Controversia relativa alle sanzioni amministrative della Consob
Controversia relativa alle sanzioni amministrative della Consob - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ' - Tar Lazio Decisione n. 03934 del 09/05/2011
Controversia relativa alle sanzioni amministrative della Consob - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Tar Lazio Decisione n. 03934 del 09/05/2011
FATTO e DIRITTO
1. La Consob, con la impugnata delibera del 5 agosto 2010, ha applicato nei confronti di Crédit Agricole Cheuvreux Italia SIM S.p.a. una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad € 170.000,00.
Di talché, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:
Sull’inesistenza della notifica del provvedimento sanzionatorio a società estinta.
La notificazione del provvedimento sanzionatorio sarebbe viziata da inesistenza in quanto indirizzata a soggetto giuridico, la SIM, estinto a seguito della fusione del 29 dicembre 2009.
Sull’inesistenza della sanzione conseguente a notifica a soggetto giuridico inesistente. Violazione e falsa applicazione art. 7, co. 3, l. 689/1981.
La sanzione sarebbe stata applicata nei confronti di Crédit Agricole Italia SIM S.p.a., per cui sarebbe viziata da inesistenza in quanto irrogata nei confronti di soggetto già estinto al tempo dell’adozione della delibera.
Inesistenza o nullità della sanzione per erronea o falsa applicazione dell’art. 25, co. 3, TUF. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Travisamento dei fatti. Ingiustizia manifesta.
Il fondamento della presunta violazione da parte della SIM del dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza sarebbe stato erroneamente individuato nell’art. 25, co. 3, anziché nell’art. 21, co. 1, del TUF.
Le ricorrenti, nell’escludere che il ricorso e la loro costituzione possano intendersi come avente effetto sanante rispetto ai rilevati vizi di nullità ed inesistenza, hanno altresì dedotto censure afferenti al contenuto del provvedimento sanzionatorio impugnato.
In particolare, la Consob ha rilevato che la SIM avrebbe dovuto operare una presunzione, in forza di un asserito criterio di ragionevolezza, sulla cui base individuare che le vendite oggetto di contestazione non erano accompagnate dall’effettiva disponibilità/proprietà dei titoli, ma tale affermazione non sarebbe suffragata da alcun elemento di fatto probante, atteso che non risulta esserci alcuna disposizione di normativa primaria o secondaria che individui nella vendita di azioni rappresentanti più del 2% del capitale sociale di una società un elemento presuntivo del fatto che la relativa vendita è effettuata allo scoperto.
Inoltre, le vendite effettuate sui relativi titoli nei giorni dell’aumento di capitale SEAT PG non sarebbero potute essere valutate dalla Sim come vendite allo scoperto in quanto erano le stesse controparti a ritenere che gli ordini introitati fossero assistiti dalla proprietà/disponibilità dei titoli; né l’ammontare degli ordini trasmessi alla SIM avrebbe potuto costituire un indizio sufficiente a concludere che gli stessi non fossero supportati, al momento della trasmissione, dalla proprietà/disponibilità delle relative azioni.
Tra l’altro, le ricorrenti hanno fatto presente che la SIM, subito dopo l’introduzione delle nuove disposizioni sul divieto di vendita allo scoperto, si sarebbe immediatamente attivata presso i propri clienti, inviando loro una comunicazione di posta elettronica finalizzata a raccogliere le conferme circa la conoscenza e debita applicazione della normativa de qua e, comunque, avrebbe posto in essere misure operative costituenti importanti elementi di verifica e di controllo nel rispetto della disciplina applicabile alla SIM.
Le ricorrenti hanno infine sostenuto che la Consob, anziché fornire la prova della realizzazione delle vendite allo scoperto, si sarebbe limitata ad indicare che non sussistono “elementi idonei a ricollegare il tardivo regolamento a cause di natura tecnica”, per cui “è da ritenersi” che tali operazioni abbiano violato la normativa.
La Consob ha eccepito l’illegittimità costituzionale delle norme del d.lgs. 104/2010, recante l’approvazione del codice del processo amministrativo, ed in particolare degli artt. 133, co. 1, lett. l), 134, co. 1, lett. c), 135, co. 1, lett. c), 4, co. 1, nn. 19 e 35 dell’allegato 4, che hanno attribuito al giudice amministrativo la potestas iudicandi sulla presente fattispecie.
Nel merito, con ampia ed articolata memoria, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.
All’udienza pubblica del 6 aprile 2011, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2. Il Collegio – sia pure rilevando che la Corte d’Appello di Torino, Sezione I Civile, con ordinanza pronunciata all’udienza del 25 marzo 2011, ha proposto la questione di legittimità costituzionale in relazione eventualmente all’art. 44 l. 69/2009 nonché agli artt. 133, co. 1, lett. l), 135, co. 1, lett. c), 134, co. 1, lett. c), d.lgs. 104/2010, nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva amministrativa le controversie relative alle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob, ed ancora dell’art. 4, co. 1, n. 19 dell’allegato n. 4 d.lgs. 104/2010, nella parte in cui abroga l’art. 187 septies, co. 4, d.lgs. 58/1998, in quanto apparentemente confliggenti con gli artt. 3, 76, 103, co. 1, 113, co. 1, 111, co. 2, 7, 8 Cost. - ritiene che la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla Consob sia in parte manifestamente infondata, con riferimento all’art. 133, co. 1, lett. l), ed all’art. 4, co. 1, n. 19 dell’allegato 4 d.lgs. 104/2010, ed in parte irrilevante ai fini della decisione della controversia, con riferimento all’art. 134, co. 1, lett. c), ed all’art. 135, co. 1, lett. c).
