art.16 Dovere di evitare incompatibilità
art. 16 Dovere di evitare incompatibilità (articolo modificato con delibera 27.01.2006 e poi il 15 luglio 2011)
Codice deontologico forense
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Articolo vigente
art. 16 Dovere di evitare incompatibilità (articolo modificato con delibera 27.01.2006 e poi il 15 luglio 2011)
E' dovere dell'avvocato evitare situazioni di incompatibilità ostative alla permanenza nell'albo, e, comunque nel dubbio, richiedere il parere del proprio Consiglio dell'ordine.
I. L'avvocato non deve porre in essere attività commerciale o comunque incompatibile con i doveri di indipendenza e di decoro della professione forense.
II. Costituisce infrazione disciplinare l'avere richiesto l'iscrizione all'albo in pendenza di cause di incompatibilità, non dichiarate, ancorché queste siano venute meno.
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art.16.Dovere di evitare incompatibilità
È dovere dell'avvocato evitare situazioni di incompatibilità ostative alla permanenza nell'albo, e comunque, nel dubbio, richiedere il parere del proprio consiglio dell'ordine.
* I. - Costituisce infrazione disciplinare l'aver richiesto l'iscrizione all'albo in pendenza di cause di incompatibilità, non dichiarate, ancorchè queste siano venute meno.
Riferimenti normativi|grey
Riferimenti normativi:
La normativa
R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 - art. 3.[Incompatibilità. Elenco speciale annesso agli albi]
1] L'esercizio delle professioni di avvocato [e di procuratore] (*) è incompatibile con l'esercizio della professione di notaio, con l'esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui, con la qualità di ministro di qualunque culto avente giurisdizione o cura di anime, di giornalista professionista, di direttore di banca, di mediatore, di agente di cambio, di sensale, di ricevitore del lotto, di appaltatore di un pubblico servizio o di una pubblica fornitura, di esattore di pubblici tributi o di incaricato di gestioni esattoriali.
2] È anche incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni, delle istituzioni pubbliche di beneficenza, della Banca d'Italia, della lista civile, del gran magistero degli ordini cavallereschi, del Senato, della Camera dei deputati ed in generale di qualsiasi altra Amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.
3] È infine incompatibile con ogni altro impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario.
4] Sono eccettuati dalla disposizione del secondo comma:
a) i professori e gli assistenti delle università e degli altri istituti superiori ed i professori degli istituti secondari dello Stato;
b)gli avvocati [ed i procuratori] (*) degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui allo stesso secondo comma, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera. Essi sono iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo (1).
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(*) come modificato dall'art. 3 e 6 della L. 24 febbraio 197 n. 27
(1) Lettera così modificata dall'art.1 della l. 23 novembre 1939 n. 1949;
Sentenze - Pareri|orange
Sentenze - Decisioni:
La carica di presidenza dell’API non è incompatibile con la professione forense
L’API (Associazione Piccole Imprese) è un’associazione con finalità lato sensu sindacali e non può pertanto qualificarsi come società commerciale, sicché la partecipazione al Consiglio di amministrazione non comporta, per conseguenza, esercizio del commercio, neppure in via indiretta, occulta o per conto terzi. Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 2 marzo 2012, n. 48 Pubblicato in Giurisprudenza CNF
Iscrizione all’albo ed incompatibilità sopravvenuta
L’art. 16 del R.D. n. 1578/1933, nel prevedere che debba essere sempre ordinata la cancellazione dall’albo quando vengano a mancare i titoli o i requisiti in base ai quali fu disposta l’iscrizione, non esclude che la legge possa prevedere cause sopravvenute, rispetto al tempo dell’iscrizione, di incompatibilità con l’esercizio della professione (Nel caso di specie, un dipendente pubblico part time già iscritto all’albo professionale, successivamente all’entrata in vigore della L. n. 339/2003 non aveva optato tra il mantenimento dell’iscrizione e la conservazione del rapporto di pubblico impiego come stabilito dall’art. 2 Legge cit., sicché il COA di appartenenza ne aveva disposto la cancellazione, ritenuta lecita dal CNF). Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 2 marzo 2012, n. 36 Pubblicato in Giurisprudenza CNF
attività incompatibile con la professione di avvocato
