compromesso e clausola compromissoria - interpretazione - clausola compromissoria - Cass. n. 23675/2013
Contenuto - Controversie sulla risoluzione del contratto - Domanda di risarcimento del danno da immagine derivante inadempimento contrattuale - Inclusione - Fondamento. Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013
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Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013
La clausola compromissoria concernente le controversie relative alla risoluzione di un contratto ricomprende nel suo ambito di applicazione la domanda di risarcimento del danno derivante da lesione del diritto all'immagine allorquando un siffatto pregiudizio sia ricollegabile non già alla violazione di doveri, con condotta perseguibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., che incombono verso la generalità dei cittadini, bensì all'inadempimento di precise obbligazioni assunte con il predetto contratto, e sia, quindi, conseguente alla invocata responsabilità contrattuale.
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Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con lodo del 6 febbraio 2002, il Collegio arbitrale previsto dal contratto di convenzionamento e fornitura di carburanti stipulato il 4 settembre 1996 tra la s.p.a. Italiana petroli, poi incorporata dall'AGIP petroli s.p.a. e la Cofin per la gestione dell'impianto ubicato in Lecce lungo la S.P. per Vergola, dichiarò risolto il contratto per inadempimento della Cofin che condannò a corrispondere alla controparte i seguenti importi: Euro 71.530 per forniture non pagate, Euro 858.578 per la risoluzione anticipata del contratto ed il mancato approvvigionamento carburanti; Euro 15.493 per mancato approvvigionamento di lubrificanti ed Euro 2.561.367 per la perdita dell'impianto GPL.
La Corte di appello di Genova con sentenza del 27 novembre 2006, ha respinto l'impugnazione principale dell'AGIP, in quanto: a) correttamente gli arbitri avevano escluso la loro competenza alla richiesta di liquidazione del danno all'immagine, avendo detto pregiudizio natura extracontrattuale, perciò non ricollegabile alle controversie derivanti dal contratto di convenzionamento indicate dalla clausola; nonché a quella di statuire sulle restituzioni conseguente ad un contratto di comodato intercorso tra le parti trattandosi di un negozio diverso, avente una distinta ed autonoma clausola compromissoria; b) non era sindacabile neppure la liquidazione equitativa del danno per il mancato approvvigionamento dei lubrificanti, collegata alla reputata inidoneità probatoria dei documenti prodotti dall'impugnante. Ha rigettato altresì l'impugnazione incidentale della Cofin, osservando: c) che il lodo contestualmente sottoscritto dagli arbitri, si era regolarmente pronunciato sulla istanza di sospensione del procedimento in attesa della decisione di altro giudizio davanti al giudice amministrativo, proposto dall'AGIP, rigettandola; d) che la controversia tra le parti prescindeva del tutto dalla legittimità dell'azione del comune che aveva negato o rimosso alcune autorizzazioni amministrative a quest'ultima società: essendo incentrata esclusivamente sull'inadempimento delle parti alle obbligazioni assunte con il contratto di convenzionamento; e) che soltanto l'AGIP rappresentata e non anche la controparte COFIN era legittimata ad eccepire il difetto di rappresentanza e/o di delega da parte dei suoi funzionari che avevano stipulati i negozi contestati; f) che apparteneva al merito della controversia riservato agli arbitri sia l'interpretazione dei criteri cui commisurare la penale, sia i parametri di quantificazione delle singole poste di danno; g) che il lodo era stato pronunciato tempestivamente nell'ambito del periodo di proroga consentita dalla stessa Cofin.
