Il domicilio digitale - Processo civile telematico rassegna tematica della giurisprudenza di legittimità
4. Il domicilio digitale - 4.1. L’elaborazione giurisprudenziale - 4.2. Il recepimento normativo - 4.3. Individuazione dell’indirizzo PEC rilevante ai fini del domicilio digitale - 4.3.1. Invalidità della notifica eseguita presso un indirizzo PEC diverso da quello risultante dai pubblici elenchi - 4.3.2. Comunicazioni e notificazioni a mezzo PEC al collegio difensivo ed indicazione del domiciliatario - 4.3.3. Applicazioni nel giudizio in cassazione - 4.3.4. Applicazioni in materia fallimentare. a cura di Ileana Fedele – estratto dalla Rassegna di giurisprudenza di legittimità al 31.12.2021– Pubblicato dal Massimario della Corte di Cassazione – sito web Corte di Cassazione
4. IL DOMICILIO DIGITALE.
L’adozione della PEC nel settore giustizia come mezzo di comunicazione agevole e nel contempo sicuro ed affidabile ha posto le premesse per l’introduzione - dapprima attraverso l’elaborazione giurisprudenziale dipoi con formale recepimento normativo - della nuova figura del “domicilio digitale” in ambito processuale.
4.1. L’elaborazione giurisprudenziale. Sez. U, 20 giugno 2012, n. 10143, ha elaborato, con innovativa pronuncia, il concetto del “domicilio digitale”, in tal modo reinterpretando l’obbligo di cui all’art. 82 del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, secondo cui gli avvocati — i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale sono assegnati — devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in difetto, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita. Infatti, valorizzando le norme in tema di indicazione dell’indirizzo PEC del difensore, è stato affermato il principio per cui a «partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c., apportate dall’art. 25 l. 12 novembre 2011, n. 183, esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi dell’art. 82 R.D. n. 37/1934, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall’art. 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine». Il ragionamento seguito dalla Corte muove dalla ratio dell’onere di domiciliazione di cui all’art. 82 del R.D. n. 37 del 1934 (identificata nell’agevolare e velocizzare le comunicazioni e notificazioni degli atti processuali), per poi soffermarsi sulle nuove opportunità offerte dal progresso tecnologico e sulle conseguenti modifiche intervenute anche sul corpo del codice di procedura civile, sino a ritenere che, a decorrere dal 1° febbraio 2012 (epoca di entrata in vigore delle sopra riportate modifiche degli artt. 125 e 366 c.p.c.), si venga a determinare un’irragionevolezza intrinseca (poiché l’introduzione di una modalità di notificazione estremamente agevole — quale quella a mezzo PEC — viene a soddisfare ex se l’esigenza di semplificazione, non giustificandosi più la domiciliazione ex lege in cancelleria), nonché un’ingiustificata differenziazione (perché nel giudizio in cassazione l’indicazione in ricorso dell’indirizzo PEC già vale ad escludere la domiciliazione ex lege in cancelleria, mentre ciò non varrebbe nel giudizio di merito, per il quale l’art. 125 c.p.c. prevede solo l’obbligo di indicare l’indirizzo PEC). Pertanto, in base ad un’interpretazione adeguatrice, è stato affermato che, in simmetria con l’art. 366 c.p.c. e coerentemente alla nuova formulazione dell’art. 125 c.p.c., anche ai sensi dell’art. 82 cit., all’onere dell’elezione di domicilio si affianca — a partire dal 1° febbraio 2012 — la possibilità di indicazione dell’indirizzo PEC (strumento più spedito e di maggiore garanzia per il destinatario rispetto alla notifica in cancelleria), con la conseguente preclusione della notifica in cancelleria in caso di indicazione del “domicilio digitale”.
4.2. Il recepimento normativo.
La soluzione individuata dalle Sezioni Unite — seguita e sviluppata da diverse pronunce (Sez. 6 - 2, 18 marzo 2013, n. 6752, Sez. L, 18 giugno 2014, n. 13857, Sez. 1, 27 ottobre 2015, n. 21892, Sez. 6 - 2, 14 settembre 2017, n. 21335; Sez. 2, 28 novembre 2017, n. 28374) — è stata recepita dal legislatore, che, con l’art. 52, comma 1, lett. b), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modif. in legge 11 agosto 2014, n. 114, ha introdotto l’art. 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012, cit., rubricato «Domicilio digitale», in virtù del quale, eccettuata l’ipotesi di cui all’art. 366 c.p.c., «quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’art. 6-bis d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia».
La nuova disposizione, di carattere processuale, è stata ritenuta di immediata applicazione: «In materia di notificazioni al difensore, la regola del cd. “domicilio digitale”, prevista dall’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014 (conv., con modif., dalla l. n. 114 del 2014), che impone di eseguire le notificazioni e le comunicazioni esclusivamente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, ha immediata efficacia nei giudizi in corso per gli atti compiuti successivamente alla vigenza del d.l. n. 90 del 2014, in applicazione del generale principio del “tempus regit actum”.» (Sez. 6 - 3, 14 dicembre 2017, n. 30139).