La violazione della previsione sulla incompatibilità non solo genera una grave responsabilità deontologica per la sua contrarietà all’art. 3 delle norme istitutive dell’Ordinamento Professionale Forense, ma si pone in contrasto con i generali principi di autonomia e indipendenza ed i doveri di probità, dignità e decoro che devono ispirare la condotta dell’avvocato, nonché con lo specifico ulteriore dovere di evitare incompatibilità ostative alla permanenza nell’Albo Professionale e con il divieto di esercitare attività commerciale, espressamente previsto dall’art. 16 del Codice Deontologico Forense.Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 30 gennaio 2012, n. 10 Pubblicato in Giurisprudenza CNF
esercizio di una attività commerciale è incompatibile con la professione
La professione di avvocato è incompatibile con l’esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui ai sensi dell’art. 3 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, che si riferirisce anche all’amministratore di società di persone o di capitali che eserciti una attività commerciale, a meno che non ricopra una carica meramente rappresentativa e onoraria o non abbia delegato tutte le funzioni gestorie ad altri soggetti (Amministratore delegato, Direttore generale, altri componenti del Consiglio di Amministrazione) in virtù di una facoltà statutariamente prevista (Nel caso di specie, dalle visure camerali risultava che l’incolpato era Presidente del Consiglio di Amministrazione con tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione).Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 30 gennaio 2012, n. 10 Pubblicato in Giurisprudenza CNF
amministratore straordinario di Unità Sanitaria
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Modena ha richiesto, con nota del 29 maggio 2012, parere in ordine al seguente quesito: “se la carica di amministratore straordinario di Unità Sanitaria Locale, istituita con D.L. 6.2.1991 n. 35 convertito con modificazioni in L. 4.4.1991 n. 11, sia da ritenersi incompatibile con l’esercizio della professione forense”.
Osserva preliminarmente la Commissione che, ai fini del corretto inquadramento normativo della materia de qua, la normativa indicata nel quesito risulta abrogata ad effetto del D.L. 25 giugno 2008 n. 112 (convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008 n. 133) e che la disciplina legislativa di riferimento si individua nel Decreto Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, il cui art. 3, comma 1 bis ha comportato la trasformazione della Unità Sanitaria Locale, originariamente organo della regione, in Azienda “con personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale”. In considerazione di tale definizione, l’Azienda Sanitaria Locale viene comunemente inquadrata nella categoria degli enti pubblici economici.
L’amministratore straordinario (o, più propriamente, commissario straordinario) è l’organo apicale dell’ente che, sostituendo in virtù di provvedimento regionale il direttore generale, accentra i poteri di indirizzo e di gestione dell’ente stesso; si tratta, quindi, di una funzione di amministrazione attiva e di rappresentanza esterna dell’ente.
Il trattamento economico del commissario straordinario è espressamente previsto dalla legge e grava sul bilancio dell’ente pubblico.
La Commissione ritiene, pertanto, sussistere, sia per la natura dell’attività che per la sua remunerazione, i profili di incompatibilità all’esercizio della professione ed alla permanenza stessa nell’Albo, prescritti dall’art. 3, comma 2 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578.Consiglio Nazionale Forense, parere del 20 giugno 2012, n. 42 Quesito n. 162 Pubblicato in Prassi: pareri CNF
Garante per l’infanzia e l’adolescenza nella Provincia Autonoma di Bolzano
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bolzano, con nota del Presidente in data 9 febbraio 2012 Prot. n. 247/2012/GB/cm, ha formulato richiesta di parere in ordine al seguente quesito: “Può essere iscritto all’Albo Professionale e alla Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense l’Avvocato che abbia assunto la funzione di Garante per l’infanzia e l’adolescenza nella Provincia Autonoma di Bolzano?”.
Ha segnalato il Consiglio rimettente, ad illustrazione del quesito, che un proprio iscritto, nominato Garante per l’infanzia e l’adolescenza ai sensi della Legge Provinciale 26 giugno 2009 n. 3 della Provincia Autonoma di Bolzano, ha richiesto ed ottenuto la cancellazione dall’Albo degli Avvocati in considerazione del regime di incompatibilità, posto dall’art. 6, comma 6 dell’anzidetta Legge Provinciale, tra la carica di Garante e “l’esercizio di qualsiasi attività di lavoro autonomo o dipendente e di qualsiasi attività di commercio e professione”; trattandosi di “incarico politico”, il Garante rimane estraneo al ruolo del personale provinciale e non gode di trattamento previdenziale.
