Domanda giudiziale - Interesse ad agire
Domanda giudiziale - Interesse ad agire - Azione di accertamento dello scioglimento di una società di fatto
Civile - Domanda giudiziale - Interesse ad agire - Azione di accertamento dello scioglimento di una società di fatto - Imprescrittibilità - Diritto alla quota di liquidazione - Prescrittibilità - Decorrenza - Onere della prova. -Azione di accertamento dello scioglimento di una società di fatto - Imprescrittibilità - Diritto alla quota di liquidazione - Prescrittibilità - Decorrenza - Onere della prova. La domanda di accertamento dell'avvenuto scioglimento di una società di fatto è imprescrittibile, quale azione meramente dichiarativa, mentre si prescrive, con decorrenza dalla cessazione della fase di liquidazione, il diritto di credito alla quota di liquidazione, dato che da tale momento esso può essere fatto valere, ai sensi dell'art. 2935 cod. civ., spettando a chi eccepisce la prescrizione l'onere della prova in ordine all'individuazione temporale del "dies a quo". Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 4366 del 19/03/2012
Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 4366 del 19/03/2012
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n.2134/2000 il Tribunale di Salerno decideva su due cause riunite, proposte entrambe da Antonio Co.. nei confronti del fratello Alfieri e precisamente: 1) la causa promossa con citazione in data 17.10.1983, con il quale l'attore, che assumeva di essere anche socio di fatto del fratello, aveva chiesto l'accertamento della comproprietà di un terreno, oltre che del fabbricato e della falegnameria, ivi realizzati e gestiti da entrambi, nonché l'accertamento dell'autenticità della scrittura privata in data 1 marzo 1971, avente ad oggetto la divisione del suindicato compendio immobiliare: domande, queste, cui in via riconvenzionale, Alfieri Co.. aveva opposto la richiesta di rilascio degli immobili illegittimamente detenuti dal fratello, proponendo querela di falso con riguardo alla scrittura privata del 1 marzo 1971 e ad altra scrittura in copia; 2) la causa, promossa con citazione notificata in data 9.02.1988 con cui Co.. Antonio aveva chiesto il riconoscimento prò quota del contributo ottenuto dal fratello Alfieri per la riattazione del suddetto fabbricato dopo il terremoto del 1980 e la condanna dello stesso Co.. Alfieri, in caso di trascuratezza o ritardo nell'esecuzione dei lavori, al risarcimento dei danni in suo favore.
Il Tribunale, con la citata sentenza, rigettava le querele di falso proposte da Alfieri Co.. e ne dichiarava l'autenticità;
dichiarava, inoltre, che Antonio Co.. aveva diritto allo scioglimento della società di fatto esistente fra lui e il fratello Alfieri, avente ad oggetto l'immobile, i mobili e l'attività e aveva diritto alla liquidazione della relativa quota nella misura del 50%; provvedeva con separata ordinanza al prosieguo del giudizio allo scopo di quantificare la quota societaria, spettante all'attore;
rigettava la domanda riconvenzionale di Co.. Alfieri, nonché quella proposta da Antonio Co.. con atto del 9.02.1988; condannava Alfieri Co.. al pagamento di tre quarti delle spese processuali e, per l'intero, delle spese di c.t.u. in favore di Antonio Co.. con attribuzione in favore del procuratore antistatario, avv. Giuseppe Sparano.
La sentenza non definitiva di accertamento era appellata, in via principale, con atto inviato il 25.01.2001, relativamente alla statuizione sulle spese, dall'avv. Giuseppe Sparano e, in via incidentale, seppure con atto separato notificato in data 08.03.2001 anche da Alfieri Co..; Co.. Antonio, invece, interveniva volontariamente all'udienza del 15.01.2002 nella causa di appello proposta dall'avv. Sparano, dichiarando di "Fare propria" l'impugnazione del proprio legale per avere soddisfatto la relativa nota-spese nella misura risultante da fattura quietanzata; alla stessa udienza erano riuniti gli appelli avverso la medesima sentenza; infine, la Corte di appello di Salerno, con sentenza in data 21 settembre 2009, così provvedeva: dichiarava inammissibile l'appello, proposto dall'avv. Sparano, in proprio quale antistatario, nulla disponendo per le spese; rigettava l'appello proposto da Alfieri Co.. e lo condannava al pagamento delle spese del grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Co.. Antonio, svolgendo tre motivi.