Pertanto, a seguito dell’introduzione della norma sul “domicilio digitale” — corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza — la notificazione dell’impugnazione (nella specie, l’atto di appello) va eseguita all’indirizzo PEC del difensore costituito risultante dal ReGIndE, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo, con conseguente nullità della notificazione effettuata presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra anche la circostanza che l’indirizzo PEC non sia accessibile per cause imputabili al destinatario.» (Sez. 3, 11 luglio 2017, n. 17048; conformi, Sez. 6 - 3, 14 dicembre 2017, n. 30139 ; Sez. 3, 31 maggio 2018, n. 13775; Sez. 3, 8 giugno 2018, n. 14914 ; Sez. 1, 18 gennaio 2019, n. 1411; Sez. 6 - 2, 23 maggio 2019, n. 14140 ). Identico principio è stato affermato (Sez. 3, 20 maggio 2020, n. 9238) anche nel caso di erronea indicazione dell’indirizzo PEC nell’atto da parte del procuratore iscritto ad albo extra districtum.
In questo senso, Sez. U, 28 settembre 2018, n. 23620 , ha ritenuto valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6-bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che, proprio in virtù di tale disposizione, il difensore è obbligato a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è a sua volta obbligato ad inserirlo sia nei registri INI-PEC, sia nel ReGIndE (che sono, per l’appunto, pubblici elenchi).
Occorre però precisare che, nella vigenza del testo dell’art. 125 c.p.c. anteriore alle modifiche apportate dal d.l. n. 90 del 2014 cit., ove l’indicazione della PEC non sia generale bensì limitata alle sole comunicazioni (o a anche agli avvisi) di cancelleria, permane il regime di cui all’art. 82, comma 2, del r.d. n. 37 del 1934, con conseguente notificazione presso la cancelleria del giudice adito nel caso di avvocato esercente al di fuori del distretto di appartenenza (Sez. 3, 30 settembre 2019, n. 24218 ). Tuttavia, per gli uffici di merito per i quali è divenuto operativo il regime introdotto dall’art. 51 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modif. in legge 6 agosto 2008, n. 133 (abilitativo delle notificazioni e comunicazioni telematiche), l’utilizzo della PEC non è stato ritenuto soggetto ad alcun limite; di conseguenza, in tale differente contesto è stata reputata irrilevante l’eventuale limitazione apposta dal difensore — che abbia indicato in ricorso che il proprio indirizzo PEC debba valere al solo fine di ricevere le comunicazioni di cancelleria — giacché una simile restrizione non si giustifica in un sistema proiettato verso la dematerializzazione degli atti e la informatizzazione del processo civile nella sua intera articolazione (Sez. L, 10 ottobre 2018, n. 25086).
Ciò non toglie che, ove il difensore abbia eletto il proprio domicilio presso la cancelleria del giudice adito, la notifica ad istanza di parte possa essere ritualmente effettuata presso la cancelleria, senza necessità di utilizzare l’indirizzo PEC indicato nell’atto (in tal senso, Sez. 6 - 2, 10 novembre 2015, n. 22892). Al contrario, le comunicazioni di cancelleria devono essere eseguite, per i processi cui risulta applicabile la disciplina dell’art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, cit., esclusivamente presso l’indirizzo PEC del difensore della parte, senza che rilevi l’eventuale elezione di domicilio presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salva la sola ipotesi in cui non sia possibile procedere, mediante PEC, ai sensi del comma 4 della citata norma, per causa non imputabile al destinatario, nel qual caso trova applicazione l’art. 136, comma 3, c.p.c. e può rilevare l’elezione di domicilio (Sez. 6 - 1, 15 settembre 2017, n. 21519; conforme Sez. 2, 10 maggio 2018, n. 11316 e Sez. 2, 9 agosto 2018, n. 20698, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 136, comma 3, c.p.c. e 16, comma 8, del d.l. n. 179 del 2012, «non essendo il sistema configurato dalle disposizioni, imperniato sulla imputabilità o meno della causa al destinatario, impeditivo o gravemente limitativo del diritto di difesa del medesimo destinatario.»). In senso conforme si è espressa anche Sez. 2, 28 dicembre 2018, n. 33547.
In ogni caso, è stato precisato che la notifica eseguita in cancelleria anziché all’indirizzo PEC non è inesistente ma nulla, con conseguente possibilità di applicare la sanatoria per raggiungimento dello scopo: infatti, «nonostante l’errata individuazione da parte dell’appellante delle modalità di notificazione applicabili alla fattispecie, l’avvenuta consegna dell’atto ad opera dell’ufficiale giudiziario competente in forme corrispondenti a quelle consentite da disposizioni tuttora in vigore, sia pure in via sussidiaria rispetto a quelle concretamente applicabili, assicura infatti la riconducibilità del procedimento notificatorio ad uno degli schemi astrattamente prefigurati dal legislatore; risulta pertanto giustificata l’affermazione della mera nullità della notifica e dell’intervenuta sanatoria della stessa, con efficacia retroattiva, per effetto della costituzione dell’appellato, con la conseguente esclusione dell’inammissibilità del gravame.» (Sez. 6 - 1, 15 giugno 2017, n. 14958 ).
In senso analogo, nel giudizio in cassazione, è stata respinta l’eccezione di inammissibilità del controricorso in quanto notificato presso la cancelleria anziché in via telematica all’indirizzo PEC indicato dal difensore della ricorrente, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, considerata la difesa svolta sul punto dalla parte ricorrente, escludendosi la sanzione dell’inesistenza (Sez. 2, 28 febbraio 2017, n. 5200).