Per la cassazione della sentenza detta società ha proposto ricorso per 15 motivi; cui ha resistito la s.p.a. ENI subentrata all'AGIP, con controricorso con il quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale per 5 motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio deve anzitutto ribadire che il giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale, costituisce un giudizio a critica limitata, proponibile soltanto per determinati "errores in procedendo" specificamente previsti, nonché per inosservanza, da parte degli arbitri, delle regole di diritto nei limiti indicati dall'art. 829 cod. proc. civ., comma 2; in cui trova applicazione la regola della specificità della formulazione dei motivi, in considerazione della natura rescindente di tale giudizio e del fatto che solo il rispetto di detta regola può consentire al giudice, ed alla parte convenuta, di verificare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente ai casi di impugnabilità stabiliti dalla menzionata norma. E che nel ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso su detta impugnazione, dovendosi verificare se la sentenza medesima sia adeguatamente e correttamente motivata in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, il sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione della sentenza che ha deciso sull'impugnazione del lodo. Il che comporta che la relativa denuncia, per ottemperare all'onere della specificazione delle ragioni dell'impugnazione, non può esaurirsi nel richiamo di principi di diritto, con invito al giudice dell'impugnazione di controllarne l'osservanza da parte degli arbitri e della Corte di appello, ne' tanto meno in una semplice richiesta di revisione delle valutazioni e dei convincimenti in diritto del giudice dell'impugnazione; ma esige per un verso un pertinente riferimento ai fatti ritenuti dagli arbitri, per rendere autosufficiente ed intellegibile la tesi secondo cui le conseguenze tratte da quei fatti violerebbero i principi medesimi (Cass. 23670/2006; 6028 e 10209/2007; 21035/2009). E per altro verso l'esposizione di argomentazioni intellegibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, con cui il ricorrente è chiamato a precisare in qual modo - se per contrasto con la norma indicata o con l'interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (Cass. 3383/2004;
12165/2000; 5633/1999).
Questi principi non sono stati osservati nei motivi del ricorso principale appresso precisati che si sono concretati, ciascuno, nella mera riproposizione della censura in diritto già formulata contro il lodo, senza alcuna considerazione della risposta alla stessa fornita dai giudici dell'impugnazione: come se questa non fosse mai intervenuta. Per cui, la Corte deve dichiarare inammissibili: 1) il primo motivo che lamenta la mancata declaratoria di estinzione dell'impugnazione di AGIP avente il n.r.g. 252/02 senza considerare che la sentenza ha rilevato che non trattavasi di un autonomo giudizio di impugnazione, ma di una delle due impugnazioni proposte contro il lodo (quella della COFIN aveva originato il procedimento 374/02) e necessariamente riunite per il disposto dell'art. 335 cod. proc. civ.; con la conseguenza che avendo dato luogo ad un unico e non più scindibile giudizio non era più possibile riassumerlo soltanto in parte o limitatamente ad una delle due impugnazioni (con esclusione dell'altra); 2) il secondo che ripropone il mancato rispetto delle modalità di sottoscrizione degli arbitri e datazione del lodo, senza tener conto della risposta della decisione impugnata, che, invocando la giurisprudenza di legittimità al riguardo ha osservato che l'indicazione del luogo e della data di ciascuna sottoscrizione è necessaria solo quando gli originali del lodo sono formati in tempi diversi. E non anche nella fattispecie in cui, invece, gli arbitri avevano sottoscritto contestualmente il lodo apponendovi altresì la data della comune deliberazione; 3) il sesto ed il quattordicesimo in cui è apoditticamente riproposta la triplice questione (senza un valido quesito di diritto) che il lodo non aveva consentito a Cofin di escutere i propri testi eventualmente disponendone l'acquisizione presso le loro residenze; neppure di escutere alcuni testi dell'AGIP fatti propri nel corso del giudizio;