In considerazione di tale circostanza, l’interessato ha formulato al Consiglio territoriale nuova istanza di iscrizione nell’Albo, motivandola con “la necessità di mantenere l’iscrizione ad un ente previdenziale che gli assicuri copertura previdenziale e pensionistica”.
Riferisce, infine, il Consiglio territoriale che, in identica situazione e per la medesima ragione, altro Consiglio dell’Ordine avrebbe accolto la domanda di iscrizione di un Garante con la “raccomandazione” di astenersi dallo svolgimento di alcuna attività professionale.
Ritiene la Commissione che la legislazione provinciale sopra richiamata delinei un regime nitido dell’incompatibilità funzionale connessa all’assunzione della carica di Garante, al quale viene ex lege precluso l’esercizio – per quanto infra rileva – dell’attività professionale; tale chiara prescrizione normativa risulta, inoltre, corroborata dall’ulteriore previsione, contenuta nell’art. 6, comma 7 della stessa Legge Provinciale, che subordina la nomina dell’interessato alla “previa dichiarazione scritta” attestante l’insussistenza di alcuna delle cause di incompatibilità ostative all’assunzione dell’incarico.
L’art. 8 della Legge Provinciale n. 3/2009 evidenzia, altresì, il trattamento economico (stipendio annuo, indennità integrativa speciale, indennità di funzione direttiva) attribuito al Garante e gravante sul bilancio della Provincia.
Pur incidendo prevalentemente il delineato sistema sullo status dell’interessato in relazione alla funzione di Garante, lo stesso si riflette anche sulla condizione soggettiva del medesimo ai fini del possesso dei requisiti legittimanti la reiscrizione nell’Albo; la titolarità di un ufficio retribuito integra, infatti, causa di incompatibilità ai sensi dell’art. 3, comma 2 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578.
L’art. 16 del Codice deontologico forense impone, d’altro canto, all’avvocato il dovere di evitare situazioni di incompatibilità, risultando rilevante – secondo il Canone II della detta norma – la condotta di colui che abbia chiesto l’iscrizione nell’Albo in pendenza di cause di incompatibilità.
Osserva la Commissione che la soluzione, indicativamente prospettata dal Consiglio rimettente con riferimento alla determinazione in materia di altro Consiglio dell’Ordine, di disporre l’iscrizione dell’interessato con l’impegno di quest’ultimo ad astenersi dall’esercizio professionale, non debba, per le ragioni esposte, essere condivisa, poiché essa, oltre a confliggere con l’espressa disciplina della L.P., introdurrebbe una preclusione all’esercizio ordinario della professione, direttamente conseguente all’iscrizione stessa e non suscettibile di compressione in via amministrativa, che non trova positivo riscontro in alcuna disposizione della legge Professionale.Consiglio Nazionale Forense, parere del 28 marzo 2012, n. 24 Pubblicato in Prassi: pareri CNF
dipendente comunale, collocato in aspettativa non retribuita
Il COA di Milano ha chiesto di sapere se, a parere di questo Consiglio, un dipendente comunale, collocato in aspettativa non retribuita per l’espletamento del mandato di consigliere comunale, possa essere iscritto all’Albo degli Avvocati ai sensi dell’art. 18 della Legge 4 novembre 2010 n. 183, altrimenti definita “Collegato lavoro”.
La previsione succitata consente ai dipendenti pubblici di essere collocati in aspettativa “senza assegni e senza decorrenza dell’anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali.” (comma 1); al comma 2, poi, specifica che durante il periodo di aspettativa “non si applicano le disposizioni in tema di incompatibilità di cui all’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165..”.
Posto quanto sopra, la fattispecie richiamata dal COA richiedente comporta una considerazione preliminare. L’aspettativa della quale il dipendente comunale ha potuto, a richiesta, usufruire in ragione dell’incarico elettivo rivestito comporta la non retribuzione e l’onere di assumere a proprio carico “l’intero pagamento degli oneri previdenziali, assistenziali e di ogni altra natura..”. Prevede, però, che il relativo periodo sia “considerato come servizio effettivamente prestato.”.
Viceversa, come visto, l’aspettativa usufruibile ex art. 18 del “Collegato lavoro” esclude, nel mentre, la decorrenza dell’anzianità di servizio.
Per questo primo motivo, la richiesta del dipendente comunale, collocato in aspettativa a richiesta al solo fine di consentirgli di adempiere al mandato elettivo comunale, appare inammissibile.
