de quo, infatti, il giudice di prime cure, in applicazione del meccanismo di cui all'art. 269, comma 3, c.p.c., aveva autorizzato l'opposto – attore sostanziale – alla chiamata del terzo, tanto che era stata espletata la prova sulla relativa domanda, che solo in sentenza veniva poi dichiarata inammissibile.
A ben vedere, la declaratoria di inammissibilità di una iniziativa processuale delle parti deve rivestire i caratteri di preliminare risposta dell’autotorità giudiziaria perché essa possa assolvere al ruolo sanzionatorio riconosciutole dal sistema, ruolo che risulta invece denegato ove la prima intervenga dopo che l'attività processuale sia stata spiegata ed abbia prodotto, nel processo, i suoi effetti.
Ove, dunque, l'inammissibilità non tocchi gli snodi vitali del processo prefigurando una violazione del principio del contraddittorio – regola cardine del giusto processo –, ma valga a censurare intempestive iniziative di parte, la decisione a cui è chiamato il giudice del merito deve contemperare gli effetti della sanzionabilità della scelta processuale con quelli che si siano comunque prodotti nel processo.
In altri termini, un intempestivo rilievo di inammissibilità della domanda non deve travolgere retroattivamente un impulso processuale che, ove anche non rispettoso delle modalità previste dal sistema per darvi ingresso, abbia comunque prodotto i suoi effetti senza ledere il contraddittorio tra le parti (cfr. Cass., 20 aprile 2018, n. 9820 e Cass., 10 luglio 2014, n. 15753, allineate nell'affermata necessità che le decisioni processuali adottate dal giudice del merito in punto di inammissibilità delle iniziative di parte siano sostenute, nei loro esiti, dal non contrasto con i principi della ragionevole durata del processo, di conservazione e di economia processuale).
Quanto sostenuto è destinato, secondo la Corte, a valere ove il fisiologico percorso da cui in concreto l'atto processuale si è discostato, senza pregiudizio del principio del contraddittorio e nel rispetto del canone di proporzionalità del rimedio con riferimento al risultato da conseguire, sarebbe stato quello di determinare l'insorgenza di un separato giudizio le cui ragioni di connessione, o comunanza in genere, con il precedente avrebbero dovuto portare alla riunione postuma, rispetto all'iniziale iniziativa, delle cause.