ed aveva proseguito l'udienza istruttoria del 27 ottobre 2001 in assenza di un componente del collegio: ancora una volta senza considerare la risposta (pag. 44 sent.) dei giudici dell'impugnazione a ciascuna delle identiche censure formulate nell'atto di impugnazione; 4) l'ottavo sull'asserita modifica della clausola penale da parte del collegio arbitrale smentita con articolata motivazione dalla sentenza impugnata che ha dimostrato la correttezza dell'interpretazione recepita dal lodo dell'art. 9 del contratto; e riproposta nei medesimi termini dalla COFIN che si è limitata a trascrivere per intero la disposizione contrattuale al termine della quale ha riassunto la propria diversa interpretazione della clausola corredandola con un quesito di diritto privo di collegamento con la questione suddetta, nuovamente con esso sostenendosi l'impossibilità per il giudice di appello "di modificare il testo della clausola penale" (pag. 129 ric.); 5) il decimo relativo alla mancanza di prova della cessazione di acquisti di lubrificanti, che difetta altresì di autosufficienza non essendo stati riferiti ne' i fatti materiali che hanno dato causa alla vicenda, ne' tanto meno le risultanze istruttorie ritenuti insufficienti su cui si è fondato il giudizio arbitrale (indicate soltanto dalla controparte); 6) l'ultimo motivo (indicato come 16) relativo alla violazione del contraddittorio per assegnazione di termini inferiori a quelli stabiliti dall'art. 190 cod. proc. civ., in cui la Cofin si è limitata a riassumere le censure già prospettate nel giudizio di impugnazione senza contestare le puntuali osservazioni della sentenza impugnata al riguardo e corredandole con un irrilevante, abnorme quesito ex art. 366 bis cod. proc. civ., con il quale ha denunciato "la violazione delle regole del cod. proc. civ. e la violazione del principio del contraddittorio".
La Corte deve, poi dichiarare inammissibili anche il terzo (sulla sospensione del giudizio), nono (sulla inefficacia del contratto a far data dal 1998) ed undicesimo motivo (sulla incompetenza del lodo a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria) per la novità delle questioni proposte, per la prima volta davanti al giudice di legittimità: A) Quanto alla sospensione, infatti, la sentenza impugnata ha rilevato che Cofin aveva addebitato al collegio arbitrale unicamente di avere omesso ogni pronuncia in merito alla propria richiesta di sospensione del procedimento arbitrale in attesa della decisione del giudice amministrativo sul ricorso dell'AGIP contro il provvedimento 17 marzo 1999 che aveva rilasciato alla Cofin una nuova autorizzazione includendovi anche l'impianto GPL, nonché la determinazione dirigenziale che aveva dichiarato la decadenza retroattiva dell'ente a far data dall'1 dicembre 1998 dalla concessione a suo tempo rilasciatagli, nonché contro provvedimenti e comportamenti collegati, per cui ha smentito tale omessa pronuncia indicando le parti del lodo in cui il collegio arbitrale aveva preso in considerazione la richiesta respingendola. E concludendo che, al più, la pronuncia era sindacabile sotto il profilo del difetto di motivazione, tuttavia non denunciato dalla Cofin (pag. 42 sent.). Pertanto a meno di non contestare quest'ultimo rilievo deducendone l'illogicità e trascrivendo la parte dell'atto di impugnazione in cui la censura sarebbe stata invece formulata, alla società era precluso mutare la doglianza in sede di legittimità trasformandola nella denuncia di omessa, insufficiente ed erronea motivazione della statuizione sulla sospensione che invece nell'atto di impugnazione si era asserito mancante del tutto; per poi dedurre nel quesito di diritto a corredo del motivo altra tipologia di censura ancora diversa, fondata questa volta su un errore di diritto per non avere la sentenza impugnata rilevato la "necessità" della sospensione in attesa del passaggio in giudicato della decisione amministrativa; B) Delle altre questioni, infine, non vi è cenno nella sentenza impugnata, per cui la società ricorrente poteva evitare una statuizione d'inammissibilità, per novità, delle censure soltanto se - nel mentre asseriva di aver dedotto le relative questioni davanti al giudice "a quo" - avesse indicato anche in quale atto e/o in quale momento del giudizio precedente lo avesse fatto, in modo da dare al Collegio il modo di controllare, ex