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Permesso di soggiorno - disciplina prevista per i cittadini extracomunitari

Permesso di soggiorno - disciplina prevista per i cittadini extracomunitari - nomadi Rom (Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.17857/2002)

 
Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.17857/2002

  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 13/9/2000, notificato in pari data, il Prefetto della provincia di Parma disponeva l'espulsione dal territorio nazionale di H. S. ed il giorno 19 successivo provvedeva a rinnovare la notificazione di altra copia dello stesso decreto, munita del visto di conformità.

Si opponeva tempestivamente il H, cittadino macedone di etnia ROM chiedendo al Tribunale di Parma l'annullamento del decreto, viziato sotto più profili.

Con decreto 28/9/2000 l'adito Tribunale, in composizione monocratica, rigettava il ricorso affermando in motivazione: che il vizio carenza della sottoscrizione del decreto opposto era stato sanato in via di autotutela, con il rinnovo della notifica del decreto in copia conforme all'originale e con indicazione del sottoscrittore; che il diritto alla mobilità tutelata, riconosciuta ai nomadi, non comportava alcuna deroga alle norme sull'ingresso e soggiorno nello stato degli extracomunitari; che non sussistevano le condizioni per l'applicazione della tutela dei rifugiati o del divieto di espulsione per ragioni umanitarie, attraverso il relativo permesso (neanche chiesto all'opponente); che non era ipotizzabile alcuna irragionevolezza del provvedimento adottato rispetto ad assunto, e neanche comprovate, diverse tutele concesse ad altre comunità ROM.

Per la cassazione di tale decreto H. S. ha proposto ricorso notificando l'atto al prefetto di Parma il 19/7/2001 ed in esso articolando quattro motivi.

L'intimato non si è ritualmente costituito ma ha depositato memoria il 15/10/2001 in vista della discussione orale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere respinto, nessuno dei motivi sui quali esso si articola, e che devono essere separatamente esaminati, essendo meritevole di accoglimento.

Si duole, in primo luogo, il ricorrente del vizio di motivazione nel quale sarebbe incorso il Giudice del merito ipotizzando che la rinnovazione di notifica del decreto espulsivo fosse stata eseguita nell'esercizio di un diritto di autotutela, la dove le sue copie notificate riportavano due diversi sottoscrittori e quindi due dichiarazioni fidefacenti tra loro in contrasto.

La doglianza appare inconsistente, pur se la motivazione del decreto impugnato richiede una integrazione.

Ed invero, risulta che la prima copia notificata all'espulso recava il solo timbro del prefetto e difettava della necessaria attestazione di conformità della copia all'originale: l'ufficio territoriale del Governo, pertanto, ben consapevole dell'esigenza di comunicare al destinatario la sola copia munita del visto di conformità (si rammentino al proposito Cass. 6971/02, 2742/02, 13871/01) ed avvertito della necessità di correggere l'errore commesso con la prima comunicazione della copia, che, oltre a difettare di quanto testè detto, recava il timbro: il Prefetto Vicario P.T., si attivava trasmettendo all'espulso nuova copia, con corretta formula di sottoscrizione e conformità, in tal guisa escludendo che l'originario vizio della comunicazione permanesse viziando il provvedimento.

Denunzia, poi, il ricorrente la violazione della legge 302/97, della L.R. Emilia R. 47/88, 34/93, 13/98, per aver affermato che l'appartenenza alla minoranza nazionale dei nomadi di etnia ROM non avrebbe alcun effetto derogatorio sulla cogenza delle norme regolatrici della immigrazione degli extracomunitari. La censura, che indubbiamente coinvolge delicate questioni di equilibrio tra la regolamentazione comunitaria omogenea degli ingressi e della permanenza degli extracomunitari e le previsioni di tutela dell'indennità etnica di una consistente minoranza nomade presente in molti paesi dell'Unione, dovendosi invece rilevare che sussistono norme nazionali (oltre a raccomandazioni comunitarie) dirette ad assicurare tutela alle condizioni di vita di quei componenti extracomunitari della predetta popolazione che abbiano comunque un titolo per la permanenza ed il soggiorno dello Stato. Tutta la legislazione nazionale adottata negli ultimi quattro anni, infatti, dal D.leg. 286/98 alla più recente L. 189/02 (recante modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asili), sino all'ancor più recente provvedimento di legalizzazione del lavoro irregolare degli extracomunitari (D.L. 195/02 conv. In L. 9/10/2001 n. 222)[1], si muove dalla radicale premessa, frutto di scelta comune a tutti i Paesi dell'Unione, per la quale nessun soggetto extracomunitario può entrare nello Stato ed ivi stabilmente soggiornare se sia munito di visto di ingresso e di permesso di soggiorno, e cioè di un titolo amministrativo che autorizzi allo stabilimento, alla circolazione ed all'attività per specifiche tassative ragioni (visti di ingresso e permesso di soggiorno per ragioni di visita, affari, turismo, studio, lavoro, ricongiungimento familiare e motivi familiari, protezione sociale, asilo e protezione temporanea, cure mediche).