In coerente linea di sviluppo con la nozione di domicilio digitale, Sez. 6 - 2, 16 aprile 2021, n. 10186 , ha ritenuto che, ai fini del termine breve di impugnazione, la notificazione della sentenza, da eseguire nei confronti del procuratore della parte ovvero della parte presso il suo procuratore — purché, in tale ultimo caso, la notifica contenga l’espressa menzione, nella relata di notificazione, del suo procuratore quale destinatario — , possa essere eseguita in via telematica presso l’indirizzo PEC del procuratore risultante dai pubblici elenchi (nella specie: INIPEC).
4.3. Individuazione dell’indirizzo PEC rilevante ai fini del domicilio digitale.
Ai fini della corretta applicazione della disciplina in tema di domicilio digitale è fondamentale l’individuazione dell’indirizzo PEC rilevante per le comunicazioni e notificazioni processuali.
4.3.1. Invalidità della notifica eseguita presso un indirizzo PEC diverso da quello risultante dai pubblici elenchi.
Sul punto, è stato affermato che «In tema di notificazione a mezzo PEC, ai sensi del combinato disposto dell’art. 149 bis c.p.c. e dell’art. 16 ter del d.l. n. 179 del 2012, introdotto dalla legge di conversione n. 221 del 2012, l’indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell ’atto è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (Reginde), unicamente quello risultante da tale registro. Ne consegue, ai sensi dell’art. 160 c.p.c., la nullità della notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario.» (Sez. 6 - 1, 11 maggio 2018, n. 11574; in senso conforme Sez. 2, 1° ottobre 2018, n. 23738 , Sez. 6 - L, 5 aprile 2019, n. 9562).
Nello stesso senso, più di recente si è espressa anche Sez. 6 - 3, 15 settembre 2021, n. 24948, che ha ritenuta nulla la notifica, effettuata ad un indirizzo PEC preso dal sito web del destinatario, diverso da quello risultante dal ReGIndE.
In particolare, con riferimento alla notificazione degli atti processuali nei confronti dell’Avvocatura di Stato, è stato chiarito che «l’uso dell’indirizzo PEC deputato alle comunicazioni istituzionali in luogo di quello destinato alle comunicazioni processuali è causa di nullità della notifica, la quale è sanata, con efficacia “ex tunc”, dall’opposizione del Ministero ex art. 5-ter della l. n. 89 del 2001, non ostando alla produzione di tale effetto l’affermazione per cui la parte pubblica non disporrebbe di altro mezzo per fare valere l’inefficacia del decreto prevista dall’art. 5, comma 2, della l. n. 89 cit., atteso che detta norma concerne la diversa e non assimilabile ipotesi della mancata notificazione.» (Sez. 2, 9 maggio 2018, n. 11154). Pertanto, in disparte — anche in tale caso — l’applicazione del principio di raggiungimento dello scopo, risulta chiaro che ai fini processuali deve essere utilizzato l’indirizzo PEC censito nel registro generale degli indirizzi di cui all’art. 7 del d.m. n. 44 del 2011 (ReGIndE) ovvero nel registro delle pp.aa. di cui all’art. 16, comma 12, del d.l. n. 179 del 2012, cit. (v., in particolare, Sez. 2, 9 aprile 2019, nn. 9914 e 9918, di rinnovazione della notifica nei confronti del Ministero intimato perché erroneamente eseguita all’indirizzo PEC “
In senso conforme, Sez. 1, 9 gennaio 2019, n. 287 , che ha escluso, nella specie, sia la sanatoria per raggiungimento dello scopo (attesa la mancata costituzione in giudizio del Ministero dell’interno) sia la rimessione in termini , non potendo integrare un’ipotesi di errore incolpevole e giustificabile la circostanza — meramente allegata — che in altri processi l’Avvocatura si fosse regolarmente costituita nonostante la notificazione eseguita presso un indirizzo diverso da quello istituito per il processo telematico.
In senso analogo, è stato escluso che la notifica effettuata sempre nei confronti dell’Avvocatura dello Stato in sede di rinnovazione utilizzando un erroneo indirizzo PEC possa giustificare un’ulteriore rinnovazione della notifica ovvero la rimessione in termini, avuto riguardo alla facile reperibilità del corretto indirizzo PEC (Sez. 6 - 1, 27 settembre 2019, n. 24110; conforme, nel senso della impossibilità di rinnovare la notifica, Sez. 2, 1° ottobre 2019, n. 24474 ).
Nella medesima linea interpretativa è stata esclusa la possibilità di attribuire rilievo al diverso indirizzo PEC indicato nell’atto processuale: «La notificazione con modalità telematica, ai sensi degli artt. 3 bis e 11 della l. n. 53 del 1994, deve essere eseguita a pena di nullità presso l’indirizzo PEC risultante dai pubblici elenchi di cui all’art. 16 ter del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, quale domicilio digitale qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’organizzazione preordinata all’effettiva difesa; ne consegue che non è idonea a determinare la decorrenza del termine breve di cui all’art. 326 c.p.c. la notificazione della sentenza effettuata ad un indirizzo di PEC diverso da quello inserito nel Reginde e comunque non risultante dai pubblici elenchi, ancorché indicato dal difensore nell’atto processuale.» (Sez. 6 - L, 25 maggio 2018, n. 13224).