actis, la veridicità di tale asserzione prima di passare al merito delle stesse. Con il quarto e quinto motivo, la ricorrente deducendo violazione della legge processuale, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, insiste nel sostenere che il lodo arbitrale abbia statuito su materia riservata al giudice amministrativo ed allo stesso specificamente devoluta con apposito ricorso dall'AGIP, quale la perdita del titolo abilitativo dell'ente allo esercizio della attività di distribuzione G.P.L.: con conseguente decisione di contenuto opposto a quella adottata dal TAR. Mentre la Corte di appello onde salvare il lodo che invece si era costantemente riferito alla perdita del titolo abilitativo aveva riferito il danno alla violazione dell'art. 9 del contratto di convenzionamento da parte di essa società, ne aveva mutato la causale facendo riferimento al disagio per non avere l'AGIP disposto per un certo periodo e per aver dovuto spostare il titolo abilitativo"; era incorsa in ulteriori vizi di motivazione arrivando a sostenere che vi fossero due decisioni nel lodo arbitrale per la stessa violazione contrattuale; ed omesso infine di considerare che la controparte non aveva perduto alcun titolo abilitativo per la vendita del GPL, ma ne aveva - essa stessa - chiesto il trasferimento ad altro impianto di sua proprietà ubicato nella Via Vergole. Queste censure sono in parte inammissibili, in parte infondate:
inammissibili laddove hanno addebitato alla sentenza impugnata errori di interpretazione della clausola contrattuale, nonché di valutazione delle risultanze istruttorie inerenti al titolo abilitativo in possesso dell'AGIP, nonché di motivazione senza formulare per ciascuno di essi un apposito quesito di diritto come prescritto dall'art. 366 bis cod. proc. civ.: invece limitato alla materia asseritamente di pertinenza del giudice amministrativo. Tale profilo è invece infondato, avendo correttamente la sentenza impugnata osservato che oggetto del presente giudizio non era affatto l'eventuale privazione del titolo abilitativo all'esercizio dell'attività di distribuzione di GPL localizzata in Lecce, da parte dell'autorità comunale, infatti devoluta alla cognizione del giudice amministrativo; bensì l'inadempimento della Cofin alle obbligazioni assunte con il contratto di convenzionamento stipulato il 4 settembre 1996 con l'AGIP per la fornitura e distribuzione di carburanti, la risoluzione del contratto per fatto e colpa di detta società, nonché la condanna di quest'ultima al risarcimento del danno. Il che trova riscontro nello stesso ricorso ove la Cofin ha riferito (pag.10) che controparte con l'atto di accesso agli arbitri aveva richiesto: "1) la risoluzione del contratto di fornitura esclusiva per inadempimento imputabile alla Cofin; 2) la condanna della Cofin al risarcimento dei danni derivanti dall'inadempimento del contratto di fornitura.... 3) la condanna della Cofin al pagamento delle somme di cui essa è debitrice..." sicché la controversia aveva per oggetto esclusivamente diritti ed obbligazioni nascenti dal menzionato contratto di diritto privato, sempre attribuiti, maggior ragione dopo la nota decisione 204/2004 della Corte Costituzionale, alla giurisdizione ordinaria. Mentre è significativo che il collegio arbitrale, come rilevato dalla Corte territoriale (pag. 44), ha esaminato esclusivamente l'aspetto della condotta della Cofin assunta in violazione degli impegni contrattuali senza considerare neppure l'aspetto amministrativo della questione ritenuto ai fini del decidere del tutto irrilevante: profilo che in nessun caso poteva costituire oggetto di giurisdizione amministrativa occorrendo al riguardo che almeno uno dei due soggetti fosse una p.a. (o un soggetto dalla stessa delegato al compimento di un'attività). Ed avendo le Sezioni Unite della Corte ripetutamente affermato che le controversie tra privati appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario quale che ne sia l'oggetto, salvo restando il potere-dovere di detto giudice di accertare incidentalmente questioni di pubblico interesse ovvero l'eventuale illegittimità di provvedimenti amministrativi invocati dalle parti a sostegno delle proprie pretese e di disapplicarli ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E (Cass. sez. un. 21578/2011; 6887/2003; 9555/2002). Con il settimo ed il dodicesimo motivo, Cofin, deducendo violazione degli artt. 1382 e 1384, 1399 cod. civ. nonché vizi di motivazione, insiste nella nullità del contratto di convenzionamento, nonché della clausola compromissoria in esso contenuta, in quanto:
a)stipulato da soggetto - l'ing. Giordano rappresentante dell'IP - privo di poteri e comunque oltre i poteri conferitigli dalla società rappresentata che d'altra parte non lo aveva mai ratificato; b) siffatta ratifica era comunque da escludere in radice per la volontà di risolvere il contratto per inadempimento manifestata dall'AGIP; c) in ogni caso la controparte non si era pronunciata sulla lettera di invito a ratificare i poteri del rappresentante in data 27 agosto 1999, con la conseguenza che la ratifica doveva intendersi negata ai sensi dell'art. 1399 cod. civ., comma 4; d) infine nessuna comunicazione di subentro di AGIP nell'accordo di convenzionamento veniva inviata ad essa ricorrente, per cui trattandosi di negozio fondato sulla qualità dei contraenti era da escludersi il sub ingresso automatico di detta società nella sua titolarità. Anche queste censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate. Inammissibili nella parte in cui rivolte nei confronti del lodo arbitrale che non aveva accolto le eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità del ricorso di AGIP per la dedotta nullità dell'accordo di quanto oggetto del ricorso a questa Corte può essere esclusivamente, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., la sentenza emessa dal giudice dell'impugnazione, i cui vizi soltanto Cofin poteva fare valere in questa sede di legittimità. E laddove pongono la questione della lettera-invito 27 agosto 1999 senza indicare se sia stata già prospettata nel procedimento arbitrale, e poi ripetuta nell'atto di impugnazione;e senza trascriverne nel ricorso il contenuto, interamente contestato dalla controparte anche con riguardo alla funzione attribuita dalla ricorrente alla missiva. Mentre la questione della mancata comunicazione alla ricorrente della successione dell'AGIP petroli (neppure menzionata nel quesito ex art. 366 bis cod. proc. civ.) è posta ancora una volta senza tenere in alcun conto della risposta ad identica censura, fornita dalla decisione impugnata la quale ha rilevato che detta comunicazione non è prevista dall'art. 2504 cod. civ.; e che comunque la successione nel contratto derivava direttamente dalla menzionata normativa, oltre ad essere stabilita dall'atto di fusione.
Non è poi esatto che la sentenza non si sia pronunciata sulle eccezioni della Cofin relative alla carenza dei poteri da parte dei soggetti rappresentanti dell'AGIP (e della società avente causa) in ordine al contratto di convenzionamento, nonché agli atti successivi avendo la Corte di appello affrontato il problema a monte escludendo in radice la legittimazione della ricorrente a sollevare dette eccezioni posto che pur se questi soggetti non avessero avuto il potere di rappresentanza in questione, il contratto secondo la giurisprudenza non era da considerarsi nullo, ma semplicemente inefficace nei confronti del solo rappresentato; che era l'unico soggetto ad invocare tale carenza ovvero, per converso l'avvenuta ratifica ai sensi dell'art. 1399 cod. civ..
E tale ratio decidendi non solo non è stata impugnata da Cofin, ma non era neppure impugnabile, essendo assolutamente aderente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui il negozio concluso dal "falsus procurator" costituisce una fattispecie soggettivamente complessa a formazione successiva, la quale si perfeziona con la ratifica del "dominus", e, come negozio "in itinere" o in stato di pendenza (però suscettibile di perfezionamento attraverso detta ratifica), non è nullo, e neppure annullabile, bensì inefficace nei confronti del "dominus" sino alla ratifica di questi; tale (temporanea) inefficacia non è, tuttavia, rilevabile d'ufficio, ma solo su eccezione di parte e la relativa legittimazione spetta esclusivamente allo "pseudo-rappresentato", e non già all'altro contraente, il quale, ai sensi dell'art. 1398 cod. civ., può unicamente chiedere al "falsus procurator" il risarcimento dei danni sofferti per aver confidato senza propria colpa nella operatività del contratto (Cass. 14618/2010, - 2860/2008;
27335/2005, - 3872/2004).