L’amministrazione resistente, nell’evidenziare che il d.lgs. 104/2010, recante l’approvazione del codice del processo amministrativo, ha attribuito alla cognitio del giudice amministrativo le azioni impugnatorie della specie, ha prospettato la lesione:
dell’art. 76 Cost. (eccesso di delega) in quanto l’art. 44 l. 69/2009 ha delegato il Governo ad adottare norme “per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali” fissando, tra i principi ed i criteri direttivi, quello di un riordino delle “norme vigenti sulla giurisdizione”, per cui le norme delegate avrebbero dovuto afferire al processo e non alla giurisdizione e nessun ampliamento della giurisdizione amministrativa sarebbe giustificabile in base alla norma di delega anche in assenza dell’indicazione circa i contorni ed i limiti di “nuove” materie da sottrarre al giudice ordinario;
degli artt. 3, 24, 25, 102, 103 e 113 Cost. (principi dettati dalla Corte costituzionale in tema di riparto di giurisdizione) in quanto l’applicazione delle sanzioni amministrative, a differenza del potere di vigilanza, costituirebbe il frutto di un’attività vincolata, non residuando alcun margine di discrezionalità amministrativa, sicché, in assenza di posizioni qualificabili come interessi legittimi, non sarebbe giustificabile una norma che attribuisca la giurisdizione al giudice amministrativo.
2.1 L’art. 44 l. 69/2009 – recante la delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo - ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele.
I decreti legislativi, ai sensi del secondo comma, oltre che ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 20, co. 3, l. 59/1997 in quanto applicabili, avrebbero dovuto attenersi, tra gli altri, ai seguenti principi e criteri direttivi:
assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo;
disciplinare le azioni e le funzioni del giudice riordinando le norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni.
L’art. 76 della Costituzione stabilisce che l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.
Il Collegio rileva in via preliminare che il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa si esplica attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno relativo alle norme che determinano l’oggetto, i principi ed i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (ex multis: Corte Costituzionale nn. 112/2008; 170/2007; 54/2007; 280/2004; 199/2003).
Inoltre, quando la delega abbia ad oggetto il riassetto di norme preesistenti, questa finalità giustifica l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente soltanto se siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a definire in tal senso l’oggetto della delega ed a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato (cfr. Corte Costituzionale nn. 170/2007; 239/2003; 354/1998).
In altri termini, la delega avente ad oggetto il riassetto di norme preesistenti postula l’introduzione di norme nuove rispetto al precedente sistema legislativo a condizione però che siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a definire in tal senso l’oggetto della delega ed a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato.
Nel caso di specie, non sussiste dubbio che, come espressamente indicato nella rubrica del’art. 44 l. 69/2009, la delega al Governo sia stata conferita per il “riassetto” della disciplina del processo amministrativo, sicché la stessa certamente postula la possibilità che il legislatore delegato introduca soluzioni innovative rispetto al sistema legislativo previgente.
Tra i principi fissati dal legislatore delegante, come rilevato, è previsto, da un lato, quello di assicurare la concentrazione della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo, dall’altro, la disciplina delle funzioni del giudice ed in tale ottica è stato, tra gli altri, individuato il criterio di riordinare le norme vigenti sulla giurisdizione amministrativa, anche rispetto ad altre giurisdizione.
Pertanto, occorre ritenere che siano stati stabiliti principi e criteri direttivi aventi senz’altro ad oggetto anche la possibilità di innovare le materie di giurisdizione amministrativa esclusiva, attraverso l’ampliamento delle “particolari materie” in cui, ai sensi dell’art. 103 Cost., il giudice amministrativo ha giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione anche dei diritti soggettivi, atteso che, diversamente opinando, non si comprende in cosa potrebbe consistere il riordino delle norme vigenti di cui alla legge delega, nonché idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato in quanto la facoltà per il legislatore delegato di prevedere nuove materie in giurisdizione esclusiva richiede che tale previsione debba essere funzionale al perseguimento di uno o più principi stabiliti dal legislatore delegante.
Nel caso di specie, non può rinvenirsi alcun eccesso di delega e, quindi, alcun contrasto con l’art. 76 Cost. in quanto il legislatore delegato, con l’art. 133, co. 1, lett. l), del codice del processo amministrativo, nell’estendere la giurisdizione amministrativa esclusiva alle controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati anche dalla Consob - per la quale Autorità, nel regime previgente, ai sensi degli artt. 195 e 187 septies d.lgs. 58/1998, erano devolute alla giurisdizione ordinaria – ha evidentemente voluto radicare la giurisdizione amministrativa esclusiva in ragione della stretta connessione tra potere di vigilanza, costituente già servizio pubblico nei settori di cui all’art. 33 d.lgs. 80/1998, e potere sanzionatorio.
