Diritti di autore - Duplicazione di opere d'ingegno - brani musicali Diritti di autore
Duplicazione di opere d'ingegno costituite da 12576 brani musicali, destinati al circuito della vendita, conservando queste opere in formato mp3 nell'hard disk del server di un sito internet tramite il quale con un'operazione di cd. Downloading (scaricamento) sono state anche poste in commercio - condanna alla pena di tre mesi di reclusione ed euro 270,00 di multa (Corte di Cassazione Sezione 3 Penale Sentenza del 9 settembre 2009, n. 34857)
Diritti di autore - Duplicazione di opere d'ingegno costituite da 12576 brani musicali, destinati al circuito della vendita, conservando queste opere in formato mp3 nell'hard disk del server di un sito internet tramite il quale con un'operazione di cd. downloading (scaricamento) sono state anche poste in commercio - condanna alla pena di tre mesi di reclusione ed euro 270,00 di multa (Corte di Cassazione Sezione 3 Penale Sentenza del 9 settembre 2009, n. 34857)
OSSERVA
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso -
L'odierno ricorrente e' accusato di avere, in qualita' di amministratore unico della soc. Pr. We. S.r.l., duplicato opere d'ingegno costituite da 12576 brani musicali, destinati al circuito della vendita, conservando queste opere in formato mp3 nell'hard disk del server di un sito internet di proprieta' della Pr. We. tramite il quale con un'operazione di cd. downloading (scaricamento) le ha anche poste in commercio.
Dopo che, in primo grado, era stato assolto perche' il fatto non costituisce reato, con la sentenza impugnata, in accoglimento dell'impugnazione proposta dalla parte civile e dal P.M., la Corte d'Appello lo ha condannato alla pena di tre mesi di reclusione ed euro 270,00 di multa con i doppi benefici oltre al risarcimento della P.C..
Avverso tale decisione, ha proposto ricorso il difensore dell'imputato deducendo:
1) violazione di legge e manifesta illogicita' della motivazione (articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e)) da ravvisare nel fatto di avere la Corte ritenuto la sussistenza dell'elemento psichico dei reati ipotizzati sebbene fosse, innanzitutto, pacifico che ci si muoveva su un terreno - quello dei diritto d'autore - sul quale, a seguito delle recenti evoluzioni tecnologiche, si sono creati spazi e notevoli incertezze interpretative denunciati anche da autorevoli commentatori.
Di qui la ragionevolezza del convincimento dell'imputato che la licenza sperimentale da lui detenuta fosse onnicomprensiva.
Si fa, poi, notare che l'imputato non si e' mosso nella clandestinita' ed ha sempre intrattenuto plurimi e costanti rapporti con la S.I.A.E.. Le incertezze interpretative sono confermate dalla stessa esistenza di pronunzie di merito - come quella del Tribunale per il Riesame di Salerno del 6.2.04 (che ha avuto notevole diffusione sulla stampa) che, appunto, aveva affermato non potersi fare distinzione tra compensi dovuti a diritti d'autore e compensi richiesti dalle case di produzione. Anche se tale decisione non e' stata poi confermata dalla Corte di Cassazione, il solo fatto che essa sia esistita e' emblematica della possibilita' di una interpretazione del genere anche da parte dell'imputato che, per giunta, non era un organo giurisdizionale.
Si contesta, altresi', che la prova del dolo non sia stata fornita ma asserita semplicemente sulla base del fatto che la S.I.A.E. non aveva mai rilasciato, in positivo, alcuna autorizzazione all'attivita' posta in essere dall'imputato. Si obietta, pero', che la Siae aveva rilasciato all'imputato una licenza "senza alcuna specifica avvertenza dei diritti cd. connessi ... che, sia pure in regime di "non monopolio" ... gestiva la Siae".
In ogni caso, la Siae avrebbe avuto il dovere di diffidare il Ch. dall'intraprendere e/o continuare la sua attivita' in assenza di una regolazione dei diritti connessi ma un'avvertenza del genere non venne mai formulata.
Per altro, il testo della licenza era sufficientemente chiaro per comprendersi che da essa erano esclusi i diritti dei produttori fonografici per l'utilizzazione del "disco" o di altri "apparecchi analoghi di suoni o di voci" (punto 7.5 della licenza che non evoca gli articoli 72 e 73 della legge sui diritti d'autore); si fa notare, pero', che la riproduzione a mezzo internet attuata dall'imputato non comprendeva ne' l'utilizzo di dischi ne' quello di altri apparecchi analoghi ed e' proprio in cio' che consisteva la innovativita' dell'attivita' posta in essere dal ricorrente.