Inammissibile è infine anche il 13 motivo, con cui Cofin deducendo imprecisati errori di diritto, nonché vizi di motivazione ribadisce che il lodo sarebbe stato pronunciato oltre il termine consentito dalla clausola e dall'art. 820 cod. proc. civ., che era il 24 dicembre 2001: entrambi i giudici di merito hanno infatti rilevato in contrario: a) che una interpretazione non solo letterale, ma anche logico-sistematica della clausola compromissoria induceva a ritenere che il termine doveva iniziare a decorrere dalla costituzione del collegio arbitrale avvenuta l'11 maggio 2001; b) che anche la Cofin aveva accettato tale decorrenza aderendo nell'udienza dell'8 giugno 2001 alla richiesta di proroga in relazione al periodo 1 gosto-15 settembre 2001; c) che non aveva contestato neppure la proroga di 180 giorni disposta dal collegio arbitrale ex art. 820 cod. proc. civ., con ordinanza del 24 luglio 2001: perciò rendendo tempestiva la pronuncia del lodo in data 6 febbraio 2002 nell'ambito di dette proroghe.
Nessuna violazione dei canoni ermeneutici è stata dedotta da Cofin che si è limitata ad invocare la decisione 10922/2002 di questa Corte riguardante tutt'altra fattispecie in cui veniva in discussione trascrizione e prescrizione della domanda, con la precisazione che l'art. 820 cod. proc. civ., non ha inteso indicare un termine generale valevole per ogni caso concreto, questo rimettendo anzitutto alla volontà delle parti; per cui la censura si concreta ancora una volta nella mera riproposizione della propria interpretazione della clausola compromissoria al riguardo, non consentita nel giudizio di impugnazione del lodo arbitrale.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la soc. ENI, subentrata all'AGIP petroli, deducendo violazione dell'art. 829 cod. proc. civ., n. 4, censura la sentenza impugnata per avere confermato il lodo pure laddove aveva ritenuto che tanto il danno all'immagine da essa richiesto, quanto quello per equivalente costituito dalla restituzione delle attrezzature esulassero dalla clausola compromissoria, che invece comprendeva tutte le controversie relative all'esecuzione del contratto di convenzionamento; sicché fra di essi rientravano tanto il danno all'immagine conseguente all'inadempimento dell'obbligo di non esporre marchi ed insegne diversi da quelli di IP, ex art. 4 dell'Accordo, quanto quello di restituire le attrezzature consegnate alle controparte peraltro con specifico contratto di comodato, che prevedeva pur esso apposita clausola compromissoria.
Questo motivo è fondato nei limiti appresso precisati. È pacifico in punto di fatto che la clausola contenuta nell'art. 22 del contratto di convenzionamento devolveva ad un giudizio arbitrale "tutte le controversie che potessero sorgere relativamente...alla risoluzione del presente contratto..": fra le quali tanto il collegio arbitrale, quanto la Corte di appello hanno correttamente incluso non soltanto quelle rivolte a pronunciare detta risoluzione per inadempimento di una delle parti ai sensi dell'art. 1453 cod. civ., ma anche quelle dirette alla consequenziale liquidazione del danno dovuto risarcire dalla parte inadempiente alla controparte in conseguenza e per effetto del proprio inadempimento. Per cui tra di esse ben poteva rientrare la dedotta lesione del diritto all'immagine della società; il quale seppure può essere denunciato quale violazione di doveri - con condotta perseguibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. - che incombono verso la generalità dei cittadini, perciò sotto tale profilo esulando dal contenuto della clausola compromissoria, poteva nel caso, per converso, essere invocato dall'AGIP, quale violazione riferibile a precise obbligazioni assunte con il contratto di convenzionamento (Cass. sez. un. 11045/2004;