Di talché, la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tale materia è finalizzata proprio alla realizzazione della concentrazione della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo, che costituisce uno dei principi espressamente indicati dalla legge delega.
2.2 Parimenti, si rivela manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3, 24, 25, 102, 103 e 113 Cost. (principi dettati dalla Corte costituzionale in tema di riparto di giurisdizione).
Il diritto soggettivo è la fondamentale posizione di vantaggio attribuita ad un soggetto dall’ordinamento in ordine ad un bene della vita e consistente nell’attribuzione al medesimo di una forza concretantesi nella disponibilità di strumenti vari - quali facoltà, pretese, poteri – atti a realizzare in modo pieno e diretto l’interesse al bene, mentre l’interesse legittimo è la posizione di vantaggio attribuita ad un soggetto dall’ordinamento in ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa all’utilità.
Gli artt. 103 e 113 Cost. - nel fondare sulla natura della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio il criterio del riparto di giurisdizione nelle controversie concernenti atti della pubblica amministrazione - pongono il diritto soggettivo e l’interesse legittimo su un piano di assoluta parità, per cui l’interesse legittimo, che al pari del diritto soggettivo è una posizione sostanziale, riceve dall’ordinamento una protezione ugualmente intensa, anche se con modalità per certi aspetti differenti.
La previsione di cui all’art. 24 Cost., inoltre, come anche evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, garantisce alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implicando che il loro giudice “naturale” sia munito di adeguati poteri.
Le due posizioni soggettive, la cui sostanzialità è data dal rapporto con un bene della vita, che il titolare mira a conseguire o conservare, preso in considerazione dall’ordinamento e perciò protetto (c.d. lato interno), si differenziano nel c.d. lato esterno, ossia nel rapporto con gli altri soggetti dell’ordinamento.
In particolare, mentre il diritto soggettivo traduce il rapporto con altri soggetti, ivi compresa eventualmente l’amministrazione pubblica, posti su un piano di parità giuridica e, quindi, disciplinato da norme privatistiche, l’interesse legittimo, in quanto in esso il bene della vita cui si aspira è oggetto di potere amministrativo, si caratterizza per essere la posizione in cui versa il destinatario di un atto, o il soggetto che comunque riveste una posizione differenziata e di qualificato interesse rispetto ad un atto autoritativo emanato da una pubblica amministrazione nell’esercizio del potere pubblico o, anche prima dell’adozione dell’atto, il soggetto che entra in un rapporto giuridicamente qualificato con l’esercizio della funzione amministrativa.
L’interesse legittimo, insomma, è una situazione ontologicamente collegata all’esercizio autoritativo ed unilaterale del potere amministrativo, sicché, in presenza di un’attività amministrativa, l’individuazione della natura della posizione giuridica contrapposta postula la verifica della presenza o meno di un potere pubblico nell’esercizio del quale l’amministrazione agisce o dovrebbe agire, dovendosi concludere per la posizione di interesse legittimo quando la matrice dell’agere amministrativo è l’esercizio della relativa funzione con moduli autoritativi, e cioè l’attività procedimentalizzata finalizzata alla tutela di un interesse della collettività, per la posizione di diritto soggettivo quando l’amministrazione, ancorché per la realizzazione di fini pubblici, non agisce in via autoritativa ma con atti paritetici, di diritto privato, alla stregua di un qualunque altro soggetto dell’ordinamento.
La giurisdizione generale di legittimità, nell’ambito della quale vengono in rilievo posizioni di interesse legittimo, è pertanto contrassegnata dalla circostanza che le controversie attengono a fattispecie in cui pubblica amministrazione agisce in via autoritativa, nell’esercizio del potere pubblico ad esso attribuito dalla norma e per la realizzazione del fine collettivo in vista del quale il potere le è stato attribuito, e, nei confronti della relativa attività provvedimentale, è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo.
L’art. 7, co. 1, del codice del processo amministrativo, nel prevedere la possibile devoluzione al giudice amministrativo di materie in giurisdizione esclusiva, specifica che la devoluzione ope legis alla giurisdizione amministrativa delle controversie nelle quali si faccia riferimento di diritti soggettivi può riguardare particolari materie concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere posti in essere da pubbliche amministrazioni.
Tale disposizione recepisce le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, in particolare con le sentenze 6 luglio 2004 n. 204, 11 maggio 2006 n. 191, 27 aprile 2007, n. 140 e, più di recente, con sentenza 5 febbraio 2010, n. 35, sulla questione dei limiti che il legislatore ordinario deve rispettare nel disciplinare, ampliandola, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La Corte Costituzionale ha tra l’altro evidenziato come debba escludersi che dalla Costituzione non si desumano i confini entro i quali il legislatore ordinario, esercitando il potere discrezionale suo proprio, deve contenere i suoi interventi volti a ridistribuire le funzioni giurisdizionali tra i due ordini di giudici.