In senso analogo, è stata ritenuta validamente effettuata la notifica del decreto di fissazione dell’udienza, ex art. 380-bis, comma 2, c.p.c., all’indirizzo PEC del difensore risultante dal ReGIndE, ai sensi dell’art. 136, comma 2, c.p.c. e dell’art. 16, comma 4, del d.l. n. 179 del 2012, cit., senza che possa assumere rilievo l’eventuale diverso indirizzo PEC indicato negli atti difensivi (Sez. 6 - L, 17 ottobre 2018, n. 25948). In applicazione del medesimo principio, nel cd. rito Fornero, ai fini della decorrenza del termine breve per proporre reclamo contro la sentenza che decide il ricorso in opposizione, è stata ritenuta idonea la comunicazione telematica della sentenza all’indirizzo PEC del difensore risultante da pubblici elenchi o da registri accessibili alla pubblica amministrazione, restando irrilevante l’eventuale indicazione nell’atto di un diverso indirizzo PEC (Sez. L, 4 gennaio 2019, n. 83).
Con riferimento ai casi in cui la p.a. risulti costituita in giudizio per il tramite di propri funzionari, Sez. L, 10 maggio 2021, n. 12345, ha affermato che, qualora il funzionario costituito abbia omesso di eleggere domicilio ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, devono ritenersi valide le notifiche effettuate presso la cancelleria del giudice adito, anche ai fini della decorrenza del termine breve ex art. 326 c.p.c., né rileva che il funzionario medesimo abbia effettuato l’indicazione del proprio indirizzo di posta elettronica certificata al momento della costituzione in giudizio, non trovando applicazione ai funzionari la disciplina normativa che ha introdotto l’obbligo di tale indicazione per i difensori; in applicazione del principio enunciato, nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile, per tardività, un appello depositato oltre il termine breve computato dalla notifica della sentenza in cancelleria.
D’altro canto, Sez. L, 24 maggio 2021, n. 14195 , ha escluso la possibilità di effettuare le comunicazioni al funzionario delegato invece che per via telematica agli indirizzi di posta elettronica comunicati ai sensi del comma 12 dell’art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 221 del 2012, pur nel testo ora integrato dall’art. 289, comma 1, lett. a) del d.l. n. 76 del 2020, conv., con modif., nella l. n. 120 del 2020 (su cui subito infra), dovendosi altresì escludere l’operatività della sanatoria per raggiungimento dello scopo, in quanto la necessità di interpretare restrittivamente le norme in materia di decadenza dall’impugnazione non consente di individuare il momento di decorrenza del termine breve diverso da quello che scaturisce da una comunicazione effettuata nel rispetto delle forme telematiche specificamente individuate dalla legge. In questo caso, la S.C. ha cassato la sentenza della corte d’appello che, avendo calcolato la decorrenza del termine per l’impugnazione della sentenza di primo grado conclusiva del cd. rito Fornero dalla comunicazione del provvedimento al funzionario incaricato, presso la cancelleria, aveva dichiarato inammissibile perché tardivo il reclamo ex art. 1, comma 58, della l. n. 92 del 2012, proposto dall’amministrazione soccombente, sul dichiarato presupposto che fosse pacifico che un indirizzo dell’amministrazione fosse censito nel registro di cui all’art. 16, comma 12, cit., e dunque, per quanto sopra detto, era presso lo stesso che andava fatta la comunicazione utile a fini impugnatori.
Nello stesso senso, Sez. L, 5 novembre 2021, n. 32166, ha affermato che, nel processo del lavoro, la comunicazione o notificazione, alla p.a. che si sia difesa mediante propri dipendenti, della sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, ove effettuata successivamente all’entrata in vigore dell’art. 16, comma 7, del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 221 del 2012, deve essere eseguita per via telematica all’indirizzo di posta elettronica comunicato ai sensi del comma 12 dell’art. 16 citato (nella formulazione in vigore fino al d.l. n. 76 del 2020, cit.), restando, pertanto, ammissibile la notificazione presso la cancelleria non già nel caso di mancata elezione di domicilio ex art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 (inapplicabile ai funzionari della p.a. cui sia demandata la difesa in giudizio), bensì nella sola ipotesi di impossibilità di procedere alla notifica telematica, imputabile alla p.a. medesima.
Sul piano dell’individuazione dei pubblici elenchi, va segnalata Sez. 1, 26 febbraio 2019, n. 5652, che, con innovativa pronuncia, ha ritenuto valida una notifica telematica dell’istanza di fallimento eseguita in data 16 ottobre 2013 (quanto all’aspetto del regime temporale, trattandosi di notifica eseguita in data anteriore al 15 maggio 2014, v. supra 2.1. ), affrontando espressamente la questione dell’utilizzabilità dell’indirizzo PEC tratto dal registro delle imprese in epoca anteriore alla sua formale inclusione fra i pubblici elenchi ex art. 16-ter del d.l. n. 179 del 2012, cit., per l’appunto prevista solo a decorrere dal 15 dicembre 2013. In motivazione, si afferma che «prima dell’entrata in vigore della puntualizzazione della nozione di pubblici elenchi contenuta nell’art. 16 ter d.l. n. 179 del 2012, detta nozione era indicata nella legge n. 53 del 1994 in termini più generici, ma era pur sempre vigente: semplicemente, il compito di definirne i contorni, genericamente delineati con le parole “pubblici elenchi”, era affidato all’interprete mediante l’uso degli ordinari criteri ermeneutici. Applicando tali criteri, non è contestabile che un elenco degli indirizzi pec come quello risultante dalle comunicazioni che gli imprenditori commerciali sono tenuti ad inviare al registro delle imprese, ossia a un registro tenuto da una pubblica autorità per ragioni di pubblico interesse, sia qualificabile come pubblico elenco.». In tal modo, la Corte ha mostrato di aderire ad una nozione “sostanzialistica” dei pubblici elenchi di cui all’art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 .
