Skip to main content

Misure di sicurezza - Condanna per omicidio colposo per il privato

- Lavoro - Misure di sicurezza - Condanna per omicidio colposo per il privato c he ha fatto lavorare un operaio senza le adeguate misure di sicurezza - articolo 589 c.p. - Corte di Cassazione Sezione 4 Penale Sentenza del 1 dicembre 2010, n. 42465

Lavoro - Misure di sicurezza - Condanna per omicidio colposo per il privato che ha fatto lavorare un operaio senza le adeguate misure di sicurezza - articolo 589 c.p. - Corte di Cassazione Sezione 4 Penale Sentenza del 1 dicembre 2010, n. 42465


Corte di Cassazione Sezione 4 Penale Sentenza del 1 dicembre 2010, n. 42465


RILEVATO IN FATTO

La Corte di Appello di Lecce ha confermato la sentenza di condanna pronunziata dal Tribunale di Brindisi Sezione di Fasano che ha ritenuto An. Or. responsabile del delitto di cui all'articolo 589 c.p. e, ritenute le concesse attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo ha condannato alla pena di otto mesi di reclusione.

L'imputato An. ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l'annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.

All'udienza pubblica del 9/7/2010 il ricorso e' stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

RITENUTO IN DIRITTO

La contestazione addebita all' An. di aver cagionato per colpa la morte di Fi. Ma. perche', in qualita' di committente di lavori edili da svolgersi nella sua abitazione, consentiva al Fi. , da lui incaricato, di svolgere i detti lavori in assenza di qualsiasi cautela atta a scongiurare i rischi di caduta dall'alto (le indagini avevano individuato lo svolgimento di attivita' lavorativa ad altezza superiore ai metri due), sicche' il Fi. , in occasione del lavoro assunto, precipitando da una impalcatura non munita di parapetti con le cautele di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 27 e non essendo provveduto di cintura di sicurezza, veniva a morte il 31/7/2001. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per:

1. Nullita' della sentenza di primo grado ex articoli 521 e 522 c.p.p., per mancata correlazione tra colpa contestata sotto il profilo omissivo improprio, riferita al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, e quella ritenuta in definitiva sotto il profilo di colpa specifica per affermata responsabilita' anche in relazione alle norme di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994 e Decreto Legislativo n. 494 del 1996 e all'elemento di riferimento dei relativi obblighi in capo all'imputato;

1 b) Nullita' della sentenza di appello ex articoli 597, 521 e 522 c.p.p., per ulteriore mancata correlazione ex se tra colpa specifica contestata e quella ritenuta in definitiva in relazione a diversi nuovi profili dei decreti legislativi citati;

2. inosservanza della legge penale. Erronea e mancata applicazione delle altre norme giuridiche rilevanti (articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione agli articoli 40 e 42 c.p.; e al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7 e al Decreto Legislativo n. 494 del 1996 nonche' al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 27 con conseguente violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 1;

2 b) manifesta illogicita' della motivazione relativa alla ritenuta caduta del lavoratore dall'impalcatura con conseguente violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 1.

3. inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (con riferimento all'articolo 606 c.p.p., lettera b), articoli 40 e 42 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 27 e conseguente violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 1.

4. Subordinata assenza di motivazione e comunque manifesta illogicita' di quella eventualmente ravvisabile in ordine alla ritenuta mancanza di verifica dell'idoneita' tecnica del lavoratore autonomo (articolo 606 c.p.p., lettera b), con violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 1.

5. Inosservanza dell'articolo 40 c.p. in ordine al nesso di causalita' tra l'eventuale ritenuta inidoneita' e l'evento per come correttamente ricostruibile con conseguente violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 1.

6. manifesta illogicita' della motivazione relativa alla ritenuta caduta del lavoratore dalla impalcatura (articolo 606 c.p.p., lettera e) con conseguente violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 1).

In subordine il ricorrente denunzia:

a) Illogicita' manifesta della motivazione relativa alla applicata equivalenza delle circostanze;

b) Inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 539 e 2697 c.c., articolo 606 c.p.p., lettera b), mancanza di motivazione;

c) Illogicita' manifesta della motivazione per apparenza della stessa (606 c.p.p., lettera e)).