In particolare, ha rilevato che il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare "particolari materie" nelle quali "la tutela nei confronti della pubblica amministrazione" investe "anche" diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie.
Tale necessario collegamento delle "materie" assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive - e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa - è espresso dall'art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo.
Il legislatore ordinario, pertanto, ben può ampliare l'area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità, per cui, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice "della" pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.), dall'altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo.
In definitiva, il supremo giudice delle leggi ha escluso che la giurisdizione esclusiva possa radicarsi sul dato, puramente oggettivo, della mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio o del normale coinvolgimento nelle controversie di un generico pubblico interesse, mentre può estendersi solo a controversie nelle quali la pubblica amministrazione esercita – sia pure mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici - un pubblico potere.
Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, sussistono tutti i presupposti affinché la materia delle controversie relative ai provvedimenti sanzionatori applicati dalla Consob potesse essere devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Infatti, si tratta di una “particolare” materia caratterizzata dall’esercizio di pubblici poteri.
Il Collegio, anzi, ritiene che, a differenza di quanto prospettato dall’amministrazione resistente, la posizione giuridica dedotta in giudizio dalla ricorrente abbia natura di interesse legittimo e non di diritto soggettivo e che, quindi, la controversia rientrerebbe comunque nella giurisdizione amministrativa generale di legittimità, dovendosi nutrire invece dubbi sulla compatibilità costituzionale della precedente norma attributiva della giurisdizione in materia al giudice ordinario.
In proposito, occorre in primo luogo considerare che, sino all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, le controversie relative ai provvedimenti sanzionatori irrogati dalle Autorità amministrative indipendenti erano attribuite alla giurisdizione amministrativa nella loro totalità, ad eccezione di quelle concernenti la Consob e la Banca d’Italia, devolute alla giurisdizione amministrativa con l’entrata in vigore del d.lgs. 104/2010.
Inoltre, il procedimento in esito al quale l’Autorità procedente infligge la sanzione amministrativa pecuniaria è caratterizzato dalla c.d. discrezionalità tecnica, vale a dire che postula l’accertamento di un fatto complesso, id est il compimento dell’illecito, sulla base di parametri tecnici non certi ma opinabili, per cui costituisce senz’altro esercizio autoritativo di un pubblico potere, a fronte del quale come detto sussiste la posizione di interesse legittimo, perché la sanzione è irrogata all’esito dell’accertamento dell’illecito amministrativo e, quindi, dell’esercizio del potere di vigilanza (nella fattispecie in esame, la Consob ha accertato la violazione del combinato disposto delle disposizioni di cui agli artt. 25, co. 3, e 190, co. 2, lett. d-ter d.lgs. 58/1998, delle quali la delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 in materia di vendite allo scoperto di azioni sostanzia strumento di attuazione).
Peraltro, la sanzione non è quantificata “a monte”, ma deve essere determinata “a valle”, tanto che l’art. 190, co. 2, lett. d-ter, d.lgs. 58/1998, prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.500,00 ad € 250.000,00, sicché, nello stabilire la sua misura, l’Autorità compie una ponderazione di interessi pubblici e privati, finalizzata alla scelta della sanzione quantitativamente più proporzionata, che costituisce esercizio di discrezionalità amministrativa.
Infatti, ai sensi dell’art. 11 l. 689/1981, nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell'applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche, vale a dire che l’Autorità amministrativa procedente deve effettuare una valutazione ed una ponderazione non solo degli interessi pubblici, evidentemente afferenti alla gravità della violazione ed all’opera svolta dall’agente per eliminare o attenuare le conseguenze della violazione, ma anche agli interessi privati, connessi soprattutto alle condizioni economiche del trasgressore.
In definitiva, il Collegio ritiene che, in ragione della natura soggettivamente ed oggettivamente amministrativa degli atti sanzionatori e, quindi, del loro carattere provvedimentale, sia da escludere in radice un problema di compatibilità costituzionale della norma.
D’altra parte, con riferimento al potere di vigilanza, al quale, come evidenziato, il potere sanzionatorio è intrinsecamente connesso, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con ordinanza 29 luglio 2005, n. 15916, hanno già avuto modo di chiarire che la vigilanza sul mercato mobiliare si esplica mediante l’esercizio di una serie di poteri nei confronti dei soggetti abilitati, diretti ad assicurare che i loro comportamenti siano trasparenti e corretti e che la loro gestione sia sana e prudente, ed hanno evidenziato che la posizione di tali soggetti, rispetto all’Autorità di vigilanza, si puntualizza in situazioni soggettive correlate all’esercizio dei poteri di vigilanza che si configurano, in linea di massima, come interessi legittimi.
Di qui, la conseguente giurisdizione del giudice amministrativo quale giudice “naturale” del legittimo esercizio della funzione pubblica.