La sentenza impugnata sarebbe anche contraddittoria nel momento in cui, da un lato, ammette che non si versa in un caso di pirateria informatica e non nega che l'imputato avesse chiesto adeguate informazioni agli organi competenti e, dall'altro, afferma che "l'ignoranza, per avere rilevanza scriminante, deve essere evitabile". Si obietta che, nella specie, non viene invocata l'ignoranza della legge penale ma semplicemente una interpretazione della normativa secondo criteri che non appaiono manifestamente dissennati (tanto e' vero che sono stati affermati anche da un organo giurisdizionale);
2) violazione di legge e manifesta illogicita' della motivazione (articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e)) che si colgono anche riflettendo sul fatto che la contestazione al Ch. e' avvenuta ad opera della Guardia di Finanza, non certo su sollecitazione della parte civile. Inoltre, si fa notare che, con novella del 2003, la Legge n. 633 del 1941, articolo 71 octies stabilisce che le eccezioni e limitazioni del diritto di autore si applicano anche alla Legge n. 633 del 1941, articolo 163 che prevede che il titolare di un diritto di utilizzazione economica puo' chiedere che sia disposta inibitoria a qualsiasi attivita' che costituisca violazione del diritto stesso e che, nel pronunciare l'inibitoria, il giudice puo' fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza soggiungendo che: "ove in sede giudiziaria sia accerti l'utilizzo di fonogrammi che, ai sensi dell'articolo 74 arrechino pregiudizio al produttore fonografico...puo' essere comminata una sanzione amministrativa ..." Cio' vale a dire che, di fatto, la condotta qui in contestazione e' stata depenalizzata.
Sul punto, sebbene oggetto di discussione orale e di memoria in appello, la Corte non si e' pronunciata;
3) violazione di legge e manifesta illogicita' della motivazione (articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e)) nella parte in cui afferma esplicitamente (pag. 2 e 3) che la buona fede del Ch. andrebbe esclusa in radice risultando che egli aveva svolto trattative infruttuose con la FIMI "e, quindi, nella piena consapevolezza di dover assolvere all'adempimento per quei diritti connessi. In realta', non solo non vi e' alcun atto che testimoni cio' ma, sul punto, vi sono esplicite dichiarazioni dell'imputato (citate anche in sentenza a pag. 7) attestanti che egli chiese informazioni alla S.I.A.E. senza ricevere indicazioni precise. Di fatto, quindi, l'imputato ha smentito l'assunto senza che di cio' la Corte - che in tal modo ha travisato i fatti - abbia tenuto alcun conto.
Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Il ricorso e' infondato.
Tutti gli argomenti che svolge il ricorrente sono ininfluenti e, soprattutto, non intaccano la puntualita' delle opposte ragioni sviluppate nella sentenza impugnata perche' eludono quello che e' il tema centrale della questione, vale a dire, lo sfruttamento dei cd. diritti connessi in assenza di licenza, che e' cosa diversa dalla tutela dei diritti di autore.
Quest'ultima e' concordemente deputata alla S.I.A.E. ma non altrettanto puo' dirsi dei primi come molto chiaramente viene precisato nella sentenza impugnata che ha riformato l'assoluzione di primo grado mettendo bene a fuoco i due profili di erroneita' in cui era incorso il Tribunale.
Essi sono, infatti, rappresentati, da un lato, dalla confusione operata tra gestione del diritto di autore e gestione dei diritti connessi da parte della S.I.A.E. (quand'anche a quest'ultima sia stato delegato da parte dell'ente titolare, un diritto di riscossione) e, dall'altro, dal fatto di avere - nel caso specifico - pretermesso del tutto il contenuto del contratto di licenza del 24.9.01 sottoscritto dal ricorrente e nel quale si legge con chiarezza che "e' espressamente inteso che non sono compresi nell'oggetto della presente licenza i diritti non affidati alla tutela della S.I.A.E. ed in particolare quelli piu' specificamente indicati all'articolo successivo 7.5 e spettanti ai produttori fonografici".
