procedimento arbitrale - termini Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 21468 del 19/09/2013
arbitrato - Termine per adire il collegio arbitrale - Natura perentoria - Fondamento. Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 21468 del 19/09/2013
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Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 21468 del 19/09/2013
In tema di arbitrato rituale il termine, convenzionalmente previsto dalla clausola compromissoria per la promozione del procedimento arbitrale, deve essere qualificato come perentorio, secondo quanto desumibile dallo scopo perseguito e dalla funzione che esso è destinato ad assolvere, in quanto segna il discrimine temporale tra il ricorso alla giustizia arbitrale e l'esercizio del fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale e, quindi, il limite di efficacia della deroga all'art. 102, primo comma, Cost., mentre negare la perentorietà vanificherebbe l'utilità del procedimento arbitrale, che sarebbe proponibile "sine die", ed, al contempo, la possibilità di un tempestivo esercizio del diritto garantito a tutti dall'art. 24, primo comma, Cost.
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Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 21468 del 19/09/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Nel 1985, gli architetti Antonio Ma...., D'..... Marcello e Fu.... Cl..... furono incaricati dal Comune di Brindisi per la redazione del progetto esecutivo, nonché per la direzione, l'assistenza e la contabilizzazione dei lavori di costruzione di un complesso per alloggi popolari in Brindisi. Stipulata dalle parti in data 28 ottobre 1985 la relativa Convenzione, questa prevedeva, all'art. 21, il deferimento ad arbitri delle controversie che potrebbero sorgere relativamente alla liquidazione di compensi previsti dalla presente convenzione e che non si fossero potute definire in via amministrativa ... nel termine di trenta giorni da quello in cui fu notificato il provvedimento amministrativo.
Nel 1987, redatto e consegnato al Comune il progetto esecutivo dell'opera, ai professionisti fu corrisposto il relativo compenso. Nel 1999, il Comune di Brindisi, nel dare inizio ai lavori, incaricò altri professionisti per la direzione e l'assistenza ai lavori, sicché i tre originari professionisti, con nota del 26 febbraio 1999, chiesero al Comune la maggiorazione del già corrisposto compenso, per "incarico parziale", ai sensi degli artt. 10 e 18 della Tariffa professionale approvata con la L. 2 marzo 1949, n. 143. Con nota del 28 maggio 1999, il dirigente dell'ufficio legale del Comune, sul rilievo che il recesso dell'ente doveva ritenersi legittimo, comunicò ai professionisti che l'Amministrazione comunale non poteva accedere alla loro richiesta.
Rimasta senza risposta la successiva missiva dei professionisti in data 17 luglio 2000, gli stessi promossero il procedimento arbitrale con atto notificato il 1 febbraio 2002.
In contraddittorio con il Comune di Brindisi - il quale, tra l'altro, eccepì la carenza di potestas judicandi del Collegio arbitrale, perché tardivamente adito dai professionisti -, il Collegio, con lodo del 18 luglio-9 ottobre 2003, condannò il Comune a pagare ai professionisti la somma di Euro 20.653,20, oltre interessi. In particolare, il Collegio, nel respingere la predetta eccezione pregiudiziale del Comune, affermò che il termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento amministrativo, previsto dalla convenzione per l'instaurazione del procedimento arbitrale, non ha carattere perentorio.
2. - Con citazione del 25 marzo 2004 dinanzi alla Corte d'Appello di Lecce, il Comune di Brindisi impugnò il lodo, deducendone, tra l'altro, la nullità sulla base della predetta eccezione di intempestività della promozione del procedimento arbitrale, e deducendo altresì, nel merito, che il diritto alla maggiorazione del compenso fatto valere dai professionisti era, in ogni caso, prescritto.
In contraddittorio con i tre professionisti - i quali conclusero per il rigetto dell'impugnazione - la Corte adita, con la sentenza n. 764/2005 del 5 dicembre 2005, in via rescindente, ha dichiarato la nullità del lodo e, in via rescissoria, ha rigettato la domanda proposta dagli stessi professionisti.