2.3 Sulla base di tutto quanto esposto, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, co. 1, lett. l), del c.p.a. e dell’art. 4, co. 1, n. 19 dell’allegato 4 al d.lgs. 104/2010 (che ha abrogato gli artt. 187 septies, commi da 4 a 8, e 195, commi da 4 a 8, d.lgs. 58/1998) si rivela manifestamente infondata.
2.4 Il Collegio rileva inoltre che, in relazione all’art. 134, lett. c), del c.p.a., che ha attribuito al giudice amministrativo giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie applicate dalle Autorità amministrative indipendenti, la questione di legittimità costituzionale è irrilevante ai fini della decisione della controversia in quanto non sono state avanzate censure afferenti alla quantificazione della sanzione.
2.5 Analogamente irrilevante è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 135, co. 1, lett. c), del c.p.a. che ha devoluto alla competenza inderogabile del TAR Lazio, Sede di Roma, le controversie di cui all’art. 133, co. 1, lett. l), atteso che, avendo la Consob sede a Roma, la controversia rientrerebbe comunque nella competenza di questo Tribunale ai sensi dell’art. 13 dello stesso codice.
3. Nel merito, il ricorso è infondato e va di conseguenza respinto.
3.1 Con una prima serie di censure di carattere procedimentale, le ricorrenti hanno dedotto:
l’inesistenza della notifica del provvedimento sanzionatorio in quanto effettuato a società estinta a seguito della fusione del 29 dicembre 2009;
l’inesistenza della sanzione applicata nei confronti di Crédit Agricole Italia SIM S.p.a. in quanto irrogata nei confronti di soggetto già estinto al tempo dell’adozione della delibera.
Le doglianze sono infondate.
La società che risulta dalla fusione o quella incorporante, ai sensi dell’art. 2504 bis c.c., assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione.
Di talché, la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l'estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell'ipotesi di fusione paritaria, ma attua l'unificazione mediante l'integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (cfr. Cass. Civ., I, 19 ottobre 2006 , n. 22489).
Ad ogni buon conto, il principio dell’intrasmissibilità agli eredi delle obbligazioni pecuniarie da illecito amministrativo di cui all’art. 7 l. 689/1981 riguarda la responsabilità delle persone fisiche, mentre, nel caso di responsabilità patrimoniale imputabile alle persone giuridiche, si applica la normativa di cui agli artt. 2740 e ss. del codice civile.
Ne consegue che sia la notificazione del provvedimento sanzionatorio alla SIM sia l’irrogazione della sanzione nei confronti della stessa non costituiscono ipotesi di nullità o inesistenza degli atti, atteso che, nella disciplina dettata dalle norme del codice civile in materia di società di capitali successivamente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la fusione per incorporazione, come detto, si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo
D’altra parte, gli atti hanno senz’altro raggiunto il loro scopo, atteso che il soggetto risultante dalla fusione per incorporazione, vale a dire la ricorrente Crédit Agricole Cheuvreux S.A. ha espletato una congrua attività difensiva già nel corso del procedimento amministrativo, tanto che, come risulta dagli atti depositati in giudizio dalle stesse ricorrenti, in data 26 aprile 2010 la società Crédit Agricole Cheuvreux SA, Succursale di Milano (già Crédit Agricole Chevreux Italia SIM S.p.a.) ha formulato istanza di proroga per la presentazione di deduzioni difensive, ha poi prodotto, in data 3 giugno 2010, le proprie deduzioni difensive ed è stata presente all’audizione del 17 giugno 2010.
Insomma, anche da un punto di vista sostanziale, non è stato arrecato alcun vulnus al diritto di difesa del soggetto passivo della potestà sanzionatoria.
3.2 Né può assumere rilievo un’eventuale erronea indicazione della norma di legge violata, l’art. 25, co. 3, anziché l’art. 21, co. 1, del TUF, risolvendosi tale circostanza in un elemento formale inidoneo, in assenza di profili di carattere sostanziale ovvero di circostanze da cui sia possibile desumere una lesione al diritto di difesa dell’interessato, ad incidere sulla legittimità dell’atto.
Infatti, l’art. 25, co. 3, d.lgs. 58/1998 prevede che i soggetti ammessi alle negoziazioni nei mercati regolamentati si comportano con diligenza, correttezza e trasparenza al fine di assicurare l’integrità dei mercati.
Analogamente, l’art. 21, co. 1, lett. a), TUF prevede che, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati e, ai sensi dell’art. 190 d.lgs. 58/1998, i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione e i dipendenti di società o enti abilitati, i quali non osservano, tra l’altro, le disposizioni previste dall’art. 21 ovvero le disposizioni generali o particolari emanate dalla CONSOB in base al medesimo articolo, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro duemilacinquecento a euro duecentocinquantamila.
Di talché, il riferimento all’una o all’altra norma non determina alcuna variazione sostanziale e non si riverbera sulla legittimità dell’impugnata delibera sanzionatoria.