Anche qualora, comunque, egli avesse usufruito dell’aspettativa di cui all’art. 18 della legge n. 183/2010, la sua richiesta non potrebbe essere accolta.
Come già ritenuto da questa Commissione con i pareri 21 settembre 2011, n. 85 e 25 maggio 2011, n. 55, la collocazione in aspettativa non fa venir meno né il rapporto di lavoro con l’ente pubblico, né la natura di impiego retribuito del medesimo. Ne consegue, ad avviso di questo Consiglio, che permane in capo al dipendente pubblico in aspettativa l’incompatibilità prevista dall’art. 3, comma 2, del R.D.L. n. 1578/1933 per i titolari di “qualunque impiego pubblico .. retribuito con stipendio sul bilancio … dei Comuni..”.
Non osterebbe a tale orientamento la previsione secondo la quale l’aspettativa può essere chiesta “anche per avviare attività professionali ..”, per due ragioni.
La prima è costituita dalla natura speciale della legge professionale, le cui previsioni possono essere derogate solo da norma specifica. La seconda è che, proprio per il summenzionato motivo, il comma 2 dello stesso art. 18 introduce per i dipendenti pubblici intenzionati a chiedere l’aspettativa ai sensi dell’art. 18 in narrativa, la speciale deroga dalle disposizioni in tema di incompatibilità di cui all’art. 53 del D. Lgs. n. 165/2001.Consiglio Nazionale Forense (rel. Merli), parere del 28 marzo 2012, n. 7 Quesito n. 107 Pubblicato in Prassi: pareri CNF
Presidente di una Associazione “onlus”,
Il COA di Barcellona Pozzo di Gotto chiede di sapere se la carica di Presidente di una Associazione “onlus”, ovverosia senza scopo di lucro, costituisca una causa di incompatibilità con l’esercizio della professione forense ai sensi della previsione recata dall’art. 3, comma 1, del R.D. n. 1578/1933.
Come è noto, le cosiddette ONLUS, ovverosia le “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale” hanno trovato regolamentazione nell’art. 10 del D. Lgs. n. 460 del 4 dicembre 1997; la succitata norma della vigente legge professionale sancisce, invece, l’incompatibilità dell’esercizio della professione forense con “l’esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui.”.
Il quesito, pertanto, si pone nei seguenti termini: una ONLUS svolge o meno attività commerciale? La mancanza, infatti, del fine di lucro si pone in posizione secondaria e non influente sulla soluzione del quesito, atteso che, di per sé, il commercio configura un’attività fondata sullo scambio di merce e/o servizi con equivalenti, ovvero con denaro. Non presuppone necessariamente, però, il fine di lucro.
Orbene, posto quanto sopra, va osservato che il sovrarichiamato art. 10 consente alle ONLUS di svolgere attività non lucrative in svariati settori, per l’esclusivo perseguimento di scopi di solidarietà sociale. La medesima norma prevede altresì, alla lettera d) del comma 1, “il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione ..” ed alla successiva lettera e) “l’obbligo di impiegare gli utili e gli avanzi di gestione..”.
Ancora, al successivo comma 2, la norma richiama “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle attività statutarie..”.
Pare pacifico, quindi, che le ONLUS possano svolgere attività commerciale ed in tal senso si sono pronunciate anche le S.U. della Suprema Corte con la sentenza n. 24883 del 2008, secondo la quale lo svolgimento di attività remunerata non è incompatibile con i fini di solidarietà di una Onlus.
Per le ragioni dianzi esposte, si deve ritenere che l’esercizio della professione forense sia incompatibile, ai sensi dell’art. 3, comma 1, R.D.L. n. 1578/1933, con la carica di Presidente di una associazione non lucrativa (ONLUS), qualora, ovviamente, le relative funzioni non siano di mera rappresentanza ma consentano l’esercizio di poteri gestionali. Consiglio Nazionale Forense (rel. Merli), parere del 28 marzo 2012, n. 5 Quesito n. 103 Pubblicato in Prassi: pareri CNF
dipendente comunale con contratto part-time
L’Ordine di Castrovillari, avendo ricevuto segnalazione relativa ad un iscritto esercente la professione, pur essendo dipendente comunale con contratto part-time, chiede se, in base alla vigente normativa, il detto professionista versi in condizioni di incompatibilità.
Ai fini di una corretta risposta al quesito, va considerato che il R.D.L. 1578/33 stabilisce che l’esercizio della professione è “incompatibile con qualunque impiego o ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Provincie, dei Comuni e in generale di qualsiasi Amministrazione o Istituzione pubblica soggetta a vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni”.
