Leasing stipulato tra una s.p.a. (concedente) ed una s.r.l. (utilizzatrice), relativamente all’acquisto di un frantoio, con fideiussione a garanzia delle obbligazioni contrattuali rilasciata dal legale rappresentante della utilizzatrice –
Interruzione del pagamento dei canoni dopo un semestre da parte della utilizzatrice – Decreto ingiuntivo della concedente, intimato alla s.r.l. ed al fideiussore per il pagamento dei canoni non versati e per la restituzione del bene – Opposizione degli intimati, non essendo mai stato consegnato il frantoio, in quanto non funzionante e non conforme ai patti contrattuali, con richiesta di revoca del decreto e domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento del concedente – Rigetto dell’opposizione del Tribunale, confermata dalla Corte d’Appello - Corte di Cassazione, sez. III, ordinanza n. 24459 del 3 novembre 2020.
Ricorso per cassazione del fideiussore sulla base di due motivi - - Corte di Cassazione, sez. III., ordinanza n. 24459 del 3 novembre 2020, a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
Fatto. Una s.p.a., premesso di aver concesso in leasing un frantoio ad una s.r.l. , con fideiussione prestata dal legale rappresentante di quest’ultima alla concedente a garanzia degli obblighi assunti nei confronti della società fornitrice e rilevato che, dopo un semestre la utilizzatrice aveva interrotto il pagamento dei canoni dovuti, chiedeva ed otteneva dal Tribunale competente un decreto ingiuntivo, con il quale veniva intimato alla utilizzatrice ed al fideiussore il pagamento dei canoni non versati e la restituzione del bene.
Il giudice adito respingeva l’opposizione proposta dagli intimati (i quali affermavano che il frantoio non era mai stato sostanzialmente consegnato, tanto da essere ritirato dalla fornitura per effettuare le necessarie riparazioni), con la quale si era richiesta la revoca dell’intimazione e, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento della concedente , con condanna di questa alla restituzione dei canoni versati.
Il Tribunale adito rigettava l’opposizione e la Corte d’Appello respingeva l’impugnazione proposta dagli opponenti soccombenti, confermando il decreto opposto e rilevando, in particolare, che l’opponente aveva accettato la riconsegna del bene, previo accordo con il fornitore per l’eliminazione dei vizi, omettendo di comunicare al concedente, come previsto in contratto, i termini dell’accordo predetto e scegliendo così di assumere su di sé l’onere di pretendere dal fornitore l’eliminazione dei vizi e rinunciando in tal modo alla facoltà di porre nel nulla gli effetti di tale scelta, pretendendo addirittura la restituzione dei canoni pagati.
Gli opponenti soccombente proponevano, quindi, ricorso per cassazione avverso la sentenza confermativa d’appello, assumendo, da un lato, con il primo motivo, l’omessa o apparente motivazione su un punto decisivo della lite (relativamente alla prova dell’effettiva consegna del bene concesso in leasing), con violazione del disposto di cui all’art. 2697 c.c., considerato di non aver potuto comunicare per tempo (negli otto giorni previsti i motivi del rifiuto della consegna) e, dall’altro, l’errata disposizione sulla condanna al doppio del contributo unificato.
Decisione. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando, sul primo motivo, che le sezioni unite della Cassazione (con sentenze nn. 8053 e 8054/2014), avevano escluso il sindacato proposto sulla motivazione “ritenendo sufficiente che la stessa si attesti al minimo costituzionale, nella parte in cui prevede, in luogo del vizio di motivazione, l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, mentre il ricorrente ha lamentato in sostanza solo un’erronea valutazione in fatto della sentenza impugnata, sollecitando un controllo della ricostruzione della controversia, non consentito dall’art. 360 comma I, n. 5 c.p.c.”, aggiungendo che, sotto il profilo probatorio, la violazione dell’art. 2697 c.c. può configurarsi solo se sia stata applicata in modo erroneo la regola sull’onere della prova, mentre il ricorrente ha nuovamente richiesto un inammissibile esame nel merito” (in tal senso cfr. Cass. sez. un. n. 16598/2016). Inammissibile, infine -, ha concluso la Suprema Corte - è il motivo riguardante la debenza del raddoppio del contributo unificato, tema sul quale, per giurisprudenza consolidata (cfr., da ultimo Cass sez. un. n. 4315/2020) si è sempre affermata la giurisdizione del giudice tributario.