Chiosco realizzato in assenza della prescritta concessione edilizia
Chiosco realizzato in assenza della prescritta concessione edilizia (art. 20 lett. "C" legge 28.2.1985 n. 47) - opera realizzata in zona sottoposta a vincolo paesistico/ambientale (artt. 138 e 163 n. 490 del 29.10.1999) - estinzione del reato a seguito di rilascio di concessione in sanatoria ex art.13 e 22 l.47/85 (Tribunale di Roma - Sezione distaccata di Ostia sent del 10-3-2003)
Chiosco realizzato in assenza della prescritta concessione edilizia (art. 20 lett. "C" legge 28.2.1985 n. 47 ) opera realizzata in zona sottoposta a vincolo paesistico/ambientale (artt. 138 e 163 n. 490 del 29.10.1999) - estinzione del reato a seguito di rilascio di concessione in sanatoria ex art.13 e 22 l.47/85
(Tribunale di Rona - Sezione distaccata di Ostia sent del 10-3-2003)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE DISTACCATA DI OSTIA
Il Giudice dott.cons.Massimo Moriconi,
ha pronunciato all'udienza del 10.3.2003 la seguente
S E N T E N Z A
CONTRO Mxxxxxxxxx Cxxxxxa lib. presente IMPUTATA
a) del reato di cui all'art. 20 lett. "C" legge 28.2.1985 n. 47 per avere abusivamente realizzato in assenza della prescritta concessione edilizia installazione di un chiosco di mq. 20 alto da mt. 2,70 a mt. 3,00 coperto con tetto in legno il tutto in zona sottoposta a vincolo paesistico/ambientale ai sensi degli artt. 138 e 163 D.Lvo n. 490 del 29.10.1999;
b) del reato di cui agli artt. 138 e 163 n. 490 del 29.10.1999 per aver realizzato le opere di cui al capo a) in zona sottoposta a vincolo paesistico/ambientale di cui al medesimo decreto, senza la prescritta autorizzazione;
Carla Mxxxxxxxxx veniva tratta a giudizio davanti al Giudice Unico di Ostia per rispondere del reato in epigrafe rubricato come da imputazione elevata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma.
All'esito dell'istruttoria dibattimentale, completa ed esauriente, udite le conclusioni delle parti il Giudice pronunciava sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato a seguito di rilascio di concessione in sanatoria ex art.13 e 22 l.47/85.
Si tratta di un piccolo chiosco che la Mxxxxxxxxx ha inteso spostare dal precedente luogo in cui si trovava, facendolo però senza attingere previamente la concessione edilizia di cui all'art. 1 della l. 10/1977 e l'autorizzazione di cui all'art.7 l.1497/1939 (ora art.151 T.U. 490/1999).
La prevenuta produceva la concessione in sanatoria 11.2.2002 n.26 rilasciata dal Comune di Roma previa autorizzazione paesaggistica del 16.1.2002 del dirigente dell'area autorizzazione paesaggistiche del X Dipartimento del Comune di Roma (ciò in virtù di delega legislativa da parte della Regione Lazio).
Sulla possibilità che possa essere rilasciata una autorizzazione ambientale in sanatoria o come talvolta si dice postuma la giurisprudenza non ha mai dubitato sicché l'atto di resipiscenza della Regione Lazio che, smentendo quanto nel 1996 erroneamente assunto, dichiarava di aderire alla opinione positiva (cfr. nota dell'Assessorato Regione Lazio 2.11.1999 prot.8365) è del tutto condivisibile.
Se va de plano che la concessione in sanatoria di cui all'art.13 della l.47/1985 estingue il reato edilizio, non può dirsi altrettanto per quanto riguarda il reato previsto dall'art.1 sexies della l.431/1985 (cd. Legge Galasso) oggi trasfuso nell'art.163 del succitato testo unico.
In tale ambito infatti la giurisprudenza è concorde nel negare l'estensibilità della norma (art.13) anche ai reati previsti dalla l.431/1985 (oggi art.163 T.U.cit.).
Le argomentazioni presentate a sostegno dell'esclusione dell'applicazione dell'effetto estintivo dell'art.13 anche ai reati ambientali prendono in considerazione l'asserita diversità dell'oggetto tutelato dalle norme (quelle dettate in materia edilizio-urbanistica e quelle previste in materia di tutela ambientale) ed il fatto che solo nella legge urbanistica (l.47/1985) è previsto tale meccanismo di estinzione del reato (artt.13 e 22).
