Marchi - Brevetti - Contraffazione invenzione industriale
14 Dicembre 2009 - Marchi - Brevetti - Contraffazione invenzione industriale Marchi - Brevetti - Contraffazione dell'invenzione industriale - violazione, divulgazione e utilizzazione di segreti industriali e commerciali - concorrenza sleale - contraffazione dell'invenzione industriale oggetto della domanda di brevetto denominata "Processo per la preparazione di polimeri e copolimeri dell'acido acrilico" e del procedimento di fabbricazione di candeggianti ottici liquidi e relativi macchinari - violazione, divulgazione e utilizzazione di segreti industriali e commerciali di cui i convenuti si erano resi responsabili, anche in concorso tra loro - concorrenza sleale, costituita dallo storno e tentativo di storno di dipendenti - compimento di atti non conformi ai principi di correttezza professionale idonei a danneggiare le societa' attrici. Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Sentenza del 30 ottobre 2009, n. 23045
Marchi - Brevetti - Contraffazione dell'invenzione industriale - violazione, divulgazione e utilizzazione di segreti industriali e commerciali - concorrenza sleale - contraffazione dell'invenzione industriale oggetto della domanda di brevetto denominata "Processo per la preparazione di polimeri e copolimeri dell'acido acrilico" e del procedimento di fabbricazione di candeggianti ottici liquidi e relativi macchinari - violazione, divulgazione e utilizzazione di segreti industriali e commerciali di cui i convenuti si erano resi responsabili, anche in concorso tra loro - concorrenza sleale, costituita dallo storno e tentativo di storno di dipendenti - compimento di atti non conformi ai principi di correttezza professionale idonei a danneggiare le societa' attrici. Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Sentenza del 30 ottobre 2009, n. 23045
Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Sentenza del 30 ottobre 2009, n. 23045
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 18.08.86, la Ap. Pr. In. s.p.a. e la Si. It. s.p.a. (ora 3V. Pa. In. s.p.a.) chiedevano al Tribunale di Mantova l'autorizzazione per procedere alla descrizione, ai sensi della Legge Inv. (Regio Decreto n. 1127 del 1939) articoli 4, 81, 83 bis, del procedimento di preparazioni di polimeri e copolimeri dell'acido acrilico, presso lo stabilimento della Ch. Po. s.p.a. e della Pr. s.p.a., deducendo la contraffazione e violazione dell'invenzione industriale oggetto della domanda di brevetto n. (**) dell'8.11.85, intestata alle ricorrenti.
La descrizioni veniva autorizzata con decreto in data 19.08.86 ed eseguita con l'intervento del CTU.
Con atto di citazione del 16.09.86, le medesime attrici convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Mantova la Ch. Po. s.p.a., la Pr. s.p.a., Ca. Lo. e Ge. Gi. , asserendo che questi ultimi, gia' dipendenti delle societa' attrici con mansioni di tecnologo del processo degli impianti e dirigente della divisione tessile, dopo le dimissioni erano stati assunti dalle societa' convenute.
Ap. P.I. s.p.a e Si. I. s.p.a. deducevano che i convenuti erano imputabili di:
- contraffazione dell'invenzione industriale oggetto della domanda di brevetto denominata "Processo per la preparazione di polimeri e copolimeri dell'acido acrilico" e del procedimento di fabbricazione di candeggianti ottici liquidi e relativi macchinari;
- violazione, divulgazione e utilizzazione di segreti industriali e commerciali di cui i convenuti si erano resi responsabili, anche in concorso tra loro;
- concorrenza sleale, costituita dallo storno e tentativo di storno di dipendenti;
- compimento di atti non conformi ai principi di correttezza professionale idonei a danneggiare le societa' attrici.
Chiedevano quindi l'inibitoria in capo ai convenuti della rivelazione a terzi di segreti industriali e dell'attuazione del procedimento industriale, la distruzione degli impianti industriali destinati all'attuazione del procedimento in questione, la condanna al risarcimento del danno e la pubblicazione della sentenza su quotidiani nazionali.
Le societa' convenute, nella comparsa, eccepivano la nullita' della domanda di brevetto per insufficienza della descrizione, nonche' l'imbrevettabilita' del procedimento per mancanza di originalita'. Chiedevano, quindi, il rigetto della domanda avversaria e, in via riconvenzionale, reclamavano il risarcimento danni per violazione della riservatezza industriale derivata dalla descrizione del procedimento adottato.
