Negatoria servitutis –Turbative e molestie – Denuncia di occupazione illegittima parziale del fondo confinante da parte dei proprietari di quello attiguo - Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza n. 27301 del 30 novembre 2020.
Rigetto della domanda, poiché la strada confinante non era stata costruita dai convenuti, ma dal dante di causa comune delle parti, provocando l’incorporazione di una striscia di terreno degli attori - Cassazione, sez. II, ordinanza n. 27301 del 30 novembre 2020 a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma.
Fatto. La Corte d’appello rigettava l’appello proposto dagli attori soccombenti avverso la sentenza del Tribunale che aveva respinto da domanda di condanna avanzata dagli stessi di condanna dei vicini confinanti alla cessazione delle turbative consistenti nella incorporazione di una loro striscia di terreno lunga 30 metri.
I convenuti chiedevano il rigetto della domanda perché infondata ed ottenevano di poter chiamare in causa il loro dante causa (che restava contumace) a titolo di garanzia. In particolare i giudici del merito affermavano che lo smottamento del terreno di proprietà degli attori era dipeso dalla costruzione di una stradina corrente tra i fondi confinanti ad opera dell’originario proprietario chiamato in causa e non anche dalla costruzione di un muro divisorio (come sostenuto da parte attrice), precisando che i convenuti non avevano mai utilizzato la predetta stradina, né preteso di esercitare diritti reali sul fondo degli attori (non risultando, peraltro, alcuna incertezza sulla libertà di tale immobile da pesi e servitù), mentre l’erosione del terreno era stata cagionata dal concorso dei lavori di edificazione della stradina e dalla pendenza del fondo e non dalla volontà dei convenuti di adibire parte del terreno degli attori a fondo servente.
Gli stessi appellanti proponevano, quindi, ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, sulla base di tre motivi (poi trattati congiuntamente dal giudice di legittimità per la loro connessione, e ritenuti inammissibili o infondati dal medesimo), denunciando: 1) la violazione o falsa applicazione degli art. 949 e 2697 c.c. (evidenziandosi la natura reale dell’azione negatoria proposta e la conseguente legittimazione passiva dei convenuti attualmente proprietari del fondo “de quo”); 2) l’irrilevanza del fatto che i convenuti non fossero stati gli autori dell’incorporazione e 3) che i medesimi non avessero comunque preteso di esercitare diritti reali sulla cosa altrui ed, infine, che il giudicante aveva omesso di pronunciarsi sul dedotto motivo sulla natura reale della negatoria servitutis.
Decisione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso, rilevando, anzitutto che “l’azione negatoria servitutis ha come essenziale presupposto la sussistenza di altrui pretese di diritto sul bene immobile, non potendo essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non abbiano tale carattere e che, ove machi la pretesa di un diritto reale limitato sulla cosa, la domanda diretta all’eliminazione dell’attività materiale commessa dal terzo in violazione del diritto reale di parte attrice va compresa nell’azione di risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica, precisando che, mentre la negatoria servitutis implica sempre la legittimazione passiva del titolare del preteso fondo dominante, quella di risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c.,essendo un’azione personale, va proposta nei confronti dell’autore materiale dell’attività lesiva” ed aggiungeva che il giudice d’appello “con apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito e non sindacabile avanti a quello di legittimità, aveva affermato che la costruzione della stradina non era avvenuta ad opera dei convenuti, ma dal comune dante causa di entrambi i fondi, per cui la turbativa arrecata al terreno degli attori risaliva ad epoca precedente la separazione dei terreni, poiché sussisteva la stessa situazione di fatto (con la stradina già costruita), posseduta dall’unico proprietario dante causa delle parti ”. La Cassazione, infine, escludeva ogni omessa pronuncia da parte del giudice “a quo”, sia per la presenza nella sentenza delle essenziali argomentazioni rilevanti per intendere le ragioni in fatto ed in diritto della decisione, sia sul motivo inerente la natura reale della negatoria servitutis, in quanto con la sentenza impugnata, si è chiaramente disatteso la rilevanza decisiva di tale qualificazione ai fini dell’accoglimento della domanda.