Il ricorso e' infondato nella sua interezza e deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Si deve premettere che la sentenza impugnata accerta motivatamente una caduta del lavoratore, avvenuta il (OMESSO), in occasione e a causa di lavori svolti, da una altezza di "non meno di m. 3,50" e comunque a "due metri", a fronte di una qualita' accertata come autonoma della prestazione resa dal lavoratore che la sentenza di appello definisce lavoratore subordinato di altro datore di lavoro. La sentenza accerta la mancanza di cinture di sicurezza, di casco e di impalcature, queste ultime sostituite invece da "alcune tavole inchiodate" "senza parapetto" raggiungibili per mezzo di "una scala di ferro" nonche', e infine, la mancanza di qualsiasi altro presidio di sicurezza. Ancora la sentenza ritiene che l' An. abbia svolto i lavori in economia senza avere preventivamente verificato la idoneita' del lavoratore non iscritto in alcun albo artigiano o ad alcuna lista della Camera di commercio, senza nominare un direttore dei lavori e dunque assumendosi interamente il maggior rischio di una cosi' fatta organizzazione. Tanto premesso, la prima censura deve essere rigettata. Gia' la sentenza del Tribunale ha richiamato gli obblighi di cui al Decreto Legislativo n. 494 del 96 e Decreto Legislativo n. 626 del 1994 e gia' l'imputato aveva proposto in appello censura per mancata correlazione tra colpa contestata e colpa diversa ritenuta. La motivazione di appello ha illustrato per piu' profili la assenza di qualsiasi violazione dell'articolo 522 c.p.p., ponendo a base della percorso motivazionale la certa persistenza della identita' tra fatti contestati e fatti ritenuti, la piena esplicazione dei diritti di difesa rispetto alla chiara certezza dei fatti contestati, la corrispondenza della espressione "in qualita' di committente" contenuta in rubrica, alla regolazione di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994 e Decreto Legislativo n. 494 del 1996 che di quella qualita' espressamente si occupano, la comprensivita' della contestazione "in assenza di qualsivoglia cautela" alle specifiche violazioni cautelari dettagliate in sentenza, la irrilevanza della eventuale aggiunta di un profilo di colpa a quelli tutti contestati.

Il testo della sentenza impugnata individua esplicitamente le norme che identificavano la posizione di garanzia dell' An. in quelle che imponevano l'utilizzo di impalcature e l'uso di casco e cintura per le lavorazioni in altezza ed altrettanto esplicitamente menziona il Decreto Legislativo n. 626 del 1994 nonche' il Decreto Legislativo n. 494 del 1996. La corrispondenza tra norme indicate in contestazione e norme assunte a perimetrare la colpa addebitata, non puo' essere negata come invece fa il ricorso. La corrispondenza tra concatenazione causale produttiva della morte individuata in rubrica e concatenazione causale produttiva della morte individuata in motivazione e' piena ed egualmente innegabile. La doverosita' delle condotte omesse e' riassunta, nell'uno e nell'altro testo, nella assenza di qualsiasi cautela atta a scongiurare i rischi di caduta dall'alto (considerata la doverosita' di cautele per lavori ad altezza superiore ai metri uno e cinquanta disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 27 o quella di cautele necessarie solo per lavori ad altezze maggiori ritenuta da norme sostanzialmente piu' favorevoli all'imputato di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 34) qualificata ulteriormente come violazione delle norme poste a tutela della sicurezza del lavoro sia nella forma di lavoro subordinato che nella forma di lavoro autonomo. Il richiamo di altra normativa utile a confermare la ricorrenza della colpa contestata e ritenuta (Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 nonche' Decreto Legislativo n. 626 del 1994 e Decreto Legislativo n. 494 del 1996) costituisce ridondanza motivazionale e non anche violazione dell'articolo 522 c.p.p.. Il nucleo decisivo della motivazione impugnata accerta la omissione di cautele suggerite anche solo dal buon senso e dalla parametrazione delle misure essenziali previste per la prevenzione degli infortuni nell'edilizia e per il lavoro subordinato fino al 1996 con quelle concretamente omesse nel caso che ne occupa.