In particolare, la Corte:
a) quanto alla carenza di potestas judicandi degli arbitri (giudizio rescindente), ha affermato: La natura perentoria del termine di cui si tratta art. 21 della menzionata Convenzione cit. va riconosciuta, anche in mancanza di una espressa previsione letterale (Cass. 8739/98), in base ad una complessiva lettura della clausola negoziale, dato che la comune intenzione dei contraenti aveva come scopo di pervenire ad una rapida instaurazione del procedimento arbitrale, nel caso si fosse optato per tale tipo di definizione delle controversie, e ciò per le esigenze di certezza correlate all'azione della pubblica amministrazione. Se il termine non avesse natura perentoria, la clausola non avrebbe alcuna operatività. Nè detto termine appare irragionevole o lesivo del diritto di azione, posto che gli interessati avrebbero potuto sempre agire dinanzi al giudice ordinario per la tutela dei loro diritti. Ciò posto, con missiva del 28/5/1999 ..., il Comune rendeva noto, in relazione alla missiva del 26/2/1999 inviata dagli odierni convenuti, che la richiesta dei professionisti di maggiorazione del compenso per incarico parziale non poteva essere accolta. Con successiva missiva del 17/7/2000 i professionisti chiedevano il pagamento delle loro spettanze, entro e non oltre il termine di 30 giorni dalla ricezione della missiva, con riserva, in mancanza, di avvio del procedimento arbitrale. Pertanto, la procedura per la pronunzia del lodo avrebbe dovuto essere perentoriamente attivata nei trenta giorni successivi al 28/5/1999. Invece, detta procedura è stata attivata dai professionisti con atto notificato il 1 febbraio 2002 ..., è quindi evidente la tardività di cui si è detto;
b) quanto al merito della domanda dei professionisti (giudizio rescissorio), ha affermato:... il diritto degli odierni convenuti è ... prescritto, posto che gli stessi hanno ricevuto il pagamento delle loro spettanze (circostanza pacifica) già nel 1987 e da allora nessun atto interruttivo è stato compiuto sino alla spedizione della lettera del febbraio 1999, con cui reclamavano la maggiorazione per incarico parziale. L'affermazione secondo la quale i professionisti solo nel 1999 avrebbero verificato, per facta concludentia, che il Comune aveva deciso di escluderli dalla direzione dei lavori e che solo da tale momento avrebbe potuto decorrere la prescrizione, è priva di pregio, in quanto l'inerzia del Comune nella realizzazione del progetto e, quindi, nell'affidamento dei lavori di direzione agli stessi professionisti, protrattasi per oltre undici anni dal pagamento del compenso relativo alla progettazione, ben consentiva loro, anche prima della spedizione della missiva del 26/2/1999, di formulare le loro richieste e agire in giudizio per la tutela dei loro diritti. La tesi secondo cui l'accertamento del mancato affidamento della direzione dei lavori sarebbe potuto avvenire anche a distanza di più di dieci anni dal primo pagamento, con la conseguenza che la pretesa relativa alla dedotta maggiorazione sarebbe rimasta indefinitamente in vita, con tutti gli effetti agevolmente ipotizzabili, si pone, infatti, in insanabile contrasto con l'esigenza, che è sottesa all'istituto della prescrizione, di definizione dei rapporti entro un tempo ragionevole e determinato. 3. - Avverso tale sentenza gli architetti Antonio Ma...., D'..... Marcello e Fu.... Cl..... hanno proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi di censura.
Il Comune di Brindisi, benché ritualmente intimato, non si è costituito ne' ha svolto attività difensiva.
All'esito dell'odierna udienza di discussione, il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, ovvero, in subordine, per l'accoglimento del primo motivo con assorbimento degli altri.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo (con cui deducono: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1369 e 1371 c.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2965 e 2966 c.c. Violazione e falsa applicazione dell'art. 152 c.p.c. e della L. n. 241 del 1990, artt. 2, 3 e segg.. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 261 del 2000, artt. 36 e 101. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), i ricorrenti criticano la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettera a), sostenendo che i Giudici a quibus hanno - quanto alla natura perentoria del termine stabilito nella convenzione per adire il collegio arbitrale -: individuato la comune intenzione delle parti con motivazione apodittica e comunque insufficiente; omesso di tenere conto di precedenti analoghi in senso contrario della stessa Corte d'Appello di Lecce; omesso di applicare il criterio ermeneutico, di cui all'art. 1371 c.c., comma 1, dell'interpretazione del contratto nel senso meno gravoso per l'obbligato, nonché l'art. 2965 cod. civ. sulla nullità dei patti che stabiliscono termini di decadenza che comportano l'eccessiva difficoltà dell'esercizio del diritto ad una delle parti; erroneamente ed immotivatamente inteso la nota del Comune di Brindisi del 28 maggio 1999 come provvedimento amministrativo e, quindi, come valido dies a quo del termine di trenta giorni per la promozione del giudizio arbitrale. Con il secondo motivo (con cui deducono: Violazione e falsa applicazione dell'art. 830 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell'art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), i ricorrenti criticano la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettera a), richiamando l'orientamento della Corte di cassazione, secondo cui l'inosservanza del termine previsto nella clausola compromissoria per l'instaurazione del procedimento arbitrale rientra nel motivo di impugnazione di cui all'art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, con la conseguenza che la sentenza che ha dichiarato la nullità del lodo per tale motivo, limitandosi a negare il potere decisorio degli arbitri (con implicita affermazione della competenza del giudice ordinario) e ritenendo correttamente preclusa la possibilità del giudizio rescissorio, ha natura di pronuncia sulla sola competenza, impugnabile in assenza di una norma derogatoria solo con il regolamento necessario di competenza (sentenza n. 8739 del 1998). Da tale orientamento discenderebbe che i Giudici a quibus avrebbero dovuto limitarsi a dichiarare la nullità del lodo, senza procedere al giudizio rescissorio.