Il Ge. assumeva di non aver rivestito ruoli tali da metterlo a conoscenza di segreti industriali e di essere passato alla Ch. Po. dopo che questa aveva iniziato a produrre polimeri e copolimeri dell'acido acrilico.
Il Ca. contestava ogni responsabilita', asserendo che tale procedimento non era stato realizzato in segreto, ma esportato all'estero anni prima dei fatti di causa.
Dopo aver effettuato la CTU, il Tribunale di Mantova, con sentenza in data 3.12.92, rigettava le domande delle attrici e quella riconvenzionale per danni dei convenuti; dichiarava la non brevettabilita' della domanda di brevetto delle societa' attrici, condannando queste ultime al pagamento delle spese del grado.
Il giudice di primo grado faceva proprie le considerazioni del CTU, osservando che la descrizione allegata alla domanda di brevetto non conteneva elementi di novita', soprattutto in relazione all'ottenimento dell'essiccazione dello slurry (impasto - sospensione del prodotto finito nel solvente) senza filtrazione, che i procedimenti apparivano diversi e che la Ch. Po. possedeva un know how diverso rispetto a quello della Ap. .
Il passaggio dei dipendenti non era rilevante, in mancanza della dimostrazioni di una sua strumentalita' rispetto al trasferimento di segreti industriali.
Avverso detta sentenza, la 3V. Pa. In. s.p.a., proponeva appello presso la Corte d'Appello di Brescia deducendo varie censure di merito e processuali, riproponendo le istanze di prove testimoniali non accolte in primo grado, chiedendo il rinnovo della CTU e presentando il brevetto nel frattempo rilasciato dall'Ufficio Europeo Brevetti.
All'impugnazione resistevano l'appellata Ch. Po. , il Ca. e il Ge. , chiedendo il rigetto del gravame.
Espletata una nuova CTU ed ammesse le prove testimoniali, la Corte d'Appello di Brescia, con sentenza in data 3.12.03/2.04.04, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova, respingeva la domanda di accertamento di non brevettabilita' del procedimento descritto nella domanda di brevetto n. (**) , confermando nel resto la sentenza e compensando le spese dell'intero giudizio tra le parti.
Per la Corte territoriale, i convenuti avrebbero dovuto dedurre la carenza delle condizioni di novita' intrinseca del procedimento descritto nella domanda n. (**) , nell'ambito del giudizio instaurato contro di loro per la tutela anticipata dei diritti nascenti dal brevetto non ancora concesso.
Nella rinnovata CTU disposta sul procedimento ideato da Ap. , i consulenti si erano espressi a favore della sussistenza del requisito della novita' estrinseca, non rinvenendosi la combinazione di caratteristiche proprie del brevetto Ap. in alcuna delle anteriorita' poste in esame.
I CTU sostenevano infatti che: "...la novita' del brevetto Ap. consiste proprio nell'aver utilizzato, in combinazione con un determinato solvente, un'apparecchiatura come il ben noto evaporatore rotante non solo per l'essiccamento finale, ma anche per una funzione diversa come quella di separare il liquido in grande eccesso dal solido...possiede anche il requisito della novita' intrinseca".
Era quindi da riformare in tal senso la sentenza di primo grado.
La Corte tuttavia affermava che, dopo aver posto a confronto il procedimento di Ap. (ora 3V. Pa. In. s.p.a.) con quello attuato da Ch. Po. (ora Ro. s.p.a.), era emerso che i due procedimenti non potevano dirsi uguali, non utilizzando la Po. lo stesso insegnamento del brevetto Ap. .
Era quindi da confermare sul punto la sentenza impugnata, ribadendo l'insussistenza delle lamentate violazioni del diritto vantato dall'appellante.
Anche la censura in merito al mancato accoglimento della richiesta di dichiarare la violazione di segreti industriali inerenti al know how non aveva fondamento.
Non era contestabile l'esistenza di segreti industriali nel settore tecnico dell' Ap. ed era, in effetti, emerso il fatto che il Ca. , quale dipendente Ap. , faceva uso, durante il processo di lavorazione, di un ricettario conservato nell'ufficio del direttore e ivi riposto al termine del processo produttivo, avendo quindi la possibilita' di accesso a dati tecnici di evidente rilievo, il cui carattere riservato era evidenziato dalle modalita' di utilizzo. Tali circostanze, pero', non potevano portare ad un diretto accertamento di rivelazioni da parte del Ca. a favore della Ch. Po. .
