contratti in genere - requisiti (elementi del contratto) - requisiti accidentali - condizione - pendenza - comportamento di buona fede delle parti - Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 12 del 02/01/2014
Professionista incaricato da ente locale per l'elaborazione di un progetto di opera pubblica - Compenso condizionato a finanziamento pubblico - Affidamento dell'incarico a terzi nelle more dell'elaborazione del progetto - Mancata erogazione del finanziamento - Conseguenze - Avveramento fittizio della condizione - Configurabilità. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 12 del 02/01/2014
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Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 12 del 02/01/2014
In tema di compenso del professionista per l'elaborazione di un progetto di opera pubblica, la cui corresponsione sia subordinata al finanziamento dell'opera da parte della Regione e alla presentazione della richiesta di finanziamento e gestione della relativa pratica da parte del Comune beneficiario dell'opera stessa, l'affidamento della stessa, nelle more dell'elaborazione del progetto da parte del professionista, ad altro soggetto privato, costituisce comportamento contrario a buona fede, in violazione dell'art. 1358 cod. civ., che determina l'avveramento fittizio della condizione, ai sensi dell'art. 1359 cod. civ., in quanto cagionato dal comportamento della parte portatrice di un interesse contrario all'avveramento.
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Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 12 del 2014
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Lo Studio Ga.., Associazione Professionale d'Ingegneria, convenne in giudizio il Comune di Chiavari, chiedendone la condanna al pagamento del compenso dovuto per la redazione del progetto generale di risanamento igienico-sanitario del territorio comunale, ad esso affidata con atto del 9 ottobre 1990.
Premesso che il pagamento era subordinato al finanziamento dei progetti esecutivi, la cui redazione, unitamente alla direzione ed alla contabilità dei lavori, avrebbe dovuto essere ugualmente affidata ad esso attore, espose che, nonostante l'intervenuta adozione del progetto da parte del Comune ed il recepimento dello stesso da parte della Regione, con lettera del 16 novembre 1999 l'Amministrazione aveva rifiutato l'adempimento, assumendo di avere affidato alla Idro Tigullio S.p.a. la gestione del servizio idrico integrato del Comune, comprendente anche la realizzazione del nuovo impianto di depurazione. Sostenne l'attore che, avendo reso in tal modo impossibile il conferimento degli ulteriori incarichi previsti dal contratto, indipendentemente dalla mancata concessione dei finanziamenti, il Comune era pertanto tenuto al pagamento del compenso dovuto per la redazione del progetto generale. 1.1. - Con sentenza del 7 maggio 2003, il Tribunale di Chiavari accolse la domanda.
2. - L'impugnazione proposta dal Comune è stata rigettata dalla Corte d'Appello di Genova con sentenza del 23 gennaio 2006. Premesso che il contratto stipulato tra le parti era qualificabile come contratto di prestazione d'opera intellettuale, avente come presupposto implicito la realizzazione del progetto da parte dello stesso Comune, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che la concessione del finanziamento, alla quale era subordinato il pagamento del compenso, si configurasse come una condizione sospensiva negativa non già meramente potestativa, ma mista, in quanto il verificarsi dell'evento non dipendeva esclusivamente dalla volontà del Comune, ma anche e principalmente dalle circostanze che potevano incidere sull'erogazione del finanziamento. Precisato che la natura parzialmente potestativa della condizione non esclude l'applicabilità degli artt. 1358 e 1359 cod. civ., non legittimando comportamenti arbitrari della parte tenuta ad esprimere la volontà che ne rappresenta una componente, ha osservato che il Comune aveva contravvenuto all'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione, avendo definitivamente impedito l'erogazione del finanziamento mediante l'affidamento del servizio alla Idro Tigullio. Ha quindi concluso che il mancato avveramento della condizione era imputabile all'Amministrazione, ritenendo irrilevante, a tal fine, la circostanza che quest'ultima avesse agito in base ad una mutata valutazione dell'interesse pubblico, in quanto la discrezionalità del relativo apprezzamento non le consentiva di incidere su diritti soggettivi ed aspettative tutelate derivanti dal rapporto negoziale, non valendo a sottrarla agli obblighi nascenti da un contratto interamente soggetto alle norme privatistiche. Ha evidenziato, al riguardo, anche il lunghissimo periodo di tempo intercorso tra la presentazione del progetto e l'intervenuto affidamento del servizio ad un soggetto privato, quindi non legittimato a chiedere i finanziamenti statali, nonché la consapevolezza, manifestata dal Comune in una lettera inviata alla Idro Tigullio, di essere ugualmente tenuto al pagamento del compenso.