In particolare Cassazione penale sez. III, 18 novembre 1998, n. 13608 Marcheschi afferma che la concessione in sanatoria ex art. 13 e 22 l. 28 febbraio 1985 n. 47, estingue i reati edilizi ed urbanistici, ma non quello ambientale - di cui all'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985 - avente oggettivita' giuridica diversa dalla mera tutela urbanistica del territorio e condonabile solo "ex lege" n. 724 del 1994. Difatti la c.d. legge Galasso, a differenza della l. n. 47 del 1985, non prevede espressamente tale effetto estintivo, che e' stato introdotto solo dall'art. 39 della citata l. n. 724 del 1994, alle condizioni dalla stessa poste.
E Cass. sez. III, 27 marzo 2000 Scotti lo ribadisce precisando che il rilascio successivo dell'autorizzazione paesaggistica non determina l'estinzione del reato di cui all'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985, poiche' in tale legge e nel d.lg. n. 490 del 1999 non sussiste una previsione analoga a quella di cui agli art. 13 e 22 l. n. 47 del 1985.
E secondo Cassazione penale sez. III, 30 aprile 1996, n. 5404 l'inapplicabilita' della speciale causa estintiva stabilita dall'art. 22 l. n. 47 del 1985 al reato previsto dall'art. 1 sexies l. n. 431/85 si fonda sui connotati peculiari di due discipline difformi e differenziate, legittimamente e costituzionalmente distinte, e sulla tutela prodromica del paesaggio cui e' deputata la contravvenzione in esame, sicche' non si vuole consentire alcuna modificazione senza il preventivo controllo dell'autorita' amministrativa, escludendo di porre la pubblica amministrazione competente dinnanzi al fatto compiuto, e sulla natura di reato formale o di disobbedienza riconosciuto in maniera uniforme da dottrina e giurisprudenza.
Infine Cassazione penale sez. III, 20 ottobre 1998, n. 12697 Boscarato afferma che in materia ambientale l'autorizzazione paesaggistica deve essere rilasciata prima e non dopo l'esecuzione dei lavori. In tale ultimo caso l'effetto del provvedimento postumo non e' l'estinzione del reato, ma soltanto l'esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, poiche' l'amministrazione ha valutato l'opera e la ha ritenuta compatibile con l'assetto paesaggistico dell'area impegnata dall'opera realizzata.
Tale interpretazione della norma è stata ritenuta non in contrasto con la Costituzione da ultimo da Corte costituzionale 21 luglio 2000, ord. n. 327 Ottavi.
Pur nel più convinto ossequio all'autorevolezza degli illuminati consessi che hanno in vario modo espresso il concetto testé ricordato, si ritiene che se ne debba tuttavia dissentire attraverso un meditato riesame delle norme e dei principi che sono alla base della questione.
Va premesso che le conseguenze che derivano da tale giurisprudenza sono molto penalizzanti per l'imputato per il quale è assolutamente incomprensibile perché mai, per lo stesso fatto, possa essere mandato assolto dal reato edilizio e debba invece essere condannato per il reato ambientale pure avendo ricevuto, in relazione alla sua istanza di sanatoria, provvedimenti positivi sia da parte del Comune (per il versante edilizio) e sia dell'organo preposto alla tutela del vincolo (per il versante ambientale).
Va considerato che il rilascio della concessione in sanatoria per reato edilizio commesso in zona vincolata postula necessariamente che sia stata previamente attinta da parte del Comune l'autorizzazione dell'organo preposto alla tutela del vincolo (o degli organi preposti alla tutela dei vincoli, se molteplici e di diversa natura ed origine). Rilasciabilità postuma sulla quale non vi sono dubbi essendo la questione che si dibatte solo relativa all'estensione ed all'ambito degli effetti dei tale autorizzazione.
In particolare in tema di reati edilizi, qualora la zona sia sottoposta a vincolo paesaggistico, la relativa autorizzazione si inserisce nel procedimento di rilascio della concessione e ne condiziona l'emanazione, assumendo il ruolo di presupposto. Ne consegue che la concessione e' priva di efficacia qualora il sindaco l'abbia rilasciata in assenza del c.d. nulla osta (Cassazione penale sez. III, 4 maggio 1998, n. 6671 Losito; Cassazione penale sez. VI, 11 novembre 1999).
Questa autorizzazione - necessaria per l'ottenimento della concessione in via ordinaria e preventiva - a ben vedere non è nulla di diverso da quella necessaria per l'ottenimento della concessione in sanatoria ex art.13.