Perdeva quindi fondamento anche la richiesta di addebito di storno dei dipendenti. Dovendosi escludere che motivo di assunzione fosse l'intento di ottenere dal Ca. e dal Ge. la rivelazione di segreti industriali appartenenti ad Ap. , appariva che alla base di tali scelte fosse da ravvisarsi la consapevolezza dell'elevato livello professionale dei due, manifestato anche dalla capacita' di instaurare procedure tecnologiche avanzate, senza ricorrere ad insegnamenti ricavabili dalle metodiche Ap. . L'assunzione non poteva quindi essere dichiarata illegittima, mancando il presupposto dell'animus nocendi.
Anche l'addebito di violazione di segreti attinenti alla preparazione di candeggianti ottici, pur essendo versata in causa fin dalla formulazione dell'atto di citazione di primo grado, non era accoglibile, perche' priva di fondamento a fronte dell'affermazione contenuta nella CTU di secondo grado, fatta dai dipendenti della Ch. Po. ed accettata dai rappresentanti della 3V. P.I. s.p.a., secondo cui la produzione di candeggianti ottici non era mai iniziata negli impianti industriali della societa' appellata.
Avverso tale sentenza 3V. Pa. In. s.p.a. proponeva ricorso per cassazione, notificato in data 10.05.05, esponendo un unico motivo di censura, illustrato da memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., nella quale si indicava come nuova denominazione della Ch. Po. quella di Ro. s.p.a..
Al ricorso resistevano, con controricorso notificato in data 16.06.05, Ch. Po. s.p.a. e Ge. Gi. . Non svolgevano difese Ca. e la Pr. s.r.l., cui pure il ricorso risulta essere stato regolarmente notificato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La difesa della 3V. Pa. In. s.p.a., come unico motivo di ricorso, ha dedotto l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il punto decisivo della controversia, ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., n. 5, attinente alla violazione del know how e dei segreti industriali e commerciali.
Per la 3V. , i convenuti, in concorso tra loro, avevano posto in essere atti di concorrenza sleale tradottisi, tra gli altri, nella violazione e sfruttamento di informazioni e conoscenze riservate, industriali e commerciali di proprieta' della 3V. stessa.
I giudici avevano giustamente accertato la titolarita', in capo a 3V. Pa. In. , di un insieme di nozioni tecniche e segreti industriali, tutelati in base a principi in materia di know how ed avevano altresi' accertato che il Ca. era a conoscenza di tali segreti.
Era noto che "la conoscenze che nell'ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene...ove presentino il carattere della novita' e della segretezza assumono rilievo come autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizzazione economica da parte del possessore (know how in senso stretto) anche se derivino da invenzioni brevettabili che il titolare non intenda, brevettare o preferisca sfruttare in regime di segreto..." (Cass. nn. 2199/71, 1413/83, 659/92).
Veniva poi sottolineato che l'articolo 98 cod. prop. ind. stabilisce che "Costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico - industriali, comprese quelle commerciali...", prevedendo l'articolo 99 dello stesso codice che: "salva la disciplina della concorrenza sleale e' vietato rivelare a terzi oppure acquisire od utilizzare le informazioni e le esperienze aziendali di cui all'articolo 98".
La ricorrente riteneva gravemente ed incomprensibilmente lacunoso, nella motivazione della sentenza oggetto di gravame, l'esame dei fatti e delle allegazioni agli atti relativi alle norme di diritto citate. La Corte territoriale, infatti, pur avendo accertato l'esistenza di segreti industriali, nonche' la conoscenza di essi da parte del Ca. e pur avendo affermato che la prova della violazione dei segreti poteva anche derivare in modo indiretto, aveva poi erroneamente trascurato una moltitudine di documenti e fatti confermati dai testimoni da cui risultava la violazione del segreto industriale, limitando l'esame della prova indiretta dell'illecito alla sola deduzione dei CTU, per i quali il procedimento e l'impianto della Ch. Po. non avrebbero attuato insegnamenti assimilabili a quelli del procedimento ed impianto Ap. - 3V. .
La sentenza avrebbe dovuto valutare tutto il materiale istruttorio dal quale sarebbero emerse una serie di circostanze gravi, precise e concordanti, che evidenziavano in modo univoco la condotta illecita delle controparti.