3.3 Parimenti infondate sono le doglianze relative al contenuto del provvedimento sanzionatorio.
In sintesi, può affermarsi che l’essenza della violazione accertata si concreta nella considerazione che le circostanze del caso concreto (volume dei titoli ceduti per conto dei clienti, acquisto dei diritti di opzione, tempistica delle disposizioni impartite) sarebbero state sintomatiche dell’elevata probabilità che si trattasse di “vendite allo scoperto”, il che avrebbe dovuto indurre ad un diverso e ben più elevato grado di diligenza da parte della SIM rispetto a quello riscontrato sulla base delle risultanze agli atti del procedimento e tale valutazione compiuta dall’Autorità procedente non si rivela illogica o basata su un travisamento dei fatti.
In particolare, la delibera impugnata, di applicazione di sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di Crédit Agricole Cheuvreux Italia Sim spa ai sensi degli artt. 190 e 195 d.lgs. n. 58/1998, ha fatto riferimento alla delibera Consob n. 16813 del 26 febbraio 2009.
Tale delibera, recante misure relative alle vendite allo scoperto di titoli volte ad assicurare l'ordinato svolgimento delle negoziazioni e l'integrità dei mercati, ha tra l’altro disposto che la vendita di azioni di società oggetto di aumenti di capitale deve essere assistita sia dalla disponibilità che dalla proprietà dei titoli da parte dell'ordinante al momento dell'ordine e fino alla data di regolamento dell’operazione, stabilendo che gli aderenti ai mercati regolamentati italiani adottano tutte le misure e le cautele necessarie al più rigoroso rispetto delle prescrizioni che precedono anche quando trattano ordini provenienti da altri intermediari.
Essa è stata adottata:
visto l’art. 74, co. 1 e 3, d.lgs. 58/1998, che assegna alla Consob il compito di vigilare sui mercati regolamentati al fine di assicurare la trasparenza, l'ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori adottando, in caso di necessità e urgenza e per le finalità indicate, i provvedimenti necessari;
visto l’art. 21, co. 1, lett. a), d.lgs. 58/1998, che richiede ai soggetti abilitati, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessorie, di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati;
viste le delibere n. 16622, n. 16645, n. 16652, n. 16670, n. 16765 e n. 16781 rispettivamente del 22 settembre 2008, del 1° ottobre 2008, del 10 ottobre 2008, del 29 ottobre 2008, del 30 dicembre 2008 e del 29 gennaio 2009, con le quali la Consob, per garantire la trasparenza, l'ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori, ha adottato misure restrittive in materia di vendite allo scoperto di azioni;
considerato il persistere dell'elevata volatilità dei mercati;
ritenuto comunque necessario, per evitare che manovre speculative possano avere per effetto una riduzione anomala dei prezzi delle azioni, mantenere un regime restrittivo in materia di vendite allo scoperto.
Pertanto, la delibera in questione - per garantire la trasparenza, l'ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori e per evitare manovre speculative che potessero avere quale effetto la riduzione anomala dei prezzi delle azioni - ha disposto il divieto di vendita di azioni di società, oggetto di aumento di capitale, non assistita dalla disponibilità e dalla proprietà dei titoli da parte dell'ordinante al momento dell'ordine e fino alla data di regolamento dell'operazione ed ha imposto agli aderenti ai mercati regolamentati italiani di adottare tutte le misure e le cautele necessarie al più rigoroso rispetto del suddetto divieto, anche in caso di ordini provenienti da altri intermediari.
La responsabilità di Crédit Agricole Cheuvreux Italia Sim S.p.A., in relazione a quanto oggetto di contestazione, è stata accertata, come già fatto presente, in quanto le circostanze del caso concreto (il volume dei titoli SEAT-PAGINE GIALLE S.p.A. ceduti per conto dei clienti, l'acquisto dei diritti di opzione, la tempistica delle disposizioni impartite) erano sintomatiche dell'elevata probabilità, se non della possibile certezza, che si trattasse di "vendite allo scoperto" richieste dagli ordinanti, il che avrebbe dovuto indurre Crédit Agricole Cheuvreux Italia Sim S.p.A. ad un diverso e ben più elevato grado di diligenza rispetto a quello riscontrato sulla base delle risultanze in atti, sostanziantesi nel richiedere la conferma della titolarità e disponibilità dei titoli da parte degli ordinanti, confortata da ulteriori garanzie (es. certificazione della banca depositaria), in assenza delle quali avrebbe dovuto rifiutarsi di dare esecuzione agli ordini di vendita.
La Consob ha inoltre ritenuto che la condotta violativa accertata deve ritenersi particolarmente grave ed ascrivibile a Crédit Agricole Cheuvreux Italia SIM S.p.A. quantomeno a titolo di colpa in quanto:
a) la puntuale, tempestiva e sistematica osservanza del divieto di vendita allo scoperto di cui alla delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 rappresentava all'epoca dei fatti oggetto del procedimento - stante la situazione di particolare turbolenza dei mercati finanziari - importante strumento di salvaguardia dell'integrità dei mercati stessi e di tutela degli interessi degli investitori;
b) l'accertata operatività illecita è stata posta in essere da Crédit Agricole Cheuvreux Italia SIM S.p.A., in qualità di operatore ammesso alle negoziazioni sul MTA, nelle giornate del 14 e 15 aprile 2009, per conto di tre clienti professionali per un totale di 7.906.432 azioni pari a circa il 19% del capitale ordinario dell'emittente, la cui esecuzione ha consentito a questi ultimi di conseguire un profitto stimabile in circa € 565.000,00 complessivi;
c) Crédit Agricole Cheuvreux Italia SIM S. p. A. è già stata sottoposta, anche di recente, a provvedimenti sanzionatori Consob in relazione ad analoghe condotte violative.