Ed infatti non si vede come si possa immaginare, in assenza di qualsiasi disposizione che lo preveda, che l'autorità preposta alla tutela del vincolo possa regolarsi diversamente a seconda che la richiesta di concedere l'autorizzazione riguardi opere da compiersi o viceversa già compiute. Il parametro da prendere in considerazione infatti non è certo il momento di compimento delle opere e in particolare la circostanza che possano o meno essere state già realizzate, quanto piuttosto il rispetto e la conformità delle opere, fatte o da farsi, ai referenti, generici o specifici, ai quali l'autorizzazione deve commisurarsi come delineati e previsti dall'atto istitutivo del vincolo (e pertanto caso per caso si dovranno prendere in esame il contenuto dei piani paesistici ovvero dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, cfr. art.1 bis. L.431/1985, o quali che siano i riferimenti del caso).
E così l'autorità preposta alla tutela del vincolo rilascerà l'autorizzazione, indefettibile presupposto della concessione, ordinaria o in sanatoria, solo e nella misura i cui riterrà che le opere, da realizzarsi o realizzate, siano compatibili ed adeguate con la caratteristica e la natura del bene protetto dal vincolo, mentre in caso contrario non solo non rilascerà l'autorizzazione ma procederà agli intereventi di sua competenza di natura ablativa e risarcitoria (cfr. espressamente art.164 T.U.).
A contrariis, occorre dire, la rilasciata autorizzazione anche se successiva al compimento delle opere (che, al di la dell'eventuale diverso nomen utilizzato, nulla osta, parere, sempre di ciò si tratta), starà a dimostrare la totale assenza di nocumento per il bene protetto e la assoluta compatibilità delle stesse con i parametri di tutela presi in esame.
Si afferma talvolta che la speciale procedura di sanatoria di cui all'art.13 non esplica efficacia per i reati ambientali in quanto che tali reati hanno diversa oggettività giuridica tutelando il bene ambiente diversamente dai reati edilizi le cui sanzioni presidiano la regolarità dello sviluppo urbanistico. Ed invero possono essere oggetto di sanzione per reati ambientali anche attività poste in essere in zona vincolata non consistenti in attività edilizia.
A ben vedere si tratta di argomento non condivisibile.
Ed invero è indubbio che l'oggetto specifico della tutela sia, nei due ambiti in esame, diverso (tanto che nessuno dubita che il reato di cui all'art.20 l.C l.47/85 possa concorrere con il reato di cui all'art.163 del TU in materia di beni culturali ed ambientali) ma è altresì vero che non è esatto concepire l'edilizia e l'ambiente come due settori autonomi e separati.
Non è concettualmente possibile infatti immaginare un reato edilizio commesso in zona ambientale che non integri anche il reato di cui all'art. 163 del TU (che è considerato un reato formale, di pericolo, cfr. fra le tante Cassazione penale sez. III, 17 dicembre 1999, n. 4086), a differenza di quanto invece accade per la contravvenzione di cui all'art.734 cp nella quale la sussistenza di un danno ambientale va accertata caso per caso. E mentre non è vero il contrario (nel senso che può esistere un reato ambientale senza opere edilizie), si può dunque e senz'altro affermare che il reato edilizio è in rapporto di necessaria continenza con il reato ambientale.
E rappresenta una evidente testimonianza di questa stretta connessione lo stesso sistema sanzionatorio del reato ambientale che è mutuato direttamente da quello previsto per i reati edilizi, essendo pacificamente ritenuto che la sanzione di cui alla previsione normativa per i reati ambientali (che richiama l'art.20 l.47/1985) vada riferita tout court all'art.20 lett.C della l.47/1985.
Ed ancora è la stessa giurisprudenza della Suprema Corte che in modo costante afferma che il nostro sistema positivo ha adottato una concezione ampia della materia urbanistica, coincidente con l'assetto complessivo del territorio, sicché la tutela dell'ambiente rientra a pieno titolo nella materia urbanistica (così fra le moltissime Cassazione penale sez. III, 28 maggio 1998, n. 8578 Colombini; ed in analoghi termini Cassazione penale sez. III, 10 novembre 1998, n. 2950 Sanna).
Che poi una tale affermazione sia spesso utilizzata per sostenere che la sostituzione delle pene detentive brevi, di cui all'art. 53 l. 24 novembre 1981, n. 689, non e' applicabile ai reati ambientali previsti e puniti dalla l. 8 agosto 1985, n. 431, in virtu' della esclusione stabilita dall'ultimo comma dell'art. 60 l. n. 689 del 1981 ha poca importanza. Sarebbe infatti davvero bizzarro che la omogenità del sistema ambiente con quello urbanistico, affermata per giustificare ed avallare concettualmente una interpretazione normativa obiettivamente a disfavore dell'imputato (il diniego della sostituzione della pena detentiva con quelle alternative nei reati ambientali, non espressamente previsto dalla legge, che lo detta esplicitamente solo per i reati edilizi), fosse invece rinnegata ed esclusa laddove da tale omogeneità possano derivare effetti positivi a favore dell'imputato.