3. - Avverso la predetta sentenza il Comune propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Lo Studio Ga.. resiste con controricorso, anch'esso illustrato con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il secondo motivo d'impugnazione, il cui esame appare logicamente prioritario rispetto al primo, il Comune di Chiavari lamenta la violazione e la falsa applicazione della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 55, comma 5, ovvero del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 284-288, nonché degli artt. 1418-1421 cod. civ., deducendo la nullità della clausola contrattuale che, nel disciplinare le modalità di pagamento del compenso, non prevedeva ne' il costo dell'opera ne' la sua copertura finanziaria, ma ne rimetteva la determinazione ad un avvenimento futuro ed incerto, rappresentato dal finanziamento del progetto esecutivo da parte di un terzo. Tale nullità, comportando il venir meno di uno degli elementi costitutivi della domanda, era rilevabile anche d'ufficio, nell'ambito della verifica che il giudice è tenuto a compiere in ordine alla sussistenza delle condizioni dell'azione, in quanto quest'ultima aveva ad oggetto l'esatto adempimento.
1.1. - Il motivo è inammissibile.
La rilevabilità d'ufficio della nullità in ogni stato e grado del giudizio, ai sensi dell'art. 1421 cod. civ., dev'essere infatti coordinata con il principio della domanda, sancito dagli artt. 99 e 112 cod. civ., in virtù del quale l'esercizio del predetto potere da parte del giudice presuppone non solo l'esistenza di una contestazione in ordine all'applicazione o all'esecuzione di un contratto la cui validità si configuri come elemento costitutivo della domanda, ma anche, ove il vizio venga fatto valere nel giudizio di cassazione, che i presupposti di fatto della relativa declaratoria risultino già acquisiti al processo, dal momento che la prospettazione di nuove questioni di diritto in sede di legittimità è ammessa soltanto a condizione che il loro esame non richieda ulteriori indagini di fatto (cfr. Cass., Sez. 1, 15 luglio 2009, n. 16541; Cass., Sez. lav., 17 febbraio 2003, n. 2354; Cass., Sez. 2, 22 giugno 2000, n. 8478). Tale è il caso dell'invalidità dedotta dal ricorrente, la quale presuppone un accertamento in ordine al contenuto del contratto di prestazione d'opera professionale, e segnatamente alla previsione dell'impegno di spesa e dei mezzi per farvi fronte, la cui omissione comporta la nullità del contratto, ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 55, comma 4, (applicabile ratione temporis nella fattispecie in esame), nonché, a norma del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 1989, n. 144, l'insorgenza del rapporto obbligatorio tra il privato e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito l'acquisizione del servizio (cfr. Cass., Sez. 2, 12 novembre 1998, n. 11406). La sentenza impugnata non fa peraltro alcun cenno alla predetta omissione, la quale non costituisce neppure una premessa logicamente necessaria dell'inclusione nel contratto della clausola che subordinava il pagamento del compenso al finanziamento dell'opera progettata: se è vero, infatti, che, secondo alcune pronunce di questa Corte, l'apposizione di tale condizione consente di sottrarre il contratto alla nullità comminata dalle norme citate (cfr. Cass., Sez. 1, 22 aprile 2010, n. 9642; 28 luglio 2004, n. 14198), è anche vero, però, che, ove l'incarico professionale riguardi un progetto da sottoporre all'approvazione dell'ente finanziatore, non può escludersi un interesse delle parti ad assoggettare alla stessa il diritto al compenso, anche in presenza di una puntuale indicazione della spesa necessaria e della relativa copertura finanziaria. L'accertamento di tale mancanza non può quindi considerarsi implicito in quello compiuto dalla Corte di merito relativamente alla previsione della predetta clausola: conseguentemente, la questione in esame non può trovare ingresso in questa sede, introducendo un tema d'indagine del tutto nuovo, la cui prospettazione nelle precedenti fasi processuali non è stata in alcun modo dedotta dal ricorrente (cfr. Cass., Sez. 1, 31 agosto 2007, n. 18440; 23 gennaio 2007, n. 1474).
