successioni – prova per testimoni e per presunzioni, da parte del legittimario, della simulazione di vendita del de cuius
Successioni – Azione di riduzione – Collazione – Simulazione vendita del de cuius – Prova per testimoni e per presunzioni – Qualità di terzo del legittimario – Condizioni –. Corte di Cassazione, sez. 2, sentenza n. 12317 del 9 maggio 2019, commento a cura della Dott.ssa Ilaria Gonnellini.
Fatto. La Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Castrovillari ha ordinato la divisione dei beni ereditari del sig. X, il quale era deceduto ab intestato il 9 agosto 1983, lasciando i figli nati dal primo patrimonio A e B, il coniuge C e i figli nati dal matrimonio con questa D ed E.
A e B, in particolare, avevano richiesto che D ed E conferissero in collazione alcuni terreni loro donati dal de cuius con atto del 23 luglio 1990, nonché l’accertamento che la vendita per notaio Y del 23 settembre 1957, con la quale il de cuius aveva venduto alla C, all’epoca ancora nubile, altro appezzamento di terreno, simulava una donazione soggetta all’obbligo di collazione, da estendersi anche ai figli D ed E, ai quali la donataria aveva a sua volta donato il bene.
La Corte d’appello, dopo aver rilevato che la prima donazione era stata fatta con dispensa da collazione, per cui la liberalità non doveva costituire oggetto di conferimento e che, quanto alla vendita intercorsa fra il de cuius e il futuro coniuge C nel 1957, non avendo gli attori dedotto in giudizio la lesione della loro quota di legittima, né proposto l’azione di riduzione, non potevano giovarsi delle agevolazioni probatorie concesse al legittimario, aveva concluso che la divisione dovesse farsi solo sui beni relitti, in applicazione dell’art. 553 c.c., per quota non inferiore a quella di riserva determinata sulla base della riunione fittizia del relictum al donatum, costituito dalla donazione effettuata in vita dal de cuius in favore dei figli del secondo matrimonio con l’atto del 1990.
Contro la sentenza de qua A e B hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Decisione. La Suprema Corte ha innanzitutto rigettato i primi due motivi di ricorso concernenti, rispettivamente, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1417 c.c. e la violazione degli artt. 3 e 24 Cost..
Ragionando in termini di differenze tra azione di riduzione e collazione, la Suprema Corte ha affermato che agli effetti della prova della simulazione di atti posti in essere dal de cuius bisogna distinguere fra la situazione del legittimario che agisce a tutela della quota di riserva e quella del legittimario che propone una mera istanza di collazione: nel primo caso il legittimario ha la veste di terzo, purché, congiuntamente con la domanda di simulazione, proponga un’azione diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota a lui spettante va calcolata tenendo conto del bene stesso; nel secondo caso, invece, il legittimario agisce come successore a titolo universale del de cuius per l’acquisizione al patrimonio ereditario del bene oggetto del contratto simulato, trovandosi nella medesima posizione giuridica del dante causa ed essendo quindi soggetto ai medesimi limiti imposti ai contraenti per la prova della simulazione.
Pertanto, al fine di riconoscere al legittimario lo svincolo dalle limitazioni di prova non è sufficiente la mera allegazione della qualità di legittimario ma occorre che sia prospettata la lesione e che si agisca per la reintegrazione della porzione legittima, potendo il legittimario avere la veste di terzo ai fini della prova della dedotta simulazione solo laddove la lesione della quota di riserva assurga a causa petendi, accanto al fatto della simulazione, e condizioni l’esercizio del diritto alla reintegra.
Corretto deve ritenersi, dunque, il principio di diritto seguito dalla Corte d’appello per cui l’erede legittimario, il quale fa valere il proprio diritto alla collazione al fine della formazione della massa in funzione della divisione, agisce per l’attuazione di un diritto derivato dal defunto, soggetto a tutti i limiti da lui costituiti, fra i quali il limite della simulazione, la cui prova potrà essere data solo con i mezzi di cui disponeva il de cuius (cfr. Cass. n. 536/2018; n. 402/2007; n. 7134/2001; n. 2093/2000; n. 4024/1998).
La Suprema Corte ha invece accolto con rinvio il terzo motivo di ricorso, concernente la violazione dell’art. 1417 c.c. sotto il profilo del diritto dell’erede legittimo di provare la simulazione anche per presunzioni, in qualità di terzo, essendo ormai acquisito che la quota spettante ai legittimari nella divisione deve essere determinata con il procedimento di riunione fittizia del relictum al donatum.
Muovendo da una giurisprudenza sul punto ormai consolidata, secondo la quale l’erede legittimario che chiede la dichiarazione di simulazione di una vendita compiuta dal de cuius siccome celante una donazione, assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti – con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni – quando agisce a tutela del diritto, riconosciutogli dalla legge, all’intangibilità della quota di riserva, proponendo in concreto una domanda di riduzione, nullità o inefficacia della donazione dissimulata (cfr. ex multis Cass. n. 24134/2009), la Corte di legittimità ha abbracciato una formulazione ancora più ampia del principio in questione: il riconoscimento della qualità di terzo al legittimario alla sola condizione che l’accertamento della simulazione sia richiesto in funzione del pieno conseguimento della quota legittima, non implica necessariamente che, insieme alla domanda di simulazione, sia stata in concreto proposta una domanda di riduzione, nullità o inefficacia della donazione dissimulata, essendo a tal fine sufficiente, anche sotto il profilo dell’interesse ad agire, che la simulazione sia stata fatta valere in funzione di un effetto dipendente dalla riunione fittizia, qual è certamente quello previsto dall’art. 553 c.c.
Invero, è un dato ormai acquisito nella giurisprudenza della Suprema Corte che la riunione fittizia, in quanto diretta a ricostruire l’intero patrimonio del de cuius – che la legge considera come termine di riferimento per la determinazione della quota disponibile e di riflesso per quella delle quote di riserva – non è legata necessariamente alla proposizione dell’azione di riduzione, ponendosi come un prius indispensabile alle operazioni divisionali quando vi sia concorso di eredi legittimari.
Sulla scorta di tali principi, la Corte di Cassazione ha rilevato la contraddittorietà della sentenza d’appello che, da un lato, ha negato ai legittimari attori la veste di terzi in quanto non avevano speso la relativa qualità e, conseguentemente, l'ammissibilità della prova per presunzioni con riferimento alla simulazione relativa della vendita stipulata dal de cuius e il futuro coniuge nel 1957 mentre, dall’altro lato, ha riconosciuto che, ai fini della divisione dei beni relitti, la misura della partecipazione degli appellanti doveva essere determinata con il procedimento di riunione fittizia, in applicazione dell’art. 553 c.c.. Una volta postasi d’ufficio su questa via, la Corte d’appello non avrebbe potuto circoscrivere il donatum alle sole donazioni palesi ma avrebbe dovuto coerentemente riconoscere la facoltà dei legittimari di provare, nella veste di terzi, la simulazione relativa della vendita del 1957.
Ha dunque cassato la sentenza con rinvio, affermando il seguente principio di diritto: “Il legittimario è ammesso a provare la simulazione di una vendita fatta del de cuius nella veste di terzo per testimoni e per presunzioni, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c., a condizione che la simulazione sia fatta valere per una esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia. In questo senso il legittimario deve essere considerato terzo anche quando l’accertamento della simulazione sia preordinato solamente all’inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima, e così a determinare la eventuale riduzione delle porzioni dei coeredi concorrenti nella successione ab intestato in conformità a quanto dispone l’art. 553 c.c.”.
La sentenza integrale
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