Anche l'affermazione che nel TU del 1999 (come prima nella l.431/85) non sia previsto espressamente un meccanismo del genere di quello di cui all'art.13 l.47/85 a ben vedere prova poco.
L'art.22 ultimo comma della l.47/1985 prevede espressamente che il rilascio in sanatoria delle concessioni estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti.
Ne consegue che poiché come si è visto è la stessa Cassazione ad affermare con limpida chiarezza che il nostro sistema positivo ha adottato una concezione ampia della materia urbanistica, coincidente con l'assetto complessivo del territorio, sicché la tutela dell'ambiente rientra a pieno titolo nella materia urbanistica si può affermare de plano e senza forzature che la norma in questione, occorrendo previa interpretazione estensiva (e neppure analogica, pur consentita perché da una parte si tratterebbe di analogia in bonam partem e dall'altra nel sistema edilizio-ambientale come sopra delineato la sanatoria in questione non costituisce affatto norma di carattere eccezionale, ma del tutto ordinaria ed appropriata a regolare la sorte di reati formali), è applicabile anche al reato di cui all'art.163 del TU cit.
Ed invero si tratta, quanto a tale ultima precisazione, di questione nodale che va ben compresa.
L'art.13 postula che si sia in presenza di una violazione edilizia del tutto formale, il che vuol dire che quell'opera è del tutto conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici sicché se l'interessato avesse richiesto la concessione l'avrebbe dovuta ottenere.
L'art.13 presuppone che non vi sia MAI stato alcun vulnus sostanziale della normativa edilizio urbanistica, come necessita la previsione della norma che richiede espressamente la conformità delle opere agli strumenti urbanistici vigenti ed adottati sia al momento della realizzazione dell'opera e sia della presentazione della domanda. L'art. 13 non può operare se l'opera, per com'è, viola i strumenti urbanistici a prescindere se l'interessato sia disposto a modificarla e correggerla.
Se così è ed è così, lo stesso, per ineludibile conseguenza logica, vale per l'aspetto ambientale.
L'autorizzazione in sanatoria non può che dispiegarsi in un ambito in cui l'opera non abbia violato alcuna norma sostanziale. Se, in ipotesi, l'autorizzazione ambientale fosse condizionata ad opere ed interventi sull'immobile da effettuarsi, l'art.13 sarebbe fuori gioco perché ciò implicherebbe che così com'è l'opera non è conforme agli strumenti urbanistici fra i quali rientrano anche tutti gli strumenti di tutela ambientale (quali piani paesistici, piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali, decreti istitutivi dell'area vincolata,leggi statali e regionali, regolamenti, piani dei parchi, norme di salvaguardia, e quant'altro disciplina l'uso di un bene vincolato); sicché il meccanismo di cui all'art.13 non potrebbe comunque operare.
Con il che può conclusivamente affermarsi che se vi è una lecita concessione edilizia in sanatoria in zona vincolata necessariamente l'opera è del tutto conforme e compatibile, tal qual'è, con i parametri sostanziali di valutazione di legalità di un intervento edilizio in zona vincolata, potendosi senza errore affermare che quell'opera fin dall'inizio e per come si presentava era del tutto conforme sia alle norme edilizie e sia a quelle che presiedono alla tutela del o dei vincoli esistenti sull'area.
Significativo esempio e dimostrazione di quanto sopra emerge dalla lettura della summenzionata nota 2.11.1999 della Regione Lazio. Si legge ivi che la Regione nonché le Amministrazioni comunali hanno potestà di rilasciare (nell'ambito delle competenze della L.R. 19.12.1995 n.59 con la quale sono state conferite le deleghe ai Comuni per il rilascio di siffatte autorizzazioni, n.d.r.) le surichiamate autorizzazioni in conformità alle norme di tutela contenute nella legge regionale 6.7.1998 n.24 e ss.
Tale ultima legge, intitolata Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico contiene una serie di prescrizioni che sono cogenti per l'organo che deve rilasciare l'autorizzazione e che regolano in dettaglio anche i modi e i limiti in cui l'attività edilizia (nonché gli strumenti urbanistici che disciplinano l'attività edilizia nelle zone vincolate, cfr. art.28 e 29) si può realizzare nelle stesse.