Il primo profilo viene illustrato molto bene nella sentenza impugnata attraverso il richiamo alla sentenza di questa S.C. (Sez. 3 , 8.6.07, P.M. in proc. Bonacini, Rv. 237216) che, riformando la decisione del Tribunale del Riesame di Salerno, spiega perche' sia da escludere che la Legge n. 633 del 1941, articolo 180 attribuisca alla S.I.A.E. una sorta di monopolio sulle attivita' di riscossione e precisa che l'unico caso di affidamento esclusivo dei diritti connessi a tale ente si rinviene nella Legge n. 633 del 1941, articolo 180 bis ma solo con riferimento alle trasmissioni via cavo.
Il caso di specie e' sicuramente diverso attenendo a trasmissioni in via telematica.
Conseguentemente le attivita' di intermediazione, di norma, rimangono in regime di libera concorrenza con la conseguenza che "versando i diritti alla S.I.A.E. non vengono contestualmente assolti anche i pagamenti relativi ai compensi spettanti ai produttori discografici ed agli artisti interpreti ed esecutori". Per l'effetto, "configura il reato di cui alla Legge 22 aprile 1941, n. 633, articolo 171 ter, lettera a) la condotta consistente nel riprodurre abusivamente brani musicali in assenza di preventiva regolamentazione dei rapporti con i soggetti titolari dei diritti connessi di cui sono titolari soggetti diversi dall'autore delle opere".
Da quanto precede, discende la chiara non sostenibilita', da parte dell'odierno ricorrente di una buona fede che non trova conforto ne' nelle norme ne' nella giurisprudenza.
Non vale, infatti, il richiamo alla circostanza che il Ch. potesse essere stato "tratto in inganno" dalla decisione del Tribunale per il Riesame di Salerno perche', comunque, vale - nello specifico - il giusto richiamo al tenore della licenza sottoscritta dall'imputato e sulla quale il ricorrente da una lettura soggettiva e, soprattutto, elusiva del chiaro tenore del punto sopra riportato.
Il vero e' che, sia nel primo motivo di ricorso che nei successivi, il ricorrente pur denunciando formalmente una violazione di legge, nei contenuti propone semplicemente una rilettura degli atti e delle risultanze probatorie in un'ottica a se' piu' favorevole ma finendo per auspicare, da parte di questa S.C., un intervento non previsto e non consentito.
Di fatto, tutti i motivi di ricorso ripropongono il tema della buona fede dell'imputato gia' svolto dinanzi alla Corte asserendo una pretesa "manifesta illogicita'" della motivazione dei giudici di appello che, ad onor del vero, e' impossibile rinvenire.
La decisione impugnata, infatti, costituisce un esempio di chiarezza, completezza e linearita' sia nell'approfondimento delle questioni che nell'esposizione della soluzione.
Tanto e' stata considerata la tesi difensiva dell'imputato che la Corte - proprio muovendo da affermazioni (definite "ardite (e certamente false) - f. 7)) dell'imputato (di non esser mai riuscito a parlare con i rappresentanti della FIMI in quanto i funzionar della S.I.A.E. gli avrebbero detto di "trattare con loro per tutto") - si e' fatta carico di una rinnovazione parziale del giudizio per sentire un rappresentante della S.I.A.E..
Ma la teste escussa "ha escluso che la S.I.A.E., sia per il caso che ci occupa, sia in generale, avesse mai avuto una delega a trattare anche per conto della FIMI. Per di piu', bene valorizza la Corte anche il fatto che, dalla stessa documentazione prodotta dalla S.I.A.E. (contenente il carteggio con l'imputato), "e' sempre chiaro che quest'ultima (s.i.a.e. n.d.r.) tranquillizza la Pr. solo per la parte che la riguarda e non certo per i diritti connessi che avrebbe dovuto corrispondere a parte".
Sulla scorta di tutto quanto precede, la censura che la Corte muove decisione di primo grado, giudicandola errata in fatto ed in diritto, risulta corretta, documentata e chiaramente esposta senza vizi di logica (neanche men che manifesti).
Infondate, quindi, sono tutte le censure mosse, in tutti i motivi, sotto il profilo dell'adeguatezza della motivazione mentre non pertinente ed ininfluente e' il richiamo di cui al secondo motivo, alla Legge n. 633 del 1941, articolo 171 octies.
Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Visti gli articoli 637 e seg. c.p.p. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.