Divieto esplicito di cumulo di pubblici impieghi Consiglio di Stato – Sezione sesta – decisione 25 giugno-14 ottobre 2004, n. 6667
Decadenza ope legis dal precedente rapporto Consiglio di Stato – Sezione sesta – decisione 25 giugno-14 ottobre 2004, n. 6667
Pubblico impiego - Divieto esplicito di cumulo di pubblici impieghi - Decadenza ope legis dal precedente rapporto (Consiglio di Stato – Sezione sesta – decisione 25 giugno-14 ottobre 2004, n. 6667)
Consiglio di Stato – Sezione sesta – decisione 25 giugno-14 ottobre 2004, n. 6667
Fatto e diritto
1. Con la sentenza impugnata, il Tar Lazio ha respinto il ricorso dell’istante per l’annullamento di una serie di atti ivi indicati e per l’accertamento del diritto ad ottenere lo status giuridico e retributivo di primo ricercatore IspeE con decorrenza dal 4 giugno 1992, e del conseguente diritto al mantenimento del relativo trattamento anche come dipendente universitario.
Il primo giudice ha individuato l’oggetto della controversia nella pretesa del ricorrente (già ricercatore Ispe e transitato nei ruoli dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con la qualifica di ricercatore universitario) al mantenimento del trattamento retributivo della qualifica di primo ricercatore IspeE, la quale egli assume di avere ottenuto quale vincitore di un apposito concorso, prima del suo passaggio alle dipendenze della Università.
In particolare, il Tar ha precisato che l’interessato è stato correttamente inquadrato dall’Università (come avvenuto per tutti i ricercatori che hanno superato la seconda tornata dei giudizi di idoneità) con decorrenza giuridica dalla data del decreto rettorale di nomina (21 marzo 1992), corrispondente al decreto ministeriale di approvazione degli atti concorsuali, e ha richiamato (condividendolo) “l’avviso espresso dal Consiglio di Stato sin dal 1984”, secondo il quale il rapporto di servizio tra l’Università ed il ricercatore si costituisce alla data di nomina indicata nel decreto rettorale, con la conseguenza che al ricercatore non viene attribuita una “anzianità figurativa”, in quanto l’instaurazione del rapporto di lavoro deve considerarsi avvenuta con la data di nomina. In questo senso – prosegue il primo giudice – appare priva di significato la clausola (inserita nella comunicazione dell’Università del superamento del concorso e della nomina) che differiva ad altra data la effettiva immissione in servizio del ricorrente, perché questa immissione “rappresenta solo l’attualizzazione dell’obbligazione di lavoro subordinato assunta dal ricercatore all’atto della nomina stessa”, e anche perché lo stesso ricorrente “ebbe piena contezza di tale comunicazione, con l’invito a prendere i dovuti accordi per l’inizio della prestazione di lavoro, fin dal 21 aprile 1992”, senza contestare la decorrenza della sua nomina.
Concludendo, il Tar ha riconosciuto la legittimità degli atti impugnati, in quanto:
- il ricorrente partecipò e vinse il concorso interno per la qualifica di primo ricercatore Ispe, ottenendo la nomina con decorrenza 4 giugno 1992 (anche se la nomina stessa fu stabilita con disposizione presidenziale del 1° luglio 1992);
- l’IspeE ha revocato rettamente “ogni precedente statuizione o attestazione su quest’ultima qualifica”, una volta conosciute la decorrenza giuridica della nomina a ricercatore universitario (21 marzo 1992) e la data di comunicazione della stessa con l’invito presentare i documenti e concordare la data di presa di servizio (16 aprile 1992), ambedue anteriori alla decorrenza della nomina a primo ricercatore IspeE, “giacché il dr. Citoni non poteva cumulare in sé una pluralità di impieghi pubblici”. Il che comporta che l’interessato non può godere il trattamento retributivo corrispondente alla qualifica di primo ricercatore IspeE, che non ha titolo legittimo a mantenere (anzi, non aveva titolo neppure ad ottenerla perché, in virtù della sua nomina a ricercatore, aveva perduto il requisito necessario per partecipare al concorso interno e riservato al personale Ispe), pena la violazione del divieto di cumulo degli impieghi pubblici.
2. Appella l’interessato, il quale chiede la riforma della sentenza impugnata. Si sono costituite le amministrazioni appellate, sostenendo l’infondatezza del ricorso. Quest’ultimo è stato trattenuto in decisione all’udienza del 25 giugno 2004.
3. La questione sottoposta all’attenzione del Collegio si esaurisce nello stabilire se il ricorrente, il quale, una volta nominato dall’Università “La Sapienza” di Roma ricercatore universitario con decorrenza giuridica dal 21 marzo 1992, e immesso in servizio in data 10 luglio 1992, abbia o meno diritto al mantenimento del trattamento di primo ricercatore Ispe, la cui qualifica lo stesso ha conseguito con disposizione presidenziale del 1° luglio 1992 e con decorrenza dal 4 giugno 1992, dopo aver partecipato con esito favorevole al relativo concorso interno (e riservato al personale Ispe).
Il Tar – come detto – ha denegato la pretesa del ricorrente al mantenimento della maggiore retribuzione corrispondente alla qualifica di primo ricercatore Ispe, invocando il carattere costitutivo dell’atto di nomina a ricercatore universitario (nella specie 21 marzo 1992), la quale determina “non già il riconoscimento di una mera anzianità figurativa, ma il dies a quo dell’instaurazione del rapporto di lavoro, e il divieto di cumulare in sé una pluralità di impieghi.