Ha resistito Alfieri Co.., depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a tre motivi, Antonio Co.. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale, deducendone, tra l'altro, l'inammissibilità per intervenuta acquiescenza, oltre che per la mancata integrazione del contributo unificato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il ricorso principale è stata richiesta la riunione del presente giudizio ad altro iscritto al N.R.G. 12032/2009, in ragione della ®evidente connessione¯ che sarebbe sussistente tra le controversie riguardanti le stesse parti. Senonché l'istanza pregiudiziale - a prescindere dall'assoluta genericità delle ragioni su cui si fonda - risulta inaccoglibile per l'assorbente considerazione che il giudizio, cui si fa riferimento, risulta già definito con sentenza n. 26989/2011, peraltro richiamata dalla stessa parte ricorrente all'udienza di discussione.
2. Ciò premesso e precisato che è logicamente prioritario l'esame dei motivi di ricorso incidentale, che involgono l'an della pretesa di liquidazione della quota societaria, va preliminarmente sgombrato il campo dalle questioni di carattere pregiudiziale sollevate dal ricorrente principale in punto di ammissibilità dell'impugnazione incidentale.
2.1. Innanzitutto si rammenta che l'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c., può ritenersi sussistente in forma tacita, soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè qualora gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione (Cass. civ., Sez. 3^, 09/08/2007, n. 17480). Nella specie la circostanza dell'intervenuta acquiescenza di Co.. Alfieri "alle decisioni intervenute inter partes" risulta dedotta in termini meramente assertivi, limitandosi in buona sostanza il ricorrente ad assumere che siffatto comportamento andrebbe desunto dalla "attivazione anche di procedimenti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni". Orbene il generico riferimento ad un più ampio contenzioso tra le parti non consente di verificare, se e in quali termini sia emersa una volontà della parte univocamente diretta a non contrastare gli effetti della decisione qui impugnata. Peraltro - se la dedotta acquiescenza dovesse intendersi riferita alla condotta della controparte nell'intrapresa esecuzione per rilascio dell'immobile (come lascerebbero supporre le frammentarie copie di atti, per la verità anche poco leggibili, "inserite" nel corpo del controricorso avverso il ricorso principale) - l'eccezione di inammissibilità dovrebbe confrontarsi con il rilievo, da parte dei giudici di appello, dell'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza definitiva e con l'ulteriore affermazione, non censurata e non più censurabile, del permanente interesse di Co.. Alfieri all'impugnazione della sentenza non definitiva sull'an debeatur. 2.2. Quanto all'asserita necessità di integrazione del contributo unificato versato al momento dell'iscrizione a ruolo dal ricorrente principale, è sufficiente osservare che l'eventuale violazione di carattere fiscale non è sanzionata sul piano processuale dall'inammissibilità del ricorso incidentale.
3. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2946 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.
3.1. Il motivo si incentra sul punto della decisione, che ha confermato il rigetto dell'eccezione di prescrizione formulata dall'odierno ricorrente incidentale, in considerazione sia dell'imprescrittibilità dell'azione di accertamento, sia della genericità della censura. In particolare la Corte territoriale ha rilevato che il Tribunale aveva qualificato l'azione esercitata da Antonio Co.. come azione di accertamento concernente lo scioglimento di una società di fatto e l'attribuzione delle quote, precisando che Alfieri Co.. non aveva contestato tale impostazione; quindi ha evidenziato che non si poteva addivenire all'attribuzione delle attività, senza aver prima liquidato le passività (dal momento che, oltre a dividersi le poste attive, i germani Co.. si erano divisi anche i debiti della società sino al febbraio 1971); donde l'esigenza, non assolta, di indicazione del momento conclusivo della liquidazione, costituente il dies a quo della prescrizione.