Sempre con riferimento al tema dell’individuazione dei pubblici elenchi ai fini delle comunicazioni e notificazioni, va evidenziato che la Corte, in diverse pronunce (ex multis Sez. 6 - 1, 9 aprile 2019, n.9893), ha reputato pienamente legittime le notifiche eseguite presso l’indirizzo PEC risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC) istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico, espressamente incluso fra i pubblici elenchi ex art. 16-ter del d.l. n. 179 del 2012. In questo senso, può ritenersi superato il tenore — contrario, nella lettera — di Sez. 3, 8 febbraio 2019, n. 3709, decisione verosimilmente da riferire, nella sua effettività, al registro degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni (IPA) — escluso dai pubblici elenchi a decorrere dal 19 agosto 2014 — piuttosto che ad INI-PEC, trattandosi di notifica eseguita nei confronti dell’Avvocatura dello Stato, i cui indirizzi PEC non sono destinati a confluire in INI- PEC.
La oggettiva idoneità del registro INI-PEC ai fini delle notificazioni processuali è stata espressamente confermata dalla ordinanza (Sez. 6 - 3, 15 novembre 2019, n. 29749 ) con cui si è proceduto di ufficio alla correzione dell’errore materiale in cui era incorsa Sez. 6 - 3, 27 settembre 2019, n. 24160, proprio nella parte in cui aveva richiamato l’isolato precedente costituito da Sez. 3, n. 3709 del 2019, dianzi citato. Infatti, la correzione è stata giustificata proprio dall’esigenza di evitare che «la pretesa inidoneità dell’efficacia di un registro rilevante ai fini delle notificazioni a mezzo PEC e, dunque, un apparente principio esegetico suscettibile di applicazione ove dovesse porsi un problema di validità di una notificazione» venga inteso come «espressione di un effettivo convincimento esegetico della Corte nei termini in cui figura letteralmente espresso», ribadendosi espressamente «il principio, enunciato dalle S.U. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “In materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del ‘domicilio digitale’, previsto dall’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv. con modif. dalla l. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6 bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia”». La questione, dunque, può dirsi definitivamente superata nel senso della riaffermata validità delle notifiche effettuate agli indirizzi PEC estratti dal registro INI-PEC.
Da segnalare, proprio in punto di individuazione dei pubblici elenchi ai fini delle comunicazioni e notificazioni, che l’art. 28 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. nella legge 11 settembre 2020, n. 120, è intervenuto sugli artt. 16, commi 12 e 13, e 16- ter, comma 1-bis, del d.l. n. 179 del 2012, cit., introducendo una nuova residuale modalità di notificazione degli atti in forma telematica nel caso in cui l’amministrazione abbia omesso di comunicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata al Ministero della giustizia ai fini dell’inserimento nel registro delle pp.aa. . Infatti, per effetto della novella, in tali ipotesi la notificazione può essere validamente eseguita anche presso l’indirizzo PEC risultante nell’Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi (c.d. “Indice PA”); con l’avvertenza che, ove in quest’ultimo elenco risultino indicati, per la stessa amministrazione, più domicili digitali, la notificazione deve essere effettuata presso quello primario indicato nella sezione ente della p.a. destinataria, secondo le previsioni delle linee guida dell’AgID (agenzia per l’Italia Digitale). Inoltre, nel caso in cui sussista l’obbligo di notificazione in relazione a specifiche materie presso organi od articolazioni delle pp.aa., la notificazione può essere eseguita all’indirizzo PEC ivi indicato in riferimento ai detti organi ed articolazioni. Infatti, è stata prevista la facoltà per le pp.aa. di comunicare al Ministero, ai fini dell’inserimento nel registro ex art. 16, comma 12, del d.l. n. 179 del 2012, cit., anche gli indirizzi PEC di propri organi o articolazioni per eseguire le notificazioni in via telematica nel caso in cui sia stabilito presso questi l’obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale, oltre che, in caso di costituzione in giudizio tramite propri dipendenti, la possibilità di comunicare ulteriori indirizzi PEC, riportati in una speciale sezione del medesimo elenco e corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui eleggono domicilio ai fini del giudizio.
In ordine all’applicazione delle nuove disposizioni, Sez. 3, 23 febbraio 2021, n. 23445, ha chiarito che, con l’introduzione di tale novella, il legislatore ha ritenuto opportuno riempire un vuoto normativo e, pertanto, in assenza di indicazioni a riguardo o di interpretazioni autentiche, la disposizione sopra richiamata non può applicarsi alle notifiche effettuate precedentemente all’entrata in vigore della stessa; con la conseguenza che la notifica presso l’indirizzo inserito nell’IndicePA, non più pubblico elenco al momento della notifica, eseguita prima dell’entrata in vigora delle nuove disposizioni, è stata dichiarata nulla.