2. - Con il primo motivo d'impugnazione, l'Amministrazione denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1355, 1358, 1359 e 2697 cod. civ., nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che, nel riconoscere la validità del meccanismo negoziale che subordinava il pagamento del compenso al finanziamento del progetto, in quanto configurabile come condizione sospensiva potestativa mista, la sentenza impugnata non ne ha tratto le dovute conseguenze. Essa, infatti, ha erroneamente ricondotto il mancato avveramento della condizione all'inadempienza di esso ricorrente, senza considerare che l'omissione di un'attività in tanto può considerarsi contraria a buona fede in quanto l'attività stessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, la cui sussistenza dev'essere esclusa ove essa integri il segmento potestativo della condizione mista. Pur ammettendo che la sottoposizione di tale segmento ai principi riguardanti la condizione potestativa semplice non esclude l'applicabilità degli artt. 1358 e 1359 cod. civ., il ricorrente afferma che la scelta di un comportamento impeditivo dell'avveramento della condizione da parte del contraente che vi si è assoggettato non è di per sè sufficiente a far ritenere che egli abbia agito in mala fede, dovendosi verificare se tale comportamento sia dovuto ad un mero capriccio o arbitrio della parte: tale principio non è stato rispettato dalla corte di merito, la quale, pur avendo accertato che l'affidamento della gestione del servizio idrico integrato alla Idro Tigullio non costituiva il frutto di una decisione unilaterale arbitraria dell'Amministrazione, vi ha ravvisato una condotta contraria alla buona fede, tale da giustificare l'applicazione dell'art. 1359 cit..
Nell'evidenziare il lasso di tempo trascorso dalla redazione del progetto, la sentenza impugnata ha tenuto conto di un elemento di per sè insufficiente ai fini della dimostrazione della mala fede nella gestione del contratto, la cui prova era a carico dell'attore, che non ha assolto il relativo onere; essa, d'altronde, non ha considerato che il finanziamento della prima fase della realizzazione dell'impianto, concesso sulla base del progetto generale adottato dall'Amministrazione, era intervenuto successivamente all'avvio delle trattative per la privatizzazione del servizio idrico integrato. Parimenti irrilevante, ai fini dell'accertamento della mala fede, doveva considerarsi la lettera inviata alla Idro Tigullio, con cui esso ricorrente si era limitato a sollecitare l'affidamento della redazione del progetto esecutivo allo Studio Ga.., nonché a dichiarare di ritenere la predetta società responsabile per l'inadempimento delle obbligazioni a suo tempo assunte con l'associazione professionale.
3. - Il motivo è infondato.
In tema di contratto condizionato, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato il principio secondo cui l'art. 1359 cod. civ., il quale equipara al verificarsi della condizione il mancato avveramento dipendente dal comportamento del contraente che abbia un interesse contrario al perfezionamento dell'obbligazione, postula che quel comportamento integri un'attività positiva idonea ad impedire il verificarsi dell'evento, non essendo di per sè sufficiente una condotta omissiva, a meno che l'omissione non riguardi un'attività che costituisce oggetto di un obbligo giuridico della parte. Tale principio ha indotto in passato a circoscrivere l'ambito applicativo della norma in esame alla sola ipotesi di condizione casuale, il cui avveramento dipende cioè dal caso o dalla volontà di terzi, escludendone invece la riferibilità all'ipotesi di condizione potestativa o mista, che ricorre quando il verificarsi dell'evento dipenda in tutto o in parte dalla volontà di uno dei contraenti: si era infatti ritenuto che la riconducibilità dell'evento al segmento potestativo della condizione impedisse di ravvisare nell'attività volta alla sua attuazione l'oggetto di un obbligo giuridico della parte, e quindi di considerare contraria a buona fede la relativa omissione (cfr. Cass., Sez. 1, 22 aprile 2003, n. 6423; Cass., Sez. 2, 18 novembre 1996, n. 10074; 7 marzo 1983, n. 1680; 5 gennaio 1983, n. 9). La giurisprudenza più recente ha tuttavia accolto una nozione più ampia d'imputabilità della causa ostativa all'avveramento della condizione, ravvisandola non solo nella violazione di obblighi specificamente assunti, ma anche nell'inosservanza dei canoni di buona fede e correttezza cui, ai sensi dell'art. 1375 cod. civ., dev'essere improntata la condotta delle parti nella fase di esecuzione del contratto: si è infatti osservato che tali canoni non attengono esclusivamente all'adempimento delle prestazioni dovute, ma impongono, più in generale, comportamenti di contenuto atipico, volti a salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta ed all'utilità dalla stessa assicurata, che assumono la consistenza di standard integrativi dei predetti principi, e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche, soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge (cfr. Cass., Sez. I, 28 luglio 2004, n. 14198, cit.). Tale nozione, in virtù della quale è stata riconosciuta l'applicabilità dell'art. 1359 cod. civ. anche al segmento non casuale della condizione potestativa mista, si pone maggiormente in linea con il dettato dell'art. 1358 cod. civ., applicabile anche alla pendenza di detta condizione (cfr. Cass., Sez. Un., 19 settembre 2005, n. 18450; Cass., Sez. lav., 44 aprile 2013, n. 8172; Cass., Sez. 2, 14 dicembre 2012, n. 23014), nonché con il principio di correttezza e buona fede emergente dal codice civile:
quest'ultimo, come precisa la Relazione ministeriale, "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore", e dev'essere quindi inteso, conformemente all'orientamento ormai consolidato di questa Corte, in senso oggettivo, come enunciazione di un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, manifesta la sua rilevanza nell'im-porre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, indipendentemente dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (cfr. Cass., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28056;
Cass., Sez. 3, 10 novembre 2010, n. 22819; Cass., Sez. 1, 22 gennaio 2009, n. 1618; 27 ottobre 2006, n. 23273).