Anche la censura sopra indicata come 1 b) deve essere rigettata. Ribadita la separazione poco sopra operata tra nucleo centrale della motivazione e argomenti ridondanti, separazione che impone di escludere ogni utilizzo diretto del Decreto Legislativo n. 626 del 1994 e Decreto Legislativo n. 494 del 1996, resta la coincidenza tra fatti e titoli di delimitazione delle condotte doverose operata in rubrica con fatti e titoli di delimitazione delle condotte doverose operata in motivazione. Per completezza resta da rilevare che la unitaria tutela del diritto alla salute indivisibilmente operata all'articolo 32 Cost.; articolo 2087 c.c., Legge 23 dicembre 1978, n. 833, articolo 1, comma 1 impone la utilizzazione dei parametri di sicurezza stabiliti espressamente per il lavoratori subordinati nell'impresa, per ogni altro tipo di lavoro. Tale indivisibilita' delle tutele e' evidente nella loro progressiva estensione a forme di lavoro equiparate e a situazioni di istruzione (Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 3, comma 2) e nella progressiva amplificazione del campo di applicazione delle norme antinfortunistiche anche oltre la organizzazione di impresa (Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articoli 1 e 2) fino all'esercizio dell'artigianato (Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, articoli 1 e 4 come inciso da Corte Cost. 26/7/1988 n. 880) agli associati in partecipazione (articolo 4 sopra menzionato come inciso da Corte Cost. 15/7/1992 n. 332).

In una lettura diacronica della legislazione alluvionale in tema di tutela della salute (e dunque di perimetrazione delle posizioni di garanzia identificabili nel sistema delle leggi) questa Corte (Cass. Pen. Sez. 4, ud 10/11/2009 Gazzotti e altri imp) ha gia' affermato che le misure apprestate dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626 a tutela della salute per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attivita' privati e pubblici, costituiscono il sistema di protezione piu' ampio che la strumentazione giuridica attraverso i suoi metodi definitori possa realizzare. Invero il Decreto Legislativo n. 626 del 1994 appresta protezione per il diritto alla salute e per la sicurezza dei lavoratori dipendenti di un imprenditore che svolgono attivita' di lavoro nell'ambito della sua organizzazione di impresa, per i lavoratori impiegati da imprese appaltatrici che lavorino all'interno di una azienda o di una unita' produttiva, per i lavoratori autonomi affidatari di lavori all'interno di una azienda o di una sua unita' produttiva Decreto Legislativo n. 626 del 1994, ex articolo 7. La legge penale modula dunque la figura del datore di lavoro e la assunzione di obbligazioni di garanzia coerenti alle tutele di legge, su una pluralita' di modelli di lavoro in settori pubblici e privati, di lavoro subordinato direttamente utilizzato e di lavoro subordinato contrattato con terzi, di lavoro subordinato e di lavoro autonomo certamente eccedente la sola figura del lavoro subordinato come e' fatto chiaro dalla lettera del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 7 e come, a livello di assetto di sistema, consegue alla moltiplicazione delle forme di lavoro introdotta con la legislazione dei primi anni 2000 (a partire dai Decreto Legislativo del settembre 2003). La formula utilizzata dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994 supera la ristrettezza della definizione della rubrica del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 3 che, peraltro, nella combinazione (articolo 3, commi 1 e 2 dello stesso DPR) tra definizione di lavoratore subordinato e lavoratore equiparato al lavoratore subordinato agli effetti della applicazione della normativa antinfortunistica, gia' dal 1955 evidenzia la erroneita' della tesi di diritto secondo la quale l'ordinamento positivo italiano appresta la tutela della salute per i soli lavoratori subordinati.

In ogni caso la costante giurisprudenza di questa Corte ha tenuto ben fermo che per chiunque gestisce imprese, opifici, cantieri, oltre alla obbligazione di garanzia relativa ai lavoratori dipendenti dell'imprenditore o comunque presenti nei luoghi di lavoro per causa di lavoro, si aggiunge una ulteriore obbligazione di garanzia verso chiunque acceda a quegli impianti, obbligazione correlata agli obblighi specifici di sicurezza che cautelano le attivita' organizzate ma anche agli obblighi generali di non esporre alcuno a rischi generici o ambientali (Cass. 14/7/2006 n. 30587 citata dallo stesso ricorrente), derivati dalla attivita' del soggetto gravato per legge per contratto o per assunzione di fatto, dalla obbligazione di garanzia. Il secondo motivo di censura deve essere rigettato con il richiamo delle considerazioni sopra gia' svolte in punto di regole cautelari specifiche e generiche applicabili, e delle considerazioni in tema di individuazione della posizione di garanzia del proprietario (committente) che affida lavori edili in economia a lavoratore autonomo di non verificata professionalita' e in assenza di qualsiasi apprestamento di presidi anticaduta a fronte di lavorazioni in quota superiore ai metri due. Le considerazioni svolte configurano come errata la tesi in diritto secondo la quale in caso di prestazione autonoma (d'opera) il lavoratore autonomo sia comunque l'unico responsabile della sua sicurezza. Contro le tesi di ricorso deve aggiungersi che l'evidenza del rischio a cui il lavoratore fu concretamente esposto (assenza di qualsiasi presidio di sicurezza per lavori in quota superiore a metri 2) delinea al meglio le omissioni addebitate e puntualmente accertate a carico del proprietario committente. La censura di cui al punto sopra indicato come 2 b) deve pure essere rigettata. La censura propone una ricostruzione in fatto alternativa a quella motivatamente assunta dalla sentenza impugnata che con corretto governo delle regole dell'argomentazione e con critica valutazione di tutti i dati raccolti (valutazione operata anche con compiuta e non contraddittoria considerazione delle altezze di tutte le piattaforme utilizzate) e delle pur dissonanti valutazioni peritali acquisite al processo ha concluso che il lavoratore subi' una precipitazione da altezza superiore a due metri con un accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimita'.