Il T.. del 1998 e la recente modifica di cui alla legge 189/02 hanno invero, entrambi a premessa qualificante di tutta la regolamentazione, quella per la quale l'ammissione ai diritti civili, in condizione di parità con il cittadino, ed alla partecipazione alla vita pubblica locale è riservata al solo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato. E le regole, assai rigorose, che da tale premessa discendono non sono affatto derogate, come assume la difesa del ricorrente, ne dalle menzionate Raccomandazioni inviate dalla Commissione ai Governi sollecitando politiche non razziste verso la popolazione degli zingari, ne dalla legge 302/97 (ratifica della Convenzione 1/2/9½i Strasburgo, sulla protezione delle minoranze nazionali) ne tampoco dalle leggi regionali (nella specie quella della Regione Emilia Romagna), nessuna delle proposte o delle norme in esse poste consentendo di affermare che l'appartenenza del soggetto extracomunitario alla etnia nomade dei ROM costituisca di per se eccezione alla regola generale della necessità del titolo di soggiorno e dovendo di contro farsi carico alle comunità interessate alla legittima permanenza sul territorio dell'Unione di chiedere, ed ottenere, dall'Amministrazione di uno degli Stati il rilascio del titolo stesso per i propri componenti.

Non è infatti invocabile la citata legge 302/97, la quale detta precise norme dirette alla garanzia dell'accesso delle minoranza ai diritti della maggioranza nazionale ed alla conservazione dei caratteri fondanti l'identità della minoranza stessa, sull'evidente presupposto che tale minoranza possa considerarsi nazionale e cioè radicata nel Paese e delle sulle leggi osservante (art. 20) e, quindi, composta da cittadini ovvero da extracomunitari ai quali l'Autorità abbia concesso (uti singuli o per appartenenza etnica, non rileva) un titolo di soggiorno.

Ne appare pertinente, ai fini divisati dal ricorrente, il richiamo alle leggi regionali dell'E.R. (47/88, 34/93, 13/98), trattandosi di norme dirette ad assicurare ai nomadi, cittadini, non cittadini, apolidi che siano, strutture logistiche ed assistenza civile onde favorire transito, sosta o se del caso l'inserimento sociale nella comunità regionale, senza che le previsioni di tali interventi sia stata intesa come possibile regolamentazione sottratta alla successiva legislazione nazionale dettante rigide ed inderogabili condizioni di ingresso e soggiorno degli appartenenti alla minoranza nel territorio dello Stato (ed essendo tale legislazione riserva esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117 lett. b, h, q, della Costituzione, come modificato dalla L. Cost. 3/01). E pertanto, non avendo il ricorrente, cittadino macedone, alcun titolo di soggiorno nello Stato, non può invocare ad escludere la legittimità della disposta espulsione il mero suo appartenere alla comunità nomade e non quindi censurare il decreto impugnato che tale ipotesi ha radicalmente, quanto esattamente, escluso.

Denunzia quindi il ricorrente la violazione dell'art. 19 comma 1 D.leg. 286/98 per aver il Giudice del merito mancato di dare rilievo al DPCdM 12/5/98 nella parte in cui ha riconosciuto i ROM tra i destinatari della protezione temporanea delle popolazioni coinvolte nella vicenda del Kossovo.

Il motivo è del tutto inconsistente.

Il Tribunale, infatti, lungi dal fornire risposte superficiali o parziali all'esigenza di protezione temporanea palesata dall'opponente con riguardo alla persecuzione alla quale la sua etnia sarebbe stata soggetta in Kossovo, ha dato risposta assolutamente conforme alla previsione del citato DPCdM, per la quale la misura di protezione temporanea sarebbe consistita nel rilascio del permesso di soggiorno valido sino al 31/12/1999 (termine prorogato dai successivi decreti 30/12/99 e 1/9/00), affermando che sarebbe stato necessario dimostrare, cosa non fatta dall'opponente, di aver richiesto il permesso in discorso. E poiché tale situazione è del tutto conforme ai principi al proposito da questa Corte affermati (Cass. 8067/02, 5056/02), ne discende l'infondatezza della censura.

Si duole, ancora, il ricorrente della violazione degli artt. 3 e 97 Cost. che sarebbe stata perpetrata da Prefetto e non avvertita dal Giudice con diverso trattamento riservato alla comunità ROM di Lucca che avrebbe da quel Prefetto ricevuto il p.d.s. per motivi umanitari.

La doglianza è inammissibile la dove non impugna, e neanche comprende, la duplice ratio decidendi data dal decreto alla reiezione della prospettazione sul punto formulata: da un canto, infatti, non si avvede il ricorrente della situazione per la quale le espulsioni per difetto di p.d.s. non avrebbe presupposti discrezionali si da far escludere la configurabilità di un eccesso di potere del Prefetto di Parma; dall'altro canto non contesta il ricorrente la esatta affermazione per la quale non vi sarebbe traccia in atti di un permesso di soggiorno di massa rilasciato, per ragioni di protezione temporanea, dal Prefetto di Lucca ed assunto a tertium comparationis della lamentata disparità di trattamento. Rigettato il ricorso, non è luogo a provvedere sulle spese non avendo l'intimato Prefetto ne effettuato regolare costituzione in questa sede ne svolto comunque attività defensionale in sede di discussione orale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2002.