Pertanto, sulla base di quanto indicato nonché dei fatti, delle valutazioni e delle motivazioni contenuti nell'atto di accertamento, l’Autorità procedente ha deliberato di applicare nei confronti di Crédit Agricole Cheuvreux Italia Sim S.p.A., con sede in Milano, una sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 170.000,00.
Nell’atto di accertamento, nell’ambito delle considerazioni conclusive dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, è poi analiticamente indicato che Crédite Agricole Chevreaux Italia (in seguito anche CACI) avrebbe dovuto garantire il rispetto delle prescrizioni vincolanti contenute nella delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 che, date le eccezionali condizioni di mercato, specificavano i generali doveri di diligenza, correttezza e trasparenza previsti dall’art. 25, co. 3, d.lgs. 58/1998, imponendo agli intermediari un grado di diligenza più elevato di quello normalmente richiesto e tale obbligo di diligenza non può intendersi, nel caso di specie, adeguatamente assolto per avere CACI riposto affidamento nella conformità dell’operato dei propri clienti alla disciplina di settore, in quanto anch’essi intermediari professionali; le valutazioni dell’Ufficio hanno infatti evidenziato che tale obbligo di diligenza, per dirsi correttamente adempiuto, avrebbe dovuto sostanziarsi, stante l’eccezionale congiuntura di mercato, nella puntuale verifica della proprietà e dalla disponibilità dei titoli in capo al cliente, dal momento del conferimento dell’ordine e fino al regolamento dell’operazione, nelle forme necessarie in base alle circostanze del caso concreto e, in ultima istanza, nell’astenersi dal dare esecuzione agli ordini rispetto ai quali la verifica fosse risultata impossibile ovvero avesse dato esito negativo.
L’Autorità ha dato atto che CACI ha predisposto una procedura relativa al divieto di vendite allo scoperto articolata in tre diverse fasi: 1) prima della ricezione/accettazione dell’ordine del cliente; 2) tra la data di esecuzione /negoziazione (c.d. trade date) e la data di regolamento (c.d. value date); 3) dopo la value date in caso di fail.
Tuttavia, ha evidenziato che la Società non ha comprovato lo svolgimento di una puntuale attività di controllo ex ante sull’operatività dei clienti come descritta nel manuale della procedura né ha documentato l’esistenza di specifiche conferme espressamente conferite dagli ordinanti prima dell’immissione degli ordini di vendita, volte a garantire l’effettiva proprietà e disponibilità dei titoli
Invero, premesso che l’affidamento nel corretto operato dei propri clienti non poteva ritenersi di per sé misura sufficiente nell’ottica del più intenso sforzo di diligenza richiesto dalla delibera n. 18613 del 26 febbraio 2009, l’Ufficio Sanzioni Amministrative ha ritenuto che la natura professionale dei clienti, l’attività di mero broker svolta da CACI (che implica l’impossibilità di avere visibilità dei conti dei clienti finali), la modalità di interconnessione attraverso cui gli ordini di vendita sono stati disposti non potevano ragionevolmente indurre a confidare nel fatto che le proposte di negoziazione ricevute da un altro intermediario presupponessero la proprietà/disponibilità dei titoli oggetto di vendita al momento dell’inoltro dell’ordine e fino alla consegna dei titoli; nemmeno poteva costituire fonte di affidamento la dichiarazione della Banca depositaria circa la messa a disposizione delle azioni SEAT-PG rivenienti dall’operazione di aumento a partire dal 17 aprile 2009 considerato che l’emittente, con un comunicato del 7 aprile 2009, aveva ufficialmente comunicato che le azioni rivenienti dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale sarebbero state disponibili a decorrere dal 20 aprile 2009 posto che, a fronte dell’accreditamento delle azioni sui conti della banca depositaria alla data del “versamento della liquidità necessaria”, le stesse azioni erano da ritenersi “bloccate” fino all’avvenuta verifica da parte dell’emittente dell’effettivo accredito delle somme relative alla sottoscrizione dell’aumento di capitale.
Inoltre, le circostanze del caso concreto – quali il volume dei titoli SEAT-PG ceduti per conto dei clienti, le operazioni di acquisto dei diritti di opzione da parte di Icap Securities Limited, la tempistica delle disposizioni impartite, l’anomalia dell’operazione disposta da Crédit Foncier de Monaco – erano sintomatiche dell’elevata probabilità, se non della possibile certezza, che si trattasse di “vendite allo scoperto”, il che avrebbe dovuto indurre CACI ad un diverso e ben più elevato grado di diligenza, sostanziantesi nel richiedere la conferma della titolarità e disponibilità dei titoli da parte degli ordinanti, confortata da ulteriori garanzie (es. certificazione della banca depositaria), senza le quali avrebbe dovuto rifiutarsi di dare esecuzione agli ordini di vendita.