La censura indicata come n. 2 e' egualmente da rigettare perche' erroneamente - secondo quanto si e' fin qui affermato- nega che il committente avesse alcuna obbligazione, al tempo del fatto contestato **, in ordine alla salute e alla sicurezza del lavoratore autonomo incaricato di opera dall'imputato. Anche la censura di cui al n. 3 relativa alla erronea applicazione degli articoli 40 e 42 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 27 e conseguente violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 1, deve essere rigettata. Invero la sentenza impugnata ha accertato con ragionevole certezza la altezza del punto di precipitazione e la identificazione della catena causale che lega la morte conseguente a precipitazione alla assenza di presidi anticaduta nonche', ad un tempo, la causalita' della colpa che consente di attribuire alle omissioni addebitate - nei limiti che sopra si e' detto- al committente che non onoro' le obbligazioni rivenienti dalla sua posizione di garanzia gia' sopra identificata.

La censura di cui al n. 4 e' infondata perche' ampia, costruita attraverso le regole della logica sillogistica giudiziaria, e' la motivazione che lega la scelta dei lavori in economia al dato della mancata nomina di un direttore dei lavori o di un responsabile tecnico all'altro dato dell'utilizzo di lavoratore non iscritto in alcun elenco professionale (artigianato o camera di commercio) per concludere che l'insieme di tali opzioni, in una alla mancanza di qualsiasi verifica di idoneita' del lavoratore (meramente sostituita dall'invio di costui su richiesta del committente e su indicazione di un geometra) e' prova della assenza di verifica di idoneita' professionale del lavoratore autonomo scelto.

La quinta censura e' da rigettare perche' la adeguata motivazione sulla omessa verifica della professionalita' del dipendente e' solo un episodio proprio dell'insieme di omissioni tutte accomunate nel giudizio di assenza della adozione a cura del committente di qualsiasi presidio antinfortunistico. Tale episodio e' utilizzato dalla sentenza impugnata in punto di ricostruzione del contesto omissivo nel quale maturo' l'infortunio mortale. Peraltro ancora una volta la censura proposta contro l'accertamento del fatto ritenuto in sentenza, al di la' della formula usata per qualificarla, si pone come una proposta di riesame del merito certamente non ammissibile in sede di legittimita'.

La sesta censura e' pure da rigettare perche' ancora una volta si sollecita la rivalutazione di un accertamento correttamente operato dal giudice del merito cosi' da escludere qualsiasi possibilita' di utilizzare l'articolo 530 c.p.p., comma 2 e articolo 533 c.p.p., comma 1. Avendo la ricostruzione di sentenza superato qualsiasi contraddizione e attinto una compiuta certezza al di la' di ogni ragionevole dubbio.

Le censura subordinate sono egualmente da rigettare.

La censura in ordine alla motivazione del giudizio di equivalenza tra le circostanze e' aspecifica.

La censura in ordine alla inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 539 c.p.p. e articolo 2697 c.c., e' egualmente da rigettare. La discutibile distinzione tra danno evento e danno conseguenza inappropriata a fronte della violazione di una norma giuridica posta a tutela della vita degli individui non e' adeguata a cancellare la esistenza certa di un danno monetizzabile e risarcibile (salva la verifica del suo ammontare) in ogni caso di morte cagionata per inosservanza di norme ordinamentali, sicche' il fatto principale da provare non richiede l'applicazione del criterio di riparto dell'onere della prova certamente indispensabile in ordine ai fatti (secondari) derivati da quella morte.

E' infine infondata la censura relativa al carattere apparente della motivazione che, al di la' del dissenso del ricorrente, ha fornito ampia dimostrazione delle ragioni poste a base della statuizione adottata.

Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it