8904/2003; 11756/2002): e quindi quale pregiudizio conseguente (Cass. 12927/2007) all'accertata responsabilità contrattuale della Cofin. E nel caso le parti avevano specificamente previsto nell'art. 4 del contratto (riportato dalla società nel ricorso e non contestato dalla controparte) quale ulteriore obbligazione a carico di Cofin onde tutelare l'immagine ed il marchio della concedente, di non esporre marchi diversi da quelli IP per la reclamizzazione di prodotti diversi, e soprattutto di rimuovere ed alterare le insegne IP, con conseguente responsabilità per il pregiudizio arrecato (anche) alla immagine di quest'ultima per l'inadempimento di detta specifica obbligazione posta dalle stesse parti: perciò pur esso rientrante nella clausola compromissoria e salvo rimanendo il potere- dovere del giudice di merito di accertare se in concreto il suddetto danno conseguenza dell'inadempimento in questione sussistesse, individuarne la specie e determinarne l'ammontare eventualmente procedendo anche ad una liquidazione in via equitativa. Laddove tanto il lodo, quanto la sentenza impugnata hanno omesso del tutto la relativa indagine anche in ordine alla pattuizione suddetta nonché alle relative conseguenze, muovendo dall'erroneo presupposto che il danno all'immagine debba derivare sempre e comunque dalla violazione di regole di condotta generale; e perciò avere necessariamente fondamento extracontrattuale pur quando le parti lo prevedano quale conseguenza di una specifica violazione contrattuale (pag. 37 sent.). Per quanto riguarda, invece, la domanda di restituzione delle attrezzature nonché di danno per equivalente collegata all'art. 3 del contratto di convenzionamento, i giudici di merito non hanno disconosciuto affatto l'esistenza di siffatta disposizione contrattuale, ne' tanto meno che la mancata restituzione traesse origine dal rapporto instaurato tra le parti con il negozio suddetto, ma hanno rilevato (pag. 39 sent.) che la relativa obbligazione aveva costituito oggetto di un secondo e distinto contratto di comodato stipulato tra le stesse parti; che ne prevedeva una specifica disciplina anche in caso di inadempimento: perciò sottratta all'ambito di applicazione della clausola compromissoria del contratto di convenzionamento.
Pertanto non giova alla società che non ha contestato la sussistenza di tale secondo negozio dedurre che anche questo conteneva una clausola compromissoria che devolve le relative controversie ad un collegio arbitrale, una volta che per un verso non ne ha trascritto il contenuto nel ricorso onde portarlo a conoscenza del giudice di legittimità; e dall'altro non ha prospettato neppure di essersi avvalso nel procedimento arbitrale della tutela concessa da detta seconda clausola, ne' tanto meno di avere richiesto l'instaurazione di un unico procedimento arbitrale assumendo che trattavasi della risoluzione di controversie connesse nascenti da contratti collegati, contenenti clausole compromissorie di identico contenuto (Cass. 12321/2007).
Con il secondo motivo, l'ENI, deducendo violazione dell'art. 829 cod. proc. civ., nn. 10 e 12, censura la sentenza impugnata per avere respinto la propria richiesta del maggior danno provocato su ogni litro dei diversi tipi di carburante non venduti per l'inadempimento della controparte; e risultante dal notorio in quanto l'ammontare dei margini medi netti delle società petrolifere viene pubblicato da giornali e riviste.
Con il terzo si duole che sia stata respinta la domanda risarcitoria per l'indebita rimozione da parte di Cofin delle insegne AGIP nonché per la loro sostituzione con quelle della soc. concorrente Q8 ritenendo erroneamente il danno non provato senza aggiungere alcun'altra motivazione.
Con il quarto lamenta l'avvenuta liquidazione equitativa del danno per cessazione di acquisto di lubrificanti, invece richiesta da essa ricorrente nella misura di Euro 67.000, senza spiegarne le ragioni;
ed assumendo erroneamente che la motivazione del lodo doveva essere valutata nella sua globalità.