Non può quindi condividersi la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui la mancata verificazione dell'evento dedotto in condizione nella specie non era ad esso imputabile, in quanto il finanziamento dell'opera pubblica, al cui conseguimento le parti avevano subordinato il pagamento del compenso dovuto per la progettazione, non costituiva oggetto di un'attività alla quale l'Amministrazione si era specificamente obbligata. La concessione del finanziamento, pur essendo rimessa alla discrezionalità della Regione, in qualità di ente erogatore, presupponeva lo svolgimento da parte del Comune dell'attività finalizzata alla presentazione della richiesta ed alla gestione della relativa pratica, la quale, pur non configurandosi come una prestazione specificamente dovuta in favore dello Studio professionale, rientrava certamente nell'esecuzione del contratto; l'apposizione allo stesso della clausola che subordinava l'insorgenza del diritto al compenso ad un evento per il cui avveramento era necessario il concorso di un'attività positiva del committente poneva infatti a carico di quest'ultimo l'obbligo di compierla, non soltanto in funzione del proprio interesse alla realizzazione del progetto, ma anche, in ossequio ai principi di correttezza e buona fede, a tutela dell'interesse della controparte al conseguimento del corrispettivo per l'opera professionale prestata.
Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ricollegato l'applicabilità della fictio di avveramento della condizione alla decisione del ricorrente di affidare in concessione ad una società privata la gestione del servizio idrico integrato, in tal modo precludendosi definitivamente l'accesso al finanziamento, che era destinato esclusivamente a soggetti pubblici. Incontestabile risulta, sotto il profilo logico-giuridico, l'affermazione compiuta al riguardo dalla Corte di merito, secondo cui la discrezionalità di cui il Comune godeva nella valutazione dell'interesse pubblico, operando esclusivamente sul piano della scelta tra le diverse modalità di svolgimento del servizio, non gli attribuiva una posizione di preminenza tale da consentirgli di incidere unilateralmente sugli obblighi assunti con un contratto di diritto privato e sull'applicazione delle consuete regole in tema di adempimento. La perdurante vincolatività di tali obblighi, collegata alla posizione di parità che l'Amministrazione assume nei confronti dei privati nello svolgimento della propria attività contrattuale, pur non precludendo al Comune una rinnovata valutazione dell'interesse pubblico, alla stregua dei mutamenti eventualmente intervenuti nella situazione sociale ed ambientale del territorio, avrebbe infatti richiesto se non altro l'adozione delle opportune cautele, a salvaguardia delle posizioni soggettive scaturenti dai rapporti pregressi.
È in quest'ottica che dev'essere apprezzato anche il riferimento della sentenza impugnata al lunghissimo periodo di tempo trascorso tra la stipulazione del contratto e l'affidamento del servizio a terzi, nonché l'accenno della Corte di merito alla convinzione, manifestata dal Comune nella lettera indirizzata alla società concessionaria, di essere tenuto al pagamento del compenso per l'opera professionale, ritenuti evidentemente sintomatici da un lato dell'inerzia dell'Amministrazione o quanto meno di una sua scarsa sollecitudine nella gestione della pratica relativa alla richiesta del finanziamento, e dall'altro della sua consapevolezza di essersi in tal modo sottratta all'adempimento degli obblighi nascenti dal contratto stipulato con lo Studio Ga... Non può ritenersi decisiva, in contrario, la circostanza che il finanziamento sia stato poi effettivamente concesso, essendo ciò avvenuto soltanto in parte e comunque in epoca successiva all'affidamento del servizio a terzi, che ne precludeva l'effettiva fruizione. Inammissibili risultano invece le critiche mosse all'interpretazione della predetta lettera, con cui l'Amministrazione si limita a proporre una lettura diversa da quella fornita dalla Corte di merito, astenendosi tuttavia dall'indicare le carenze o le contraddizioni dell'iter logico da quest'ultima seguito per giungere alla decisione, ed in tal modo dimostrando di voler sollecitare un riesame della vicenda processuale, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il potere di valutare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza formale e della coerenza logico-giuridica, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale compete in via esclusiva l'individuazione delle fonti del proprio convincimento, il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonché la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti dedotti (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. lav. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass., Sez. 3, 9 agosto 2007, n. 17477).
4. - Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna il Comune di Chiavari al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00. ivi compresi Euro 3.500,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 9 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2014