Con il terzo motivo (con cui deducono: Violazione e falsa applicazione dell'art. 2935 c.c.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2222, 2229 e 2233 c.c.. Violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, artt. 10 e 18. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), i ricorrenti criticano la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettera b), anche sotto il profilo dei vizi della motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno omesso di considerare che il diritto alla maggiorazione del compenso per incarico parziale è sorto, e poteva quindi esser fatto valere, soltanto quando il Comune di Brindisi, in violazione della convenzione del 1985, ha deciso - nel 1999 - di affidare l'incarico della direzione e della assistenza ai lavori a diversi professionisti.
2. - Il primo motivo del ricorso merita accoglimento, per quanto di ragione.
2.1. - Come già rilevato (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 1), la Convenzione stipulata dalle parti in data 28 ottobre 1985 prevede, all'art. 21, il deferimento ad arbitri delle controversie che potrebbero sorgere relativamente alla liquidazione di compensi previsti dalla presente convenzione e che non si fossero potute definire in via amministrativa ... nel termine di trenta giorni da quello in cui fu notificato il provvedimento amministrativo. Relativamente all'interpretazione di tale clausola compromissoria, le questioni, insorte nel corso del presente giudizio e riproposte con il motivo in esame, sono due: 1) se il termine di trenta giorni, stabilito per la promozione del procedimento arbitrale, sia o no perentorio; 2) se il dies a quo di tale termine - coincidente, secondo la clausola, con la data della notificazione del provvedimento amministrativo, che conclude la prevista previa fase di definizione amministrativa delle eventuali controversie che potrebbero sorgere relativamente alla liquidazione di compensi previsti dalla ... convenzione - sia o no individuabile nella data del 28 maggio 1999, nella data cioè, come affermato dai Giudici a quibus, della missiva, con la quale il Comune rendeva noto, in relazione alla missiva del 26/2/1999 inviata dagli odierni convenuti, che la richiesta dei professionisti di maggiorazione del compenso per incarico parziale non poteva essere accolta (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera a).
La Corte di Lecce ha risposto affermativamente ad entrambi i quesiti, pervenendo così alla definizione della fase rescindente con la dichiarazione di nullità del lodo impugnato, in quanto il procedimento arbitrale è stato promosso in data 1 febbraio 2002, pertanto ben oltre il termine di trenta giorni decorrente dalla predetta data del 28 maggio 1999.
2.2. - Quanto alla natura del termine di trenta giorni, convenzionalmente previsto per la promozione del procedimento arbitrale (primo profilo di censura del motivo in esame), non v'è alcun dubbio che contrariamente a quanto opinato dai ricorrenti - il termine stesso sia perentorio.
Siffatto carattere deriva dalla stessa ratio del termine convenuto, chiaramente volto - come affermato dai Giudici a quibus in modo sostanzialmente corretto - ad una rapida instaurazione del procedimento arbitrale, nel caso si fosse optato per tale tipo di definizione delle controversie, e ciò per le esigenze di certezza correlate alì azione della pubblica amministrazione, mentre, diversamente opinando, la clausola compromissoria non avrebbe alcuna operatività.
Va premesso che questa Corte ha più volte asserito che, per affermare la natura perentoria di un termine, previsto dalla legge o da un negozio, non è necessario che sia espressamente prevista la decadenza, essendo sufficiente che, in modo chiaro ed univoco, con riferimento allo scopo perseguito e alla funzione che il termine è destinato ad assolvere, risulti, anche implicitamente, che alla mancata osservanza di esso consegua la perdita del diritto (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 896 del 1979, 187 del 1981, 9764 del 1995, 8680 del 2000) .
Approfondendo al riguardo, è decisivo osservare che tali affermazioni debbono essere correlate al consolidato orientamento di questa Corte - condiviso dal Collegio -, secondo cui l'inosservanza del termine previsto dalla clausola compromissoria per l'instaurazione del procedimento arbitrale rientra nel motivo di impugnazione per nullità del lodo, di cui all'art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, (... se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti del compromesso ...), e secondo cui l'instaurazione del procedimento arbitrale dopo la scadenza del termine all'uopo fissato dalle parti integra un vizio di incompetenza degli arbitri, in quanto, detta scadenza implica il venir meno del loro potere decisionale ed il risorgere della competenza del giudice ordinario, per assicurare il rispetto della volontà, manifestata dalle parti attraverso la fissazione di un termine, di circoscrivere temporalmente la facoltà di sollecitare l'intervento arbitrale (cfr. le sentenze nn. 8739 del 1998, 11383 del 1999, 10599 del 2013) . Da notare, per quanto in questa sede rileva, che la predetta formulazione dell'art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, è rimasta sostanzialmente invariata anche a seguito della riforma del 2006 (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 24), essendosi soltanto sostituita all'espressione compromesso quella di convenzione di arbitrato, dal che consegue che i principi di diritto enunciati con l'orientamento giurisprudenziale ora richiamato restano tuttora applicabili.
Nel ribadire tale orientamento, può aggiungersi che, se - come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 127 del 1977 (n. 1. del Considerato in diritto) - il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perché solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24 Cost., comma 1) può derogare al precetto contenuto nell'art. 102, comma 1 (riserva della funzione giurisdizionale ai giudici ordinari), ne segue che il termine stabilito dalle parti nella convenzione di arbitrato per la promozione del procedimento arbitrale segna il discrimine temporale dalle stesse voluto tra il ricorso alla giustizia arbitrale e l'esercizio del fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale e, quindi, il limite temporale di efficacia della predetta deroga all'art. 102 Cost., comma 1: negare carattere perentorio a detto temine vanificherebbe la stessa utilità del procedimento arbitrale, che altrimenti opinando sarebbe promovibile sine die, e, al contempo, la stessa possibilità di un tempestivo esercizio del diritto garantito a tutti dall'art. 24 Cost., comma 1. Le considerazioni che precedono assorbono ogni altra ragione di critica prospettata con il profilo di censura in esame. 2.3. - Invece, quanto al dies a quo di detto termine perentorio di trenta giorni per la promozione del procedimento arbitrale - coincidente, secondo la clausola compromissoria, con la data della notificazione del provvedimento amministrativo, conclusivo della prevista previa fase di definizione amministrativa delle eventuali controversie che potrebbero sorgere relativamente alla liquidazione di compensi previsti dalla ... convenzione (secondo profilo di censura del motivo in esame) -, non v'è alcun dubbio che esso non può individuarsi nella data del 28 maggio 1999, nella data cioè, come affermato dai Giudici a quibus, della missiva - missiva che, come si apprende dalla motivazione in fatto, era consistita in una nota del Dirigente degli Affari Legali del Comune - con la quale il Comune rendeva noto, in relazione alla missiva del 26/2/1999 inviata dagli odierni convenuti, che la richiesta dei professionisti di maggiorazione del compenso per incarico parziale non poteva essere accolta.
Al riguardo - tenuto conto dell'oggetto della Convenzione, del tempo (1985) della stipulazione della clausola compromissoria in esame e del suo tenore testuale, dianzi riprodotto (cfr., supra, n. 2.1.) -, può premettersi che è molto probabile che le parti (e segnatamente la committente Amministrazione comunale) abbiano fatto riferimento, per analogia, alla disciplina di cui al D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (Approvazione del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici): in particolare, all'art. 46 (che reca la rubrica: Domanda per l'arbitrato), comma 1secondo cui L'istanza per l'arbitrato deve essere notificata a mezzo di ufficiale giudiziario, nel termine di sessanta giorni da quello in cui fu notificato il provvedimento dell'Amministrazione che ha risolto la controversia in sede amministrativa ai sensi del precedente articolo 42, il quale prevede un vero e proprio procedimento amministrativo (così la rubrica dell'art. 42) volto alla risoluzione delle controversie ivi contemplate. Come correttamente dedotto dai ricorrenti, anche la clausola compromissoria de qua prefigura indubbiamente un vero e proprio procedimento amministrativo per la "definizione", in via amministrativa appunto, delle controversie che potrebbero sorgere relativamente alla liquidazione di compensi previsti dalla presente convenzione, definizione da formalizzarsi in un provvedimento amministrativo del Comune, dalla data della cui "notificazione" alla parte privata decorre il termine perentorio di trenta giorni per la promozione del procedimento arbitrale.
Tale interpretazione è conforme: a) in primo luogo, al chiaro tenere testuale della clausola compromissoria; b) in secondo luogo, al principio generale per il quale, benché la Pubblica Amministrazione, nel suo operare negoziale - come avvenuto nella specie (prestazione d'opera intellettuale) -, si trovi su un piano paritetico a quello dei privati, ciò non significa che vi sia una piena ed assoluta equiparazione della sua posizione a quella del privato, poiché l'Amministrazione è comunque portatrice di un interesse pubblico cui il suo agire deve in ogni caso ispirarsi (cfr. la sentenza delle sezioni unite n. 8987 del 2009, con la quale è stato affermato che all'Amministrazione è preclusa la possibilità di avvalersi, nella risoluzione delle controversie derivanti da contratti di appalto conclusi con privati, dello strumento del cosiddetto arbitrato irrituale o libero, poiché in tal modo il componimento della vertenza verrebbe ad essere affidato a soggetti - gli arbitri irrituali - individuati, nell'ambito di una pur legittima logica negoziale, in difetto di qualsiasi procedimento legalmente determinato e, perciò, senza adeguate garanziedi trasparenza e pubblicità della scelta); c) infine, ai principi stabiliti dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), ispirati alla regola fondamentale dello svolgimento dell'azione amministrativa secondo modelli di "giusto" procedimento legalmente predeterminato, principi alla cui osservanza sono tenuti anche i comuni (Nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo statuto, nell'osservanza dei principi stabiliti dalla L. 7 agosto 1990, n. 241: D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 8, comma 2), nei casi in cui, appunto, siano in gioco diritti soggettivi degli interessati, come nella specie (diritto al compenso per prestazione d'opera intellettuale).
Hanno errato, perciò, i Giudici a quibus nel ritenere la missiva del 28/5/1999 (missiva che, si ribadisce, era consistita in una nota del Dirigente degli Affari Legali del Comune) - con la quale il Comune rendeva noto, in relazione alla missiva del 26/2/1999 inviata dagli odierni convenuti, che la richiesta dei professionisti di maggiorazione del compenso per incarico parziale non poteva essere accolta - sostanzialmente sostitutiva del previsto procedimento di definizione amministrativa della controversia sulla spettanza del compenso "per incarico parziale" richiesto dagli odierni ricorrenti, nonché nell'equipararla al provvedimento amministrativo, conclusivo di tale procedimento, stabilito dalla clausola compromissoria:
infatti, per provvedimento dell'amministrazione che ha definito la controversia in sede amministrativa deve intendersi una manifestazione formale dell'amministrazione - nella specie, del Comune di Brindisi attraverso o il suo rappresentante legale, ovvero l'organo comunale a ciò legittimato secondo lo statuto dell'ente o un apposito regolamento -, che esprima la presa d'atto della controversia e la volontà di risolverla, e che contenga una decisione definitiva su di essa, formalmente notificata alla parte privata a mezzo di ufficiale giudiziario (cfr., ex plurimis, a proposito del citato D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 46 le sentenze nn. 4042 del 1991, 7734 del 1996, 567 del 2001, 3647 del 2009): e non v'è dubbio che tale orientamento, sulla base di tutte le considerazioni che precedono, si adatta perfettamente alla fattispecie.
Di qui, l'illegittimità della affermata coincidenza del dies a quo del termine perentorio di trenta giorni per la promozione del procedimento arbitrale con la data - 28 maggio 1999 - di detta missiva, con la conseguenza che tale termine, in mancanza di un vero e proprio "provvedimento amministrativo" di definizione in sede amministrativa della insorta controversia, non è mai decorso. 3. - L'accoglimento del secondo profilo di censura del motivo in esame - concernendo la legittimità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha dichiarato la nullità del lodo per intervenuta decadenza degli odierni ricorrenti dal diritto di promuovere il procedimento arbitrale - comporta l'assorbimento del secondo e del terzo motivo, che attengono alla denunciata illegittimità del "passaggio" alla fase rescissoria e della affermata prescrizione del diritto fatto valere.
4. - Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione al profilo di censura accolto e la causa deve essere rinviata alla stessa Corte d'Appello di Lecce, in diversa composizione, la quale si uniformerà ai principi di diritto dianzi enunciati e provvedere anche a regolare le spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Lecce, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2013
riferimenti normativi|blue
Cod_Proc_Civ_art_829 com. 1 n. 4