4.3.2. Comunicazioni e notificazioni a mezzo PEC al collegio difensivo ed indicazione del domiciliatario.
In applicazione dei principi consolidati in tema di imputabilità al destinatario della saturazione della casella PEC (v. supra § 3.2.) e ritualità della comunicazione/notifica eseguita presso uno solo degli avvocati del collegio difensivo (v., ex multis, Sez. U, 9 giugno 2014, n. 12924), Sez. L, 20 maggio 2019, n. 13532, ha affermato che «Il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale dovuto alla saturazione della capienza della casella PEC del destinatario è evento imputabile a quest’ultimo; di conseguenza, è legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, come modificato dall’art. 47 del d.l. n. 90 del 2014, conv. in l. n. 114 del 2014, senza che, nell’ipotesi in cui il destinatario della comunicazione sia costituito nel giudizio con due procuratori, la cancelleria abbia l’onere, una volta non andato a buon fine il primo tentativo di comunicazione, di tentare l’invio del provvedimento all’altro procuratore.». Pertanto, nel caso di collegio difensivo la cancelleria può legittimamente eseguire la comunicazione telematica nei confronti di uno solo dei difensori e, se la trasmissione non va a buon fine per causa imputabile al destinatario, non è utilmente invocabile il diritto ad ottenere una nuova comunicazione ad altro avvocato del collegio difensivo ovvero una remissione in termini (salvo, ovviamente, che non ne ricorrano le condizioni per circostanze diverse da quelle già valutate come imputabili al difensore destinatario della comunicazione).
Va, tuttavia, rilevato che, nell’ipotesi in cui nell’atto sia stato specificato di voler ricevere le comunicazioni esclusivamente presso l’indirizzo PEC di uno dei difensori di fiducia, la medesima Sezione L, con precedente pronuncia (Sez. L, 31 gennaio 2019, n. 2942), ha ritenuto invalida la comunicazione effettuata solo all’indirizzo PEC dell’altro difensore, e, dunque, ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato improcedibile l’appello sul rilievo che il decreto di fissazione di udienza, di cui all’art. 435 c.p.c., era stato comunicato all’indirizzo PEC di un co-difensore diverso da quello indicato. Tuttavia, il principio affermato con tale ultima pronuncia, riferito alle comunicazioni, è stato rimesso all’attenzione della Sezione ordinaria con articolata ordinanza interlocutoria (Sez. 6 - L, 3 agosto 2020, n. 16581) in riferimento alla notifica della sentenza effettuata nei confronti del co-difensore indicato come domiciliatario esclusivamente in senso fisico, essendo stati indicati come domiciliatari digitali esclusivamente altri due avvocati del collegio difensivo, solo dei quali era stato espressamente riportato l’indirizzo PEC: infatti, la decisione della Corte territoriale, di accoglimento dell’appello sul presupposto della nullità della notifica telematica effettuata nei confronti del difensore non indicato come domiciliatario digitale, è stata impugnata assumendo, da un lato, l’irrilevanza della indicazione dell’indirizzo PEC, a seguito delle modifiche apportate all’art. 125 c.p.c., dall’altra, il consolidato orientamento secondo cui, in presenza di più difensori, la notifica della sentenza ad uno solo di essi è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione. La questione è stata decisa da Sez. L, 12 novembre 2021, n. 33806, che ha ritenuto di dare continuità all’orientamento elaborato nel regime del cd. “domicilio digitale”, secondo cui, in base all’art. 125 c.p.c., come modificato dall’art. 45 -bis, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, conv. con mod. in l. n. 114 del 2014, non sussiste l’obbligo per il difensore di indicare nell’atto introduttivo l’indirizzo PEC “comunicato al proprio ordine” perché già risultante dal ReGIndE in virtù della trasmissione operata dall’ordine in base alla comunicazione effettuata dall’interessato (per tutte: Sez. U, 29 settembre 2018, n. 23620), orientamento ulteriormente consolidatosi nelle more con le pronunce rese da Sez. 1, 3 marzo 2021, n. 2460 , e da Sez. 2, 12 febbraio 2021, n. 3685 ; in tal modo, la Sezione ha ritenuto superato l’isolato precedente rappresentato da Sez. L, n. 2942 del 2019, cit., affermando, in conclusione, che «oggi l’unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante ai fini processuali è quello che il difensore ha indicato, una volta per tutte, al Consiglio dell’ordine di appartenenza. In tal modo, l’art. 125 cod. proc. civ. è stato allineato alla normativa generale in materia di domicilio digitale. Il difensore non ha più l’obbligo di indicare negli atti di parte l’indirizzo di posta elettronica certificata, né ha facoltà di indicare uno diverso da quello comunicato al Consiglio dell’ordine o di restringerne l’operatività alle sole comunicazioni di cancelleria». Di conseguenza, la S.C., nel caso di specie, ha cassato con rinvio la decisione impugnata ritenendo rituale la notificazione della sentenza, ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione, effettuata all’indirizzo PEC di uno dei codifensori, ancorché in atti fosse stato espressamente richiesto che le comunicazioni di cancelleria venissero eseguite agli indirizzi PEC degli altri due difensori nominati, in quanto validamente effettuata all’indirizzo PEC di uno dei tre difensori di fiducia, quale risultante dal ReGIndE, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi dell’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., nella l. n. 221 del 2012, non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato e non potendo, quindi, avere portata idonea ad escludere tale notificazione la limitazione della parte dell’indicazione del detto indirizzo per le sole comunicazioni (richiamandosi espressamente, quanto all’ultimo profilo, Sez. 2, n. 3685 del 2021).
