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Indennizzo per violazione della durata ragionevole del processo – Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 10336 del 1° giugno 2020.

Danno non indennizzabile, essendosi estinto il procedimento ex art. 309 c.p.c., per conciliazione giudiziale tra le parti – Rigetto della domanda  con decreto del Tribunale, confermato in appello – Ricorso per cassazione dell’istante -Accoglimento del ricorso per cassazione – Insussistenza  del danno per disinteresse della parte a coltivare il processo ritenuta dai giudici del merito - Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza n. 10336 del 1° giugno 2020.

Fatto. Un soggetto conveniva in giudizio, ex art. 2, comma sexties lett. c) della legge n. 89/2001, il Ministero della Giustizia  per il pagamento di una somma a lui dovuta, a titolo di indennizzo per la violazione del termine di durata ragionevole del processo in cui era stato parte.

Il Tribunale adito rigettava il ricorso ritenendo l’insussistenza di un pregiudizio indennizzabile per essere stato il giudizio presupposto estinto ex art. 309 c.p.c. per intervenuta conciliazione giudiziale tra le parti. La Corte d’appello, quindi, respingeva il gravame avanzato dall’attore avverso il decreto emesso in prime cure.

Contro tale decisione veniva proposto ricorso per cassazione dallo stesso attore soccombente, il quale insisteva  per l’accoglimento della domanda risarcitoria proposta e respinta nel merito, nonostante le parti, lungi dall’essere rimaste inattive, avessero cercato e raggiunto una conciliazione giudiziale, che aveva causato la estinzione del giudizio ex art. 309 cit. (conciliazione che non rientrava nell’elenco di cui all’art. 2, comma sexties della legge n. 89/2001).

Decisione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rimettendo le parti al giudice del rinvio in diversa composizione, perché si pronunci nuovamente sulla controversia esaminata sulla base dei principi che seguono.

Si è affermato, anzitutto che, come già affermato dalla costante giurisprudenza (da ultimo cfr. Cass. n. 14386/2015), che, in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, “la dichiarazione di perenzione del giudizio non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse della parte a coltivare il processo, in quanto in tal modo verrebbe a darsi rilevo ad una circostanza sopravvenuta rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo e che, l’assunto del giudice d’appello, che appare riferirsi alla presunzione di cui all’art. 2, comma sexties della legge n. 89/2001, che ritiene l’estinzione del giudizio, anche se determinata da conciliazione giudiziale, una causa del disinteresse delle parti, risultando apodittico, ove omette di motivare in punto di permanenza dell’interesse delle parti ad una pronuncia giudiziale sul loro contrasto, fino al momento in cui esse si risolsero a comporre la lite in via transattiva”, rilevando, altresì, che “non incide sulla vicenda la modifica apportata dalla novella relativa al citato art. 2 sexties della legge n. 89/2001cit., ove alla lett. c), che richiama l’ipotesi anche di estinzione del processo per inattività delle parti ai sensi degli artt. 306 e 307 c.p.c., circostanza che non ricorre nella specie”.