Da tutto ciò si trae la conferma che anche l'autorizzazione ambientale, allorché concerne opere edilizie e a differenza di altri ambiti (nei quali valutazioni di opportunità possono trovare spazio), così come accade sempre per la concessione edilizia, si muove in un ambito di scarsa se non del tutto assente discrezionalità amministrativa nel senso che il richiedente ha un vero e proprio diritto ad ottenere sia l'una che l'altra (formalmente si tratta, per quanto oggi la distinzione non sia più rilevante come in passato viste le recenti leggi in materia di giurisdizione del giudice amministrativo in materia urbanistica, di un interesse legittimo, ma connotato come detto da scarsa o assente discrezionalità dell'amministrazione, tutt'al più - ove prevista- di natura tecnica).
Ulteriore corollario di quanto sopra è la non condivisibilità dell'argomento secondo cui l'inapplicabilita' della speciale causa estintiva stabilita dall'art. 22 l. n. 47 del 1985 al reato previsto dall'art. 1 sexies l. n. 431/85 deriva dal fatto che non si vuole consentire alcuna modificazione senza il preventivo controllo dell'autorita' amministrativa, escludendo di porre la pubblica amministrazione competente dinnanzi al fatto compiuto (Cassazione penale sez. III, 30 aprile 1996, n. 5404).
In realtà o quell'opera edilizia poteva essere legittimamente realizzata (alla stregua degli strumenti urbanistici ed ambientali vigenti) in zona vincolata o non lo poteva: nel primo caso non si vede perché l'art.13 non potrebbe estinguere il reato formale ambientale insieme a quello edilizio, nel secondo non vi sono spazi né per l'art.13 né per il rilascio della autorizzazione ambientale.
Come dire che è difficilmente pensabile che la pubblica amministrazione possa assumere un comportamento diverso di fronte ad una richiesta di autorizzazione ambientale a seconda che pervenga prima o invece dopo la realizzazione dell'opera edilizia, essendo predeterminati dalla legge e dai provvedimenti amministrativi le possibilità edificatorie dell'area e quindi la possibilità o meno del rilascio dei provvedimenti di competenza richiesti.
Si potrebbe, sotto altro profilo, eccepire che alla stregua del ragionamento esposto il soggetto imputato di reato ambientale senza che siano state realizzate opere edilizie subisca un trattamento deteriore rispetto a quello che le abbia commesse, potendo il meccanismo di cui all'art.13 operare solo in presenza di attività edilizia.
L'eccezione proverebbe poco ed anzi rafforzerebbe l'assunto qui propugnato.
E' noto principio costituzionale quello della perfetta legittimità di una legge che tratti diversamente fattispecie diverse. Ed invero queste lo sono.
Ad avviso del Giudicante in materia ambientale l'art.13 deve potere operare SOLO in presenza di opere edilizie. Ed invero solo in questo caso preesistono al fatto reato parametri obiettivi in ordine ai quali potersi dire che quel tale soggetto aveva diritto a realizzare quell'opera perché conforme agli strumenti urbanistici sicché il fatto che l'abbia realizzata senza chiedere i preventivi assensi (concessione edilizia, autorizzazione ambientale) non appare (al legislatore) fatto così grave da non potere essere perdonato, ché in ciò precisamente consiste la ratio di tale norma.
Ed infine: se sono possibile due interpretazioni fra le quali l'una è quella qui propugnata, occorre chiedersi se sia ragionevole preferirne altra, di estremo rigore e assai penalizzante per un imputato di reati formali, che non hanno arrecato alcun danno né al tessuto urbanistico né all'ambiente (e che escluso l'ordine di remissione in pristino andrebbe condannato per il solo reato di cui all'art.163 alla stessa pena di cui al reato, dichiarato estinto, dell'art.20 lett.C l.47/1985), in un contesto, che è sotto gli occhi di tutti, in cui mezzo secolo di abusi edilizi e danni ambientali - veri, cioé anche di sostanza- sono stati, salvo eccezioni, cancellati mediante condoni edilizi (con valenza anche su reati edilizio-ambientali), salvo altri prevedibili.
P.Q.M.
Visto l'art. 531 C.P.P.;
DICHIARA NON DOVERSI PROCEDERE a carico dell'imputata in ordine ai reati ascrittile per intervenuta concessione in sanatoria.
Giorni 30 per il deposito.
Roma - Ostia li 10.03.2003 depositata il 26.3.2003