Con riferimento alla figura del domiciliatario, è stata attribuita prevalenza alla comunicazione telematica eseguita all’indirizzo PEC del difensore, quale risultante dal ReGIndE, escludendo la necessità di curare l’adempimento presso il domiciliatario indicato («In tema di procedimento ex art. 380 bis c.p.c., la notificazione del decreto di fissazione dell’udienza camerale e della proposta del relatore è validamente effettuata all’indirizzo PEC del difensore di fiducia, quale risultante dal Reginde, indipendentemente dalla sua indicazione in atti, ai sensi dell’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., in l. n. 221 del 2012, non potendosi configurare un diritto a ricevere le notificazioni esclusivamente presso il domiciliatario indicato.»: Sez. 6 - L, 24 maggio 2018, n. 12876).
D’altro canto, è stata ritenuta rituale la notifica della sentenza di appello eseguita a mezzo PEC al domiciliatario invece che all’indirizzo PEC del difensore, considerato che quest’ultimo, nell’atto di appello aveva eletto domicilio presso un determinato studio legale, mentre aveva dichiarato espressamente ai sensi della vigente normativa, di voler ricevere “tutte le comunicazioni e gli avvisi” al numero di fax (ivi indicato) “o all’indirizzo di Posta Elettronica Certificata” (anch’esso indicato), in tal modo esprimendo la volontà di restringere l’utilizzo della PEC agli atti provenienti dall’ufficio, mentre il mancato riferimento alla ricezione delle “notificazioni” (tipici atti di parte) era chiaro indice della volontà di delegare al domiciliatario la ricezione di tali atti, senza alcuna restrizione di sorta, non essendovi necessità dell’indicazione nell’atto dell’indirizzo PEC del domiciliatario (Sez. 6 - 2, 11 maggio 2017, n. 11759 ).
Occorre, però, evidenziare che, nell’ipotesi di elezione di domicilio “fisico” presso uno studio con sede nella circoscrizione dell’autorità giudiziaria adita ed indicazione come domicilio “digitale” dell’indirizzo PEC del dominus, la Corte (Sez. 1, 22 agosto 2018, n. 20946) ha dichiarato inesistente (come tale insuscettibile di sanatoria) la notifica effettuata all’indirizzo PEC del domiciliatario “fisico” — con conseguente inidoneità della stessa a determinare la decorrenza del termine breve per l’impugnazione — quale soggetto non legittimato a ricevere l’atto, così come, per giurisprudenza consolidata (Sez. 6 - 1, 12 ottobre 2015, n. 20468), non avrebbe potuto eseguire direttamente la notificazione.
Nella stessa linea, intesa ad attribuire prevalenza al domicilio digitale, si pone Sez. 6¬2, 1 giugno 2020, n. 10355, che ha ritenuto inidonea a determinare la decorrenza del termine breve per l’impugnazione la notifica della sentenza effettuata al domiciliatario “fisico” invece che presso l’indirizzo PEC indicato nell’atto di citazione in appello, ove la parte aveva peraltro precisato di voler ricevere “le comunicazioni e notificazioni nel corso del giudizio”; l’assunto è stato specificato nel senso che, in presenza di un indirizzo PEC ufficiale indicato dal difensore, non esplicitamente circoscritto alle sole comunicazioni, la circostanza che il difensore, come nella specie, abbia eventualmente eletto domicilio ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 «non può elidere il principio, di valenza costituzionale inerente il diritto di difesa, del rispetto della scelta legittimamente effettuata dalla parte», in tal modo configurando un obbligo del notificante di utilizzare in via esclusiva la notificazione telematica. In continuità con tale indirizzo si è espressa più di recente anche Sez. 6 - 2, 24 marzo 2021, n. 8262 .
Viceversa, l’alternatività fra domicilio digitale e domiciliazione “tradizionale”, ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 (presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite), è stata sostenuta da Sez. 3, 29 gennaio 2020, n. 1982, che ha affermato come «Ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, anche dopo l’introduzione del “domicilio digitale” (art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 201, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, come modificato dal d.l. n. 90 del 2014, conv., con modif., in l. n. 114 del 2014), resta valida la notificazione effettuata - ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 - presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, ove il destinatario abbia scelto, eventualmente in associazione a quello digitale, di eleggervi il domicilio.». Tale interpretazione è stata ripresa da Sez. L, 11 febbraio 2021, n. 3557, secondo cui va escluso che possa essere riconosciuto carattere esclusivo alla notificazione al domicilio digitale, con ciò reputando valida, ancora ai fini della decorrenza del termine breve per proporre il ricorso per cassazione, la notificazione della sentenza presso il domicilio fisico eletto dal destinatario, nonché, sempre ai fini della decorrenza del termine breve per proporre il ricorso per cassazione, da Sez. 3, 14 dicembre 2021, n. 39970, che ha ritenuto corretta, nonostante l’indicazione della parte destinataria di un domicilio “fisico” ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, la notificazione della sentenza d’appello presso il domiciliatario mediante posta elettronica certificata, poiché il domicilio digitale, pur non indicato negli atti, può essere utilizzato per la notificazione in questione, in quanto le due opzioni (domicilio digitale e domicilio fisico) concorrono.