La Corte bresciana in particolare aveva omesso di considerare che:
- la Ap. - 3V. aveva dedicato oltre 6 anni di attivita' di ricerca prima di giungere alla domanda di brevetto, mentre la Ch. Po. aveva impiegato solo pochi mesi;
- la Ch. Po. aveva iniziato ad occuparsi di tale procedimento in coincidenza con l'assunzione storno - del tecnologo 3V Ca. e del responsabile commerciale Ge. , i quali si occupavano del prodotto (**) , attuando cosi' concorrenza sleale e accedendo al mercato prima di quanto sarebbe stato possibile in base alla proprie ricerche (Cass. n. 6079/96);
- il prodotto commercializzato dalle convenute corrispondeva a quello di Ap. - 3V. ;
- i processi da cui scaturivano i prodotti in questione erano in gran parte coincidenti con ottenimento di risultati identici (evitare operazioni di filtrazione);
- l'unica differenza era stata appresa dal Ca. presso la consociata statunitense dell'esponente 3V. Ch. in occasione di una trasferta negli (**) dello stesso per coinvolgerlo nel problema di effettuare una lavorazione completa, sintesi ed essiccamento, in una sola apparecchiatura.
A fronte di tali considerazioni era stato contraddittorio non ammettere quanto emerso dagli atti e cioe' che le procedure erano state in massima parte copiate, nonche' che l'unico aspetto non identico derivava da informazioni aziendali acquisite dal Ca. presso il gruppo 3. V. .
Veniva infine sottolineato che:
- nel giro di pochi mesi dalla costituzione di Pr. s.r.l. e dall'assunzione del Ca. e del Ge. , la Ch. Po. aveva realizzato e posto in commercio, tramite Pr. , il prodotto (**) , concorrente dell'(**) di 3V. ;
- clienti di 3V. avevano ricevuto nel 1986 da Ch. Po. offerte di un prodotto del settore tessile analogo ad (**) ;
- le vendite di 3V. al cliente Mi. si erano ridotte nel biennio 85/87 dell'80%;
- le vendite al cliente Le. avevano subito un calo;
- il cliente Qu. El. aveva cessato di acquistare (**) dalla 3V. per diventare cliente Po. .
La ricorrente sottolineava che i fatti contenuti in tale macroscopica omissione avrebbero, in realta', dimostrato unicamente che le controparti avevano sfruttato le idee e la lista dei clienti 3V. , accedendo in pochi mesi al mercato ed offrendo un prodotto analogo e concorrente a quello dell'attrice.
Chiedeva, quindi, alla Suprema Corte di accogliere i motivi di censura, cassando l'impugnata sentenza con ogni consequenziale statuizione, anche di decisione della causa nel merito ex articolo 384 cod. proc. civ., con vittoria di spese in tutti i gradi.
2. Va innanzitutto rilevato che le ragioni di censura formulate dalla difesa ricorrente non investono la decisione della sentenza impugnata circa la conferma del rigetto dell'azione di contraffazione originariamente formulata dalla 3V. Pa. In. .
Ne' e' stata proposta impugnazione in ordine la primo punto della statuizione della Corte bresciana circa il rigetto della domanda di accertamento della non brevettabilita' del procedimento di cui alla domanda n. (**) della Ap. , ora 3V. Pa. In. . Parimenti non e' stata messa in discussione l'affermazione della Corte territoriale a proposito dell'infondatezza di ogni addebito in merito al procedimento per la fabbricazione dei candeggianti ottici.
Le statuizioni in parola devono quindi essere considerate definitive e passate in giudicato.
Il ricorso della 3V. Pa. In. riguarda le valutazioni offerte dalla Corte bresciana in merito alla violazione del know how e dei segreti industriali e commerciali. La difesa, infatti, ha precisato che "mediante il presente ricorso di legittimita' si sottopone a censura la pronuncia d'appello nella parte in cui, confermando erroneamente la sentenza del Tribunale di Mantova, ha escluso la sussistenza della predetta violazione di know how e, conseguentemente non ha esaminato neppure le domande inibitorie e risarcitorie ad essa correlate".