Queste censure sono in parte inammissibili, in parte infondate:
inammissibili laddove si rivolgono nei confronti di violazioni in cui è incorso il lodo, ovvero ne censurano la motivazione confermata dai giudici dell'impugnazione, senza riportarla nel ricorso sì da consentire al giudice di legittimità di valutarne la ricorrenza nonché di stabilire se mancava del tutto sì da non consentire di cogliere la ragione della decisione.
Le stesse sono invece infondate laddove prospettano che gli utili per litro di carburante fornito da una società petrolifera costituiscano un fatto notorio, senza considerare la giurisprudenza di legittimità al riguardo, secondo cui il fatto notorio, derogando al principio dispositivo ed a quello del contraddittorio, e dando luogo a prove non fornite dalle parti e relative a fatti da esse non vagliati e controllati, dev'essere inteso in senso rigoroso, cioè come fatto acquisito con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile, e non quale evento o situazione oggetto della mera conoscenza del singolo giudice. Con la conseguenza che, per aversi fatto notorio occorre, in primo luogo, che si tratti di un fatto che si imponga all'osservazione ed alla percezione della collettività, di modo che questa possa compiere per suo conto la valutazione critica necessaria per riscontrarlo, sicché al giudice non resti che constatarne gli effetti e valutarlo soltanto ai fini delle conseguenze giuridiche che ne derivano; in secondo luogo, occorre che si tratti di un fatto di comune conoscenza, anche se limitatamente al luogo ove esso è invocato, o perché appartiene alla cultura media della collettività, ivi stanziata, o perché le sue ripercussioni sono tanto ampie ed immediate che la collettività ne faccia esperienza comune anche in vista della sua incidenza sull'interesse pubblico che spinge ciascuno dei componenti della collettività stessa a conoscerlo (Cass.2808/2013; 24959/2005). Laddove detti presupposti non sono stati neppure prospettati dalla ricorrente, perciò correttamente inducendo la Corte territoriale a confermare che la relativa voce di danno non era stata provata.
Quanto, infine, al potere di liquidare in via equitativa il danno, ai sensi dell'art. 1226 cod. civ., che consiste nella possibilità del giudice del merito di ricorrere, anche d'ufficio, a criteri equitativi per supplire all'impossibilità o alla notevole difficoltà della prova del danno risarcibile nel suo preciso ammontare, questa Corte ha ripetutamente affermato che per pervenire alla valutazione con il criterio suddetto, è sufficiente che il giudice dia l'indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico in base al quale lo ha adottato: restando così incensurabile, in sede di legittimità, l'esercizio di questo potere discrezionale. Sicché in aderenza a detti principi la sentenza impugnata sul punto non compresa dalla ricorrente ha rilevato che detta valutazione adottata dal lodo si appalesava corretta, sia perché la documentazione prodotta dall'AGIP non offriva la prova certa dei maggiori utili pretesi, sia perché il lodo aveva sufficientemente motivato sulla loro inidoneità: sol che la relativa motivazione si ricavava non da una sola unica proposizione, ma dal complesso delle argomentazioni svolte dal collegio arbitrale al riguardo.
Pertanto per impugnare detta statuizione non era sufficiente alla ricorrente dissentire (soltanto) dall'ultima di dette argomentazioni, dovendo invece trascrivere anzitutto quella parte di documentazione prodotta e già idonea (a suo giudizio) a dimostrare l'esatto ammontare degli utili perduti; e quindi le argomentazioni del lodo a loro volta ritenute insufficienti ad autorizzare il ricorso alla valutazione equitativa.
Assorbito, conclusivamente l'ultimo motivo, relativo alla liquidazione delle spese processuali, la Corte deve cassare la sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso incidentale accolto, respingere tutte le altre censure e rinviare alla Corte di appello di Genova, che in diversa composizione provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso principale, accoglie per quanto di ragione il primo motivo dell'incidentale, respinge i successivi dal secondo al quarto, assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per la liquidazione delle spese processuali alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2013
riferimenti normativi|blue
Cod. Proc. Civ. art. 808
Cod. Proc. Civ. art. 808 quater
Cod. Civ. art. 1453
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