Peraltro, Sez. 3, 23 febbraio 2021, n. 4920, ha precisato, in espresso riferimento alle comunicazioni di cancelleria a mezzo PEC, che il difensore esercente il patrocinio non può indicare la PEC di altro avvocato senza specificare di volersi domiciliare presso di lui, in quanto l’individuazione del difensore destinatario della comunicazione di cancelleria deve avvenire automaticamente attraverso la ricerca nel ReGIndE, a prescindere dall’indicazione espressa della PEC, cosicché non può attribuirsi rilievo all’indicazione di una PEC diversa da quella riferibile al legale in base agli appositi registri e riconducibile ad altro professionista, senza una chiara assunzione di responsabilità qual è quella sottesa alla dichiarazione di domiciliazione.
Nella stessa linea, invero senza neppure prospettare la facoltà di una differente elezione di domicilio digitale, si pone anche Sez. 1, 7 giugno 2021, n. 15783, secondo cui le comunicazioni al difensore, per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, devono essere eseguite, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. nella l. n. 221 del 2012, esclusivamente mediante deposito in cancelleria quando il difensore non abbia provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo PEC, dovendo escludersi che la cancelleria sia tenuta ad effettuare la comunicazione all’indirizzo di posta elettronica di altro difensore presso il quale quello nominato abbia dichiarato di voler ricevere le notifiche.
È evidente, pertanto, che l’affermazione del concetto di “domicilio digitale” tende ormai a rendere residuale e di incerta applicazione il campo di applicazione del “domicilio fisico”, registrandosi oscillazioni interpretative sul rilievo da attribuire alla figura del domiciliatario.
4.3.3. Applicazioni nel giudizio in cassazione.
In riferimento alla disposizione, speciale per il giudizio in cassazione, di cui all’art. 366 c.p.c., Sez. U, 31 maggio 2016, n. 11383, in fattispecie anteriore alla disciplina sulle comunicazioni telematiche obbligatorie ex art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, cit., ha affermato che «ai sensi degli artt. 136 e 366 c.p.c., in virtù di un’interpretazione orientata all’effettività del diritto di difesa e alla ragionevole durata del processo, il cancelliere può eseguire la comunicazione dei provvedimenti tramite deposito in cancelleria (sempre che il difensore non abbia eletto domicilio in Roma) solo se non è andata a buon fine la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, né quella via fax.».
La disposizione di cui all’art. 366, comma 2, c.p.c., è stata comunque intesa come un domicilio alternativo: «In tema di giudizio per cassazione, allorché il ricorrente abbia eletto domicilio in Roma, indicando altresì l’indirizzo di posta elettronica certificata, il controricorso può essere indifferentemente notificato sia presso il detto domicilio, sia a mezzo posta elettronica, in quanto l’art. 366, secondo comma, cod. proc. civ. consente le notificazioni in via alternativa - con l’uso della disgiuntiva “ovvero” - all’uno o all’altro luogo.» (Sez. 6 - 3, 10 marzo 2014, n. 5457). Peraltro, è stato affermato, che «Ai sensi dell’art. 366, comma 2, cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 25, comma 1, lett. i), n. 1, della l. 12 novembre 2011, n. 183, è valida la notificazione del controricorso effettuata presso la cancelleria della Corte di cassazione, quando il ricorrente abbia volontariamente eletto domicilio in Roma, presso la stessa cancelleria, senza che rilevi l’indicazione, nel ricorso, dell’indirizzo di posta elettronica certificata, comunicata al proprio ordine, poiché la notificazione a questo indirizzo presuppone che non vi sia contestuale volontaria elezione di domicilio in Roma.» (Sez. 6 - 3, 16 luglio 2015, n. 14969).
Inoltre, come evidenziato da Sez. 6 - 3, 27 novembre 2014, n. 25215, «Nel giudizio per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 366 cod. proc. civ. introdotte dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, qualora il ricorrente non abbia eletto domicilio in Roma ed abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria, è valida la notificazione del controricorso presso la cancelleria della Corte di cassazione, perché, mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria.» (conforme Sez. 6 - 3, 5 ottobre 2017, n. 23289).
4.3.4. Applicazioni in materia fallimentare.
In riferimento al procedimento in materia fallimentare, è stato affermato che «Il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere notificato alla società cancellata dal registro delle imprese e già in liquidazione, ai sensi dell’art. 15, comma 3, l.fall. (nel testo successivo alle modifiche apportategli dall’art. 17 del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 221 del 2012), all ’indirizzo di posta elettronica certificata dalla stessa in precedenza comunicato al registro delle imprese» (Sez. 1, 13 settembre 2016, n. 17946, Sez. 1, 12 gennaio 2017, n. 602, Sez. 6 - 1, 10 ottobre 2017, n. 23728, Sez. 1, 28 ottobre 2019, n. 27452, Sez. 1, 12 febbraio 2020, n. 3443, Sez. 6 - 1, 7 settembre 2020, n. 18544 ).
D’altro canto, è stata dichiarata nulla la notifica del decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare notificato ad un indirizzo PEC attribuito a due società diverse ma con simile denominazione per incertezza assoluta nell’identificazione del soggetto destinatario della notifica (Sez. 6 - 1, 12 gennaio 2018, n. 710 ).