E' vero quanto affermato dalla ricorrente, secondo cui i giudici del merito hanno accertato che la 3V. era titolare, con specifico riferimento alle circostanze per cui e' causa, di un insieme di nozioni tecniche e segreti industriali, tutelati in base ai principi in materia di know how, avendo altresi' accertato che il Sig. Ca. Lo. (all'epoca tecnologo di processo dell'impianto della societa' ricorrente) era a conoscenza di tali segreti. Rispetto a tali constatazioni ed a tali premesse non si ravvisa, tuttavia, alcun salto logico nelle conclusioni tratte dalla Corte quanto al diniego della tutela invocata dalla ricorrente, dal momento che la Corte ha ritenuto di affermare che nessuno degli elementi probatori acquisiti aveva consentito di ritenere provato che il Ca. e il Ge. avessero confidato a chicchessia i segreti dei quali erano eventualmente depositari. La Corte ha escluso che la prova potesse essere raggiunta sia pure in via indiziaria, attraverso il raffronto tra le metodiche utilizzate dalle due societa'.
Facendo riferimento al motivato parere espresso dal collegio dei consulenti incaricati in secondo grado (la collegialita' della consulenza conferiva gia' di per se' maggior affidabilita' ed autorevolezza alle conclusioni raggiunte in quella sede), i quali - osserva la Corte - si erano avvalsi della documentazione versata dalle due societa' per la descrizione delle rispettive procedure, la Corte giungeva all'affermazione che nelle procedure di lavorazione poste in atto dall'appellante non vi era nulla che potesse aver insegnato a Ch. Po. ad usare utilmente il reattore-evaporatore per produrre acido poliacrilico in polvere dallo slurry. Da tale rilievo doveva trarsi la conclusione secondo cui il procedimento e l'impianto di Ch. Po. non attuavano, neppure parzialmente, insegnamenti assimilabili a quelli del procedimento e impianto Ap. .
Quale ulteriore deduzione che la Corte traeva da tali considerazioni era l'affermazione della "ineludibile conseguenza per cui la denunciata violazione di segreti industriali era rimasta del tutto indimostrata".
A tale iter motivazionale, logicamente conseguente, la difesa di parte ricorrente oppone che la Corte non abbia preso in considerazione altri elementi probatori o quantomeno elementi presuntivi, che messi tutti insieme avrebbero consentito di pervenire a diverse conclusioni.
Questo collegio ritiene di non poter seguire la linea di ragionamento proposta dalla ricorrente. Cio' innanzitutto per il rilievo (assolutamente fondato ed assorbente) secondo cui i giudici del merito sono sovrani nello scegliere i mezzi istruttori e presuntivi sui quali fondare il loro convincimento, purche' la scelta sia sorretta da motivazione logica ed esauriente.
Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex articoli 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione, non consistendo nella difformita' dell'apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito. La sua deduzione con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita' non gia' il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, bensi' la mera facolta' di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilita' e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita' dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass. sent. n. 828 del 16.01.2007, rv. 593744; n. 17076 del 3.8.07, rv. 600132; n. 6064 del 6.3.08, rv. 602595; S.U. 27.12.1997 n. 13045).
Nel caso di specie, oltre all'ostacolo rappresentato dalla discrezionalita' della valutazione riservata ai giudici del merito, si oppone alla possibilita' che questa Corte riesamini detta valutazione il rilievo che la stessa e' sorretta da adeguata e coerente motivazione, assolutamente pertinente, logica e risolutiva.
La Corte bresciana, infatti, ha riferito che, come i consulenti tecnici avevano con certezza appurato, i due procedimenti per cui e' causa non attuavano insegnamenti fra loro assimilabili. Veniva quindi a mancare la prova dell'indebito vantaggio che la Ch. Po. avrebbe tratto dalla rivelazione dei segreti industriali di cui il Ca. era depositario. Non era emersa, infatti, la prova di un'accertata realizzazione presso la nuova datrice di lavoro del Ca. di procedure di lavorazione riproducenti, in tutto o in parte, gli accorgimenti tecnologici adottati presso Ap. e coperti dal segreto; tale prova non era emersa nemmeno a seguito dell'approfondimento disposto in grado di appello.
Nessuno degli elementi probatori acquisiti consentiva di ritenere provato che il Ca. o il Ge. avessero confidato a qualcuno i segreti di cui erano stati eventualmente depositari.
La Corte rilevava ancora che simile prova non era stata raggiunta, nemmeno in via indiziaria, attraverso il raffronto tra i due metodi di lavorazione.
Si poteva quindi affermare che nelle procedure di lavorazione poste in atto dall'appellante non vi era nulla che potesse aver insegnato alla Ch. Po. ad usare utilmente il reattore - evaporatore per produrre acido poliacrilico in polvere dallo slurry. i due procedimenti non erano assimilabili.