3.1.1. Il ricorrente incidentale - premesso che il Tribunale aveva qualificato la scrittura del 1 marzo 1971 come un preliminare improprio che non prevedeva l'obbligo di una stipulazione futura - sostiene che il dies a quo per l'esercizio dei diritti di credito derivanti dalla risoluzione del rapporto societario andava individuato nella data della stessa scrittura, con la conseguenza che il termine decennale risultava già decorso al momento dell'atto introduttivo del giudizio.
3.2. Il motivo, al limite dell'inammissibilità, va rigettato. Invero - precisato che i giudici di appello hanno espressamente confermato l'impostazione del primo giudice, sul punto dell'individuazione nella scrittura inter partes di un accordo in ordine allo scioglimento della società e alla conseguente apertura della fase di liquidazione occorre osservare che il ricorrente, pur formalmente denunciando violazione delle norme sulla prescrizione, sollecita, nella sostanza, una diversa analisi dei contenuti della decisione di primo grado, rispetto a quella svolta dai giudici di appello, postulando, quindi, in via mediata, un'inammissibile rilettura dei contenuti della suddetta scrittura inter partes, così come concordemente interpretata dai giudici del merito. Si rammenta che il sindacato avente ad oggetto la correttezza dell'interpretazione relativa alla impugnata sentenza, in quanto di esclusiva competenza del Giudice investito del gravame, può essere sollecitato in sede di legittimità solo con una espressa richiesta in tal senso, la quale investa, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l'attività interpretativa del Giudice del merito in ordine alla sentenza di primo grado (Cass. n. 1392 del 2010). Anche 1'interpretazione di un atto contrattuale, qual è quello contenuto nella scrittura di cui trattasi, si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, ed è pertanto censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso in cui la motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l'iter logico seguito dal giudice per attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche (ex plurimis, Cass. n. 26683 del 2006): vizi, che, nella specie, non sono neppure enunciati, risultando, piuttosto, la censura proposta in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.
3.3. Ciò precisato, la decisione impugnata si rivela conforme a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'azione meramente dichiarativa è da considerarsi dotata del requisito dell'imprescrittibilità, mentre prescrittibile è il diritto, quando la sua esistenza venga invocata non in sè per sè, ma strumentalmente al concreto conseguimento del particolare bene della vita che costituisce il contenuto del diritto medesimo, con la conseguenza che solo la prescrizione dell'azione diretta alla sua concreta attuazione può precludere l'azione di mero accertamento, per difetto di interesse, in quanto, una volta estinto il diritto, con derivante impossibilità di realizzazione pratica del suo contenuto, viene meno, di norma, ogni utilità all'accertamento della sua mera esistenza, così difettando il presupposto dell'invocazione dell'intervento del giudice (ex plurimis, Cass. civ., Sez. lavoro, 17/05/2006, n. 11536).
Nella specie, dunque, l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione del diritto alla quota, con conseguente inammissibilità (per carenza di interesse) dell'azione di accertamento dell'accordo, avente ad oggetto lo scioglimento della società e la conseguente apertura della fase di liquidazione, postulava la dimostrazione della cessazione della fase di liquidazione e, segnatamente, della intervenuta liquidazione delle passività, solo in esito alla quale il diritto di credito in ordine al residuo attivo avrebbe potuto essere fatto valere, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione ex art. 2935 c.c.. E poiché spetta a chi eccepisce la prescrizione l'onere della prova in ordine alla individuazione temporale del dies a quo (Cass. civ., Sez. 2^, 06/02/2008, n. 2797), correttamente sono state addebitate all'odierno ricorrente incidentale le conseguenze, prima ancora dell'incertezza della prova, della genericità delle allegazioni sul punto.
4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 184 e 189 c.p.c., nella loro vecchia formulazione in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. 4.1. Il motivo riguarda il punto della decisione che ha rigettato l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'odierno ricorrente con riguardo alla domanda di attribuzione dell'equivalente monetario dell'immobile costituente il patrimonio sociale, formulata da Co.. Antonio in sede di