La argomentazione del Tar non può essere condivisa.
Non è dubbio, infatti, che l’atto di nomina abbia effetti costitutivi e che costituisca l’antecedente necessario all’immissione in servizio, alla quale segue l’effettivo espletamento della mansione assegnata.
Non è altrettanto dubbio che l’articolo 65 Tu 3/1957 (applicabile nella specie per il suo carattere generale), nel porre il divieto esplicito di cumulo di pubblici impieghi, predispone un meccanismo automatico che richiede solo un’attività ricognitiva da parte dell’amministrazione, in base al quale meccanismo l’assunzione di un nuovo impiego da parte dell’impiegato determina di diritto la cessazione di quello precedente, sul presupposto che il dipendente, accettando il secondo rapporto, abbia inteso dismettere il primo (cfr. CdS, Sezione quarta, 952/94). Per questo, si può dire che con la cessazione di diritto del precedente rapporto a seguito dell’assunzione del nuovo, il legislatore vuole garantire che il pubblico dipendente presti la propria attività a favore di un solo datore di lavoro pubblico.
Se così è, si tratta di determinare il momento nel quale si verifica l’assunzione del nuovo impiego, cioè il momento nel quale si realizza il presupposto che determina in via automatica il venir meno del precedente rapporto di lavoro.
Diversamente da quanto statuito dal primo giudice, che ha individuato il momento della assunzione del nuovo rapporto nella data del decreto rettorale di nomina del ricorrente, alla quale deve farsi risalire il dies a quo dell’effettiva instaurazione del rapporto di lavoro e la decorrenza giuridica, che non determina il riconoscimento di una mera anzianità figurativa, l’assunzione deve considerarsi avvenuta con l’effettiva immissione in servizio del ricorrente medesimo, cioè alla data del 10 luglio 1992.
È, infatti, a tale data che il ricorrente, seppure nominato ricercatore universitario a decorrere ai fini giuridici dal 21 marzo 1992, ha assunto effettivo servizio, ed è, quindi, a tale data che si è verificato il presupposto che rende operativa la decadenza ope legis dal precedente rapporto, a motivo del divieto di cumulo di pubblici impieghi, di cui al citato articolo 65 Tu 3/1957.
La diversa data di nomina, indicata nel menzionato decreto rettorale del 21 marzo 1992, determina il riconoscimento di una anzianità in senso meramente fittizio, la quale, seppure rilevante ai fini generali della posizione del ricorrente, non assume rilievo ai fini della sussistenza del cumulo di impieghi, che – come detto – richiede la effettiva prestazione del servizio nel nuovo rapporto, con la conseguente cessazione di diritto dal precedente.
Se, quindi, l’Università ha correttamente fissato la decorrenza nel posto di ricercatore universitario alla data del decreto rettorale di nomina (21 marzo 1992), secondo la disciplina applicabile a tutti i ricercatori universitari che avessero superato la seconda tornata dei giudizi di idoneità, tale decorrenza giuridica retroattiva non ha reso incompatibile l’impiego svolto dal ricorrente nel periodo compreso tra la data retroattivamente fissata e quella dell’effettiva assunzione del nuovo servizio, in quanto solo nel momento dell’assunzione del nuovo impiego si realizza la condizione del cumulo di impieghi, che, ai sensi dell’articolo 65 del Dpr 3/1957, comporta la cessazione di diritto dal primo impiego (cfr. Corte dei conti, Sez. Contr., det. n. 1480/84).
Peraltro, se la retrodatazione della nomina ai soli effetti giuridici valesse a determinare la decadenza di diritto dal primo impiego (il primo giudice ritiene, per questo, che il ricorrente non aveva neppure titolo a partecipare al concorso interno a primo ricercatore, essendo venuto meno il suo rapporto di impiego con l’Ispe sin dal 21 marzo 1992), le conseguenze (evidenziate dall’istante) sarebbero inaccettabili. Siccome l’Università non può essere tenuta al pagamento del trattamento retributivo corrispondente alla qualifica assegnata con l’atto di nomina, in quanto il nominato non è stato ancora immesso in servizio, e, quindi, non ha svolto a suo favore alcuna prestazione lavorativa, l’istante sarebbe dovuto rimanere privo di stipendio per due mesi, giacché il suo rapporto di impiego con l’Ispe deve intendersi cessato alla data del 21 marzo 1992.
Di questa conseguenza si rende conto l’Istituto appellato, il quale ritiene di risolvere il problema in base alla disciplina della prestazione di fatto del lavoro di cui all’articolo 2126 Cc, applicabile anche al rapporto di pubblico impiego.
Sennonché, in relazione a quanto disposto dal citato articolo 65 Tu 3/1957, la disposizione dell’articolo 2126 Cc non può trovare applicazione nell’ipotesi di un dipendente che abbia contravvenuto al divieto di cumulo di pubblici uffici, dal momento che, nella specie, si verifica una illiceità funzionale della causa, il che comporta che non debba essere corrisposto il trattamento economico per l’effettivo servizio svolto (cfr. CdS, Sezione sesta, 1384/95).
L’appello va, pertanto, accolto, e, in riforma della sentenza impugnata, va riconosciuto al ricorrente il diritto al mantenimento del trattamento retributivo della qualifica di primo ricercatore Ispe, conseguita con decorrenza anteriore alla sua immissione in servizio presso l’Università.
Le spese e gli onorari di giudizio possono essere compensati.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, accoglie l’appello in epigrafe, e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara fondato il ricorso di primo grado. Compensa le spese. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.