Afferma la difesa ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe considerato una serie di indizi: la concomitanza fra l'attivita' di ricerca e l'assunzione del tecnologo Ca. , la rapidita' della realizzazione del nuovo procedimento di Ch. Po. , la sostanziale corrispondenza fra i due prodotti, la parziale coincidenza dei due processi, la circostanza che l'unico aspetto non identico derivasse da informazioni aziendali acquisite dal Ca. presso il gr. 3V. .
Tutti tali elementi tuttavia - seppure si volesse prescindere dal rilievo che alcuni di essi appaiono smentiti in fatto dalle opposte affermazioni fatte dalla Corte sulla base degli esperiti accertamenti tecnici e dalla carente deduzione della ricorrenza di tutti i requisiti di cui alla Legge Inv., articolo 6 bis, all'epoca in vigore (il richiamo agli attuali articoli 98 e 99 cod. prop. ind., ancorche' assimilabili nel contenuto, non e' puntuale nella specie) - non appaiono univocamente comprovanti l'assunto sul quale la ricorrente fonda la sua pretesa risarcitoria, ovverosia che tutto cio' si sarebbe realizzato grazie alla rivelazione di segreti aziendali da parte del Ca. , e non semplicemente nell'ambito del lecito vantaggio conseguito da un concorrente nell'avvalersi di una persona esperta, le cui competenze tecnologiche si erano affinate presso altra azienda, operante nel medesimo settore di attivita'.
Le regole della libera concorrenza, infatti, consentono all'impresa di scegliere sul mercato i collaboratori e i dipendenti che abbiano le maggiori conoscenze e le piu' approfondite esperienze nello specifico settore.
Ed allora non puo' che condividersi il ragionamento operato dalla Corte bresciana secondo cui stabilire l'esistenza di segreti aziendali e la conoscenza, o quantomeno potenziale conoscibilita', di essi da parte del Ca. ancora non significava poter considerare accertato che costui si fosse fatto latore di rivelazioni in proposito a favore della societa' Ch. Po. , sua nuova datrice di lavoro. Parimenti convincente e logicamente motivato e' l'ulteriore rilievo che la Corte ha tratto rilevando che per poter considerare raggiunta la prova in tal senso sarebbe occorso che la dedotta rivelazione emergesse dagli atti di causa in modo diretto, attraverso la prova del mezzo di comunicazione impiegato a tal fine (informativa verbale, passaggio di documenti o altro) ovvero in modo indiretto, in virtu' dell'accertata realizzazione presso la Ch. Po. di procedure di lavorazione riproducenti, in tutto o in parte, gli accorgimenti tecnologici adottati presso Ap. e coperti dal segreto.
Le argomentazioni addotte dalla ricorrente non valgono a superare le risultanze della rinnovata CTU, condivisa dalla Corte; si tratta di censure sul merito della decisione, che non possono trovare spazio in sede di legittimita'.
Gli altri elementi presuntivi valorizzati, quali il calo delle vendite dei prodotti della 3V. o la circostanza che alcuni clienti di quest'ultima avessero ricevuto offerte di vendita del prodotto di Ch. Po. , rientrano nella logica del mercato e della libera concorrenza.
Quanto ai rilievi svolti con riferimento allo storno del personale dipendente, si deve rilevare che la Corte territoriale ha sul punto fatto puntuale applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi piu' di recente: sent. n. 13424 del 23.5.2008, rv. 604008; n. 13658 del 22.7.2004, rv. 574806) in tema di necessario accertamento dell'animus nocendi, inteso quale intenzionalita' dell'azione al fine di danneggiare l'altrui azienda in misura che ecceda il normale pregiudizio che ad ogni imprenditore puo' derivare dalla perdita di dipendenti in conseguenza della loro scelta di lavorare presso altra impresa. Con specifico riferimento alla fattispecie in esame la Corte affermava che l'assunzione del Ca. e del Ge. era da imputare alla consapevolezza dell'elevato livello professionale di tali dipendenti, manifestato anche dalla capacita' di instaurare procedure tecnologiche avanzate senza ricorrere ad insegnamenti ricavabili dalle metodiche della Ap. .
Anche tale ultimo rilievo appare sostenuto da adeguata e logica motivazione, che la diversa lettura dei fatti che parte ricorrente vorrebbe veder accogliere in questa sede non consente di sovvertire.
Si deve, pertanto, concludere per il rigetto del ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, che liquida in euro 5.200,00 di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre rimborso spese generali e accessori di legge.