Con la L. 662/96 tale norma venne parzialmente modificata prevedendosi un’eccezione al divieto per i dipendenti che abbiano ottenuto l’iscrizione dopo il 1996 e che risultando ancora iscritti abbiano optato per un rapporto a tempo parziale, fino al 50%.
Nel 2003, con la legge n. 339, i divieti di cui al R.D.L. vennero ripristinati per la professione forense, cosicché ove mai il professionista che alla data del 1996 risultava ancora iscritto non avesse dato, entro il 2006, comunicazione all’Ordine dell’opzione, i Consigli sarebbero stati tenuti alla cancellazione d’ufficio. Ne consegue che l’esercizio della professione è incompatibile con qualsiasi impiego pubblico, anche a tempo parziale.
La legge n. 339/2003, peraltro, ha superato il vaglio di costituzionalità (cfr. Corte cost., sent. N. 390/2006) nonché il controllo di compatibilità con le Direttive dell’Unione Europea. La Corte di Giustizia, infatti, nella sentenza 2 dicembre 2010, Jakubowska, in c. C-225/09, ha chiarito che la Direttiva n. 98/5 CE, da alcuni invocata a sostegno della compatibilità, vada interpretata nel senso che lo Stato membro ben può imporre restrizioni all’esercizio simultaneo della professione forense e dell’impiego pubblico con il fine di conseguire l’obbiettivo della prevenzione dei conflitti d’interesse. Infatti, indispensabile condizione all’esercizio della professione è l’indipendenza dell’avvocato rispetto ai pubblici poteri, cosa che non può avvenire per il pubblico dipendente, seppure part-time, a cui si impone un dovere di subordinazione, non potendo egli agire in contrasto di interessi con la P.A.
In sostanza, in virtù della normativa dettata dalla L. 339/03 non è consentito ritenere compatibile l’attività di pubblico dipendente part-time e l’esercizio della professione forense.
La Commissione pertanto, considerando anche il quadro normativo e giurisprudenziale, rileva che, allo stato attuale, non si può ritenere ammissibile l’esercizio della professione forense da parte di dipendente statale (ancorché in possesso dei requisiti di legge relativi all’abilitazione professionale), che abbia optato per il part-time e che abbia ottenuto l’iscrizione. In conseguenza di quanto precede il professionista iscritto all’Ordine non potrà mantenere l’iscrizione nel relativo albo.Consiglio Nazionale Forense, parere del 23 febbraio 2012, n. 2 Quesito n. 89 Pubblicato in Prassi: pareri CNF
attività di agente di calciatori
Il quesito (del COA di Brescia) concerne la sussistenza di cause di incompatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e l’attività di agente di calciatori.
La Commissione, dopo ampia discussione, adotta il seguente parere:
“Benché sia oggi consentito, entro certi limiti, il patto di quota-lite (cfr. art. 45, c.d.f., riformato a seguito della cd. “Legge Bersani”), resta ferma, a parere di questa Commissione, l’incompatibilità dell’attività di avvocato con quella di agente di calciatori, in quanto l’art. 3, RDL 27 nov. 1933, n. 1578, prevede quale espressa causa di incompatibilità, sia “l’esercizio di commercio in nome proprio o in nome altrui”, che “la qualità di …mediatore”.
è comunque da rilevare che la normativa professionale della F.I.G.C. prevede che “ai calciatori e alle società sportive non è consentito avvalersi dell’opera di un agente non iscritto nell’Albo, salvo che si tratti di un avvocato iscritto nel relativo albo, e per attività conforme alla normativa professionale vigente” (art. 5, reg. F.I.G.C.). Ne consegue che l’avvocato potrà svolgere attività professionale sia nell’interesse dei calciatori che di società sportive, senza necessità di iscriversi nell’albo degli agenti di calciatori, con la necessaria limitazione del rispetto della normativa professionale propria dell’avvocato.
Si conferma e si integra l’orientamento già espresso nel parere n. 16 del 27 aprile 2005, e nel parere n. 146 del 17 luglio 2003: pertanto il Consiglio dell’ordine degli avvocati dovrà negare l’iscrizione a colui che la richieda e non intenda rinunziare ad una precedente iscrizione nell’albo degli agenti di calciatori, ovvero coloro che già facciano parte di entrambi gli albi debbono optare per una delle due iscrizioni.” Consiglio Nazionale Forense, parere del 20 febbraio 2008, n. 10 Pubblicato in Prassi: pareri CNF
agenti di calciatori
Il quesito (del COA di Vicenza) verte sull’eventuale incompatibilità tra la contemporanea iscrizione nell’albo degli avvocati ed in quello degli agenti di calciatori, atteso che detta ultima attività è disciplinata dalla F.I.G.C. nell’ambito delle attribuzioni pubblicistiche proprie delle federazioni sportive, ed è pertanto da considerarsi come una vera e propria professione regolamentata. L’incompatibilità potrebbe derivare dalla facoltà di organizzare in forma imprenditoriale la professione di agente di calciatore e dalla caratteristica di obbligazione di risultato (anziché di mezzi) tipica del contratto di attività dell’agente di calciatori.
“L’attività di agente di calciatori si configura come attività almeno parzialmente regolamentata, posto che esistono attribuzioni esclusive della categoria professionale, un albo ed un esame per accedervi. La F.I.G.C. ha emanato altresì un regolamento per l’esercizio della professione ed un “codice di condotta professionale”.
L’attività assume più precisi contorni, da un punto di vista sostanziale, nel quadro delle norme civilistiche sulla conclusione di contratti nell’interesse di un terzo e, sul fronte delle modalità di esercizio della professione, nell’ambito della disciplina dettata dalle competenti federazioni sportive.
Si deve senz’altro convenire con le pronunzie giurisprudenziali, diligentemente reperite da Codesto Consiglio, sulla circostanza che l’ordinamento sportivo presenta tratti di significativa regolamentazione pubblicistica e che, in tal senso, le federazioni sportive collegate al C.O.N.I. siano detentrici di un potere di normazione autonoma, che ha nel settore di attività della federazione il proprio naturale sbocco e ambito applicativo.
Pare opportuno, peraltro, ai fini di accertare la compatibilità dell’attività di procuratore di calciatori con l’esercizio della professione forense, considerare da un punto di vista strettamente oggettivo oggetto e fine di detta attività.
Essa, quanto all’attività che il procuratore deve svolgere, consiste nella rappresentanza- tendenzialmente prolungata nel tempo- dello sportivo o della società sportiva, al fine di concludere uno o più contratti di prestazione sportiva, verso un corrispettivo (art. 3, Regolamento F.I.G.C. per l’esercizio dell’attività di Agente di Calciatore). Sono presenti, dunque, da un punto di vista civilistico, elementi propri del contratto di mandato con rappresentanza (art. 1704 segg. c.c.) e di quello di mediazione (art. 1754 c.c.).
L’attività dell’agente di calciatore si differenzia, peraltro, dalla mera prestazione di consulenza giuridica, posto che il procuratore si vincola all’interesse del cliente, può dare carattere imprenditoriale alla propria attività e, addirittura, cedere a società di capitali i diritti economici derivanti dalla propria attività (art. 4, comma 2, reg. F.I.G.C.).
Le attività di avvocato e di agente di calciatori devono ritenersi, pertanto, incompatibili.
Osta, infatti, in tal senso l’art. 3, R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, ove prevede- tra le cause di incompatibilità- sia «l’esercizio di commercio in nome proprio o in nome altrui», sia «la qualità [...] di mediatore».
Depone nel senso della natura commerciale dell’attività anche la struttura del compenso per l’attività di agente di calciatori, posto che esso è «calcolato in base al reddito lordo annuo del calciatore risultante dal contratto depositato». Nel caso l’agente presti la sua opera a favore delle società sportive, invece, il “modello standard di contratto di rappresentanza” predisposto dalla F.I.G.C. prevede una somma forfettaria predeterminata.
La retribuzione spettante all’agente è dunque riferita non alle singole attività poste in essere dal professionista, quanto ad un valore esterno quale il reddito complessivo del calciatore od una previa pattuizione a forfait.
Tale struttura retributiva crea una comunanza di interessi tra il calciatore (o la società di calcio) e l’agente, il quale si trova senza dubbio in posizione di cointeressenza economica rispetto al rappresentato. Posto che l’interpretazione corrente ravvisa, in tale limitazione, la ratio di evitare ogni condizione di subalternità economica e gerarchica atta a compromettere il decoro e l’indipendenza del professionista forense.