Il Collegio - considerato che la ratio del divieto di vendite allo scoperto era quella di evitare, nell’eccezionale congiuntura di mercato nel cui contesto si sono svolti i fatti oggetto del procedimento, speculazioni al ribasso e che la puntuale e tempestiva osservanza del divieto di vendita allo scoperto di cui alla delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 rappresentava all’epoca dei fatti oggetto del procedimento, stante la situazione di particolare turbolenza dei mercati finanziari, un importante strumento di salvaguardia dell’integrità dei mercati e di tutela degli interessi degli investitori - ritiene che la Consob abbia correttamente accertato la violazione delle norme del TUF (art. 25, co. 3, o, secondo la prospettazione delle ricorrenti, art. 21, co. 1), secondo cui gli operatori ammessi alle negoziazioni nei mercati regolamentati, si comportano con diligenza, correttezza e trasparenza al fine di assicurare l'integrità dei mercati, ovvero secondo cui, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati.
Infatti, il contesto socio-economico in cui sono venute in essere le circostanze di fatto, che ha indotto l’Autorità ad emanare la delibera n. 16813/2009, imponeva agli operatori una più accentuata diligenza al fine di evitare le cc.dd. vendite allo scoperto.
In particolare, a fronte di imponenti ordini di vendita e del ragionevole sospetto della loro carenza di copertura, un soggetto professionalmente avveduto, quale una SIM, avrebbe dovuto in modo più stringente accertare la effettiva sussistenza della copertura prima di procedere all’esecuzione degli ordini, sicché la violazione ha avuto ad oggetto il concreto mancato espletamento di tali funzioni di controllo ex ante.
In altri termini, le circostanze del caso di specie, puntualmente individuate dalla Consob nel volume dei titoli SEAT-Pagine Gialle S.p.a. ceduti per conto dei clienti, nell’acquisto dei diritti di opzione e nella tempistica delle disposizioni impartite, avrebbero dovuto indurre la ricorrente ad effettuare riscontri ben più pregnanti sulla effettiva proprietà e disponibilità dei titoli da parte degli ordinanti rispetto all’invio di comunicazioni sulla normativa applicabile ed alla mera richiesta di conferma al cliente dell’osservanza del divieto di vendita allo scoperto e della disponibilità/proprietà delle azioni oggetto dell’ordine.
Di tale insufficienza, è dato esaurientemente conto nell’atto di accertamento, in cui se, da un lato, è evidenziato che nell’ambito dei controlli ex ante, l’addetto al Front Office, quando riceve un ordine relativo ad uno strumento finanziario oggetto di aumento di capitale, deve anche assicurarsi che il cliente abbia l’effettiva disponibilità/proprietà dei titoli oggetto dell’ordine nonché, in caso di dubbio, contattare la Compliance che deve rivolgersi eventualmente al responsabile della compliance dell’ordinante al fine di verificarne la conoscenza della normativa in questione e ricevere conferma circa la stretta osservanza della stessa, dall’altro, è posto in rilievo che, a fronte dell’adozione di una siffatta procedura, CACI non ha tuttavia comprovato lo svolgimento, nel caso di specie, di una puntuale attività di controllo ex ante sull’operatività dei clienti come descritta nel manuale di procedura né ha documentato l’esistenza di specifiche conferme espressamente conferite dagli ordinanti prima dell’immissione dei titoli di vendita, volte a garantire l’effettiva proprietà e disponibilità dei titoli.
In definitiva - in ragione della particolare turbolenza dei mercati finanziari che aveva indotto la Consob a stabilire, con delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009, che la vendita di azioni di società, oggetto di aumenti di capitale, deve essere assistita sia dalla disponibilità che dalla proprietà dei titoli da parte dell’ordinante al momento dell’ordine e fino alla data di regolamento dell’operazione, imponendo agli aderenti ai mercati regolamentati italiani di adottare tutte le misure e le cautele necessarie nonché delle peculiari circostanze del caso concreto che, globalmente considerate, avrebbero dovuto indurre Crédit Agricole Cheuvreux ad un’attività di verifica ex ante sicuramente più ampia e puntuale di quella posta in essere – non si presenta illogico l’iter argomentativo sulla cui base la Consob ha accertato la violazione del combinato disposto degli artt. 25, co. 3, e 190, co. 2, lett. d-ter d.lgs. 58/1998, delle quali la delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 in materia di vendita allo scoperto delle azioni costituisce strumento di attuazione, ed ha applicato la relativa sanzione amministrativa pecuniaria.
4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 3.000,00 (tremila/00), sono poste a carico della ricorrente ed a favore dell’amministrazione resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 3.000/00 (tremila/00), in favore dell’amministrazione resistente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
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