Riparazione per ingiusta detenzione – Esclusione in presenza di comportamento gravemente colposo dell’interessato
Riparazione per ingiusta detenzione – Esclusione in presenza di comportamento gravemente colposo dell’interessato – Inammissibilità della questione attinente l’incompatibilità del giudice del merito nel differente procedimento in discorso – Valutazione della condotta dell’istante precedente alla perdita della libertà – Valutazione della condotta del “difendersi tacendo” – Ragioni di sussistenza della colpa – Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 25152 del 06/06/2019 (ud. 07/03/2019) Commento a cura dell’Avv. Marco Grilli
Fatto. La Corte di Appello di Ancona, con il provvedimento impugnato, rigettava la domanda per la riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta in applicazione della misura della custodia cautelare subita da H.E., presentata ai sensi degli artt. 314 e ss. c.p.p..
L’istante era stato ristretto, tra detenzione inframuraria ed arresti domiciliari, per 1 anno ed 8 mesi fino al momento in cui, in grado di appello, era stato assolto “per non aver commesso il fatto” dal reato di cui agli artt. 81, 110, 73 e 80 comma 2 D.P.R. 309/90.
L’ordinanza impugnata riteneva sussistente la colpa grave dell’istante per aver il medesimo, con il suo comportamento, contribuito all’emissione ed al mantenimento dello stato custodiale. Infatti, da un lato, lo stesso aveva avuto rilevanti contatti con i soggetti poi ritenuti responsabili della detenzione e dello spaccio dello stupefacente ed aveva fatto ripetutamente accesso al luogo in cui la detta sostanza era, infine, stata rinvenuta; dall’altro, aveva scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia e successivamente.
Il ricorso per Cassazione del difensore di H.E. si articola in tre motivi. In particolare, viene lamentata: la violazione della legge processuale in relazione all’art. 34 c.p.p. in quanto uno dei Consiglieri componenti il collegio di Corte di appello era lo stesso che si era pronunciato sull’assoluzione dell’imputato; il vizio di motivazione in ragione dell’esclusione del diritto all’indennizzo sulla base del silenzio serbato in sede di interrogatorio di convalida; la violazione di legge in relazione all’art. 314 c.p.p. per il periodo successivo al giudizio di riesame in cui la difesa aveva esposto le ragioni per le quali l’imputato aveva frequentato il luogo di deposito dello stupefacente, superando, pertanto, il silenzio dallo stesso serbato in sede di interrogatorio.
Decisione. Il ricorso viene dichiarato inammissibile nel primo motivo e rigettato nel resto.
In relazione alla partecipazione al giudizio di appello di uno dei consiglieri componenti il diverso collegio che ha rigettato la domanda di equo indennizzo, la Suprema Corte si pronuncia sotto un duplice aspetto.
In primo luogo ritiene, in quello che può essere considerato un articolato obiter dictum, che i due procedimenti sono del tutto autonomi ed indipendenti.
Pertanto, rispetto agli stessi non opera il disposto dell’art. 34 c.p.p..
Il giudizio di riparazione, infatti, non verte sulla sussistenza del reato ma sulla condotta del reo che viene valutata nella sua portata causale rispetto all’emissione ed al mantenimento della misura cautelare custodiale.
Stante l’assoluta differenza tra i due giudizi appaiono, conseguentemente, non configurabili le situazioni di incompatibilità per gli atti compiuti nel procedimento.
In secondo luogo, con motivazione che viene considerata anche assorbente di quanto già esposto, e sulla base di indicazioni unanimi e recenti della medesima Corte, si ritiene che l’inosservanza della disposizione di cui all’art. 34 c.p.p. non è deducibile come motivo di nullità in sede di gravame, ma può solo costituire ragione di ricusazione del giudice ex art. 37 comma 1 lett. A) c.p.p..
Nel caso in esame non risulta essere stata formulata alcuna istanza di ricusazione, pertanto, è impedito alla Corte di Cassazione anche l’esame dell’esposta ragione di doglianza, dovendosi dichiarare inammissibile la stessa.
Passando all’esame del secondo e del terzo motivo di ricorso, la Corte premette come il vaglio del giudice di legittimità nel caso in discorso non può che essere limitato alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche sotto l'aspetto della congruità e logicità della motivazione.
Come si è in parte già affermato sussiste una totale autonomia rispetto al giudizio penale, in quanto lo scopo del diverso procedimento in discorso è quello di valutare l'idoneità del quadro probatorio, unitamente alla condotta gravemente colposa dell’imputato, a trarre in inganno il giudice in relazione alla sussistenza dei presupposti dell'adozione di una misura cautelare.
Risulta, quindi, necessario esaminare la condotta, sia processuale che extraprocessuale, precedente la perdita della libertà personale al fine di verificare se, con valutazione ex ante, la stessa possa essere considerata tale da ingenerare la falsa apparenza dell’illecito contestato, giudicato insussistente solo all’esito del giudizio di merito.
Secondo la valutazione del Giudice di legittimità, la Corte territoriale ha proposto una motivazione esente da vizi logici ritenendo che la condotta di H.E. sia stata assolutamente sinergica all'emissione ed al mantenimento della misura.
In particolare vengono messi in luce i rapporti di frequentazione sia con le persone coinvolte nella detenzione sia del luogo di custodia dello stupefacente e, se è pur vero che la gravità della colpa non può essere fatta coincidere con la semplice frequentazione di soggetti trovati colpevoli dei reati attribuiti in concorso anche all’istante, tuttavia, quando ciò sia accompagnato dalla prova della consapevolezza dell'attività svolta, unitamente alla decisione di non allontanarsi da chi si sa svolgere attività illecite, può senz'altro essere considerata colpa grave.
Inoltre, se è vero che la scelta difensiva di avvalersi della facoltà di non rispondere costituisce l'incomprimibile esercizio di un diritto della persona sottoposta ad indagini, è anche vero che, in sede di giudizio per il riconoscimento dell'equa riparazione, una simile condotta processuale può essere valutata quale condotta causalmente collegata con il provvedimento cautelare restrittivo proprio perché oggettivamente inidonea a scalfire un quadro indiziario che ne giustifica ampiamente l'adozione.
In proposito, si osserva che la scelta di “difendersi tacendo”, al fine del riconoscimento dell'equa riparazione, va certamente valutata caso per caso e si dimostra tanto più grave quanto più essa costituisca l'unica possibilità di “ribaltare” un'apparenza investigativa, altrimenti non scalfibile in quella fase del procedimento e ciò proprio perché, valutata ex ante, contribuisce al mantenimento di una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzia nell'adozione o nel mantenimento di una misura cautelare.
A parere della Suprema Corte, il giudice territoriale ha fatto buon governo dei principi evidenziati e per tale ragione si impone il rigetto del ricorso.
La decisione integrale è consultabile al seguente indirizzo:
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20190606/snpen@s40@a2019@