Dal punto di vista deontologico, poi, non può trascurarsi la circostanza che l’art. 45 cod. deont. forense vieta compensi legati ai beni propri del cliente o ai proventi economici da esso conseguiti giudizialmente od in via stragiudiziale.
In tal senso l’incompatibilità tra le due professioni dal punto di vista retributivo sussiste in ogni caso, anche prescindendo dal considerare se l’obbligazione tipica dell’agente di calciatori sia di mezzi ovvero di risultato.
Deve peraltro notarsi che, anche affermando l’incompatibilità tra le due professioni, l’avvocato può comunque svolgere attività a favore di calciatori e società calcistiche anche se non iscritto nell’albo degli agenti di calciatori, come previsto esplicitamente dalla stessa normativa professionale della F.I.G.C.: «Ai calciatori e alle società sportive non è consentito avvalersi dell’opera di un agente non iscritto nell’Albo, salvo che si tratti di un avvocato iscritto nel relativo albo, e per attività conforme alla normativa professionale vigente» (art. 5, reg. F.I.G.C.).
Questa norma assume importanza centrale al fine di valutare i rapporti tra le due attività professionali, poiché consente all’avvocato di svolgere attività professionale nell’interesse di calciatori e società sportive senza necessità di iscriversi nell’albo degli agenti di calciatori, e con l’unica, necessaria, limitazione del rispetto della normativa professionale propria dell’avvocato.
In tal senso l’iscrizione in entrambi gli albi non conferisce all’avvocato maggiori competenze o possibilità aggiuntive di lavoro, bensì produce l’unico effetto di sottrarre il professionista alle regole deontologiche dell’ordinamento forense, posto che eventuali sanzioni disciplinari sono irrogate da apposita commissione insediata presso la Federazione Giuoco Calcio (art. 18, reg. F.I.G.C.) e sono rapportare al Codice di comportamento specifico della professione di agente.
Per le suesposte considerazioni, ed in relazione al progressivo processo di strutturazione cui è andata incontro la professione di agente di calciatori, deve confermarsi ed integrarsi l’orientamento espresso in prima battuta nel parere 17 luglio 2003, n. 146 (in I pareri del Consiglio Nazionale Forense (2001-2003), a cura di V. Panuccio, Milano 2005, p. 108).
In conclusione, salva la possibilità di svolgere ogni attività conforme all’ordinamento forense nell’interesse di atleti e società sportive, deve essere negata, da parte del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, l’iscrizione a colui che la richieda e non intenda rinunziare ad una precedente iscrizione nell’albo degli agenti di calciatori; coloro che già facciano parte di entrambi gli albi devono optare per una delle due iscrizioni.” Consiglio Nazionale Forense (rel. Orsoni), parere del 27 aprile 2005, n. 16 Pubblicato in Prassi: pareri CNF
evitare incompatibilità con l’esercizio della professione forense
In tema di ordinamento professionale forense, qualora sia accertata una incompatibilità, ai sensi dell’art. 37, primo comma, numero 1, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, in relazione all’art. 3 dello stesso R.D.L., può farsi luogo all’adozione del provvedimento amministrativo, non sanzionatorio, della cancellazione dall’albo. Ma ciò non esclude che, qualora la sussistenza di una situazione di incompatibilità venga fraudolentemente celata o negata dal professionista, tale condotta integri gli estremi di un illecito disciplinare. (Nella specie l’incolpato, all’atto dell’iscrizione all’albo degli avvocati, aveva rilasciato false dichiarazioni circa lo svolgimento di un’attività commerciale quale socio illimitatamente responsabile di una società di persone e, in sede di successive verifiche disposte dal consiglio dell’ordine, aveva omesso di dichiarare il persistente esercizio della detta attività).Cassazione Civile, sentenza del 26 giugno 2003, n. 10162, sez. U- Pres. Grieco A- Rel. Preden R- P.M. Maccarone V (conf.) Pubblicato in Giurisprudenza Cass.Contrassegnato con 10162/2003, 16 cdf, 3 RDL n. 1578/1933, 37 RDL n. 1578/1933, 38 RDL n. 1578/1933
l'avvocato che in via continuativa svolga attività commerciali o di mediazione viola sia il dovere di evitare incompatibilità (art. 16 c.d.) sia il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni e condizionamenti esterni ex art. 10 c.d. (accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione c.d.o. di palermo, 8 febbraio 2007). (consiglio nazionale forense, decisione del 30-09-2008, n. 104 pres. alpa - rel. d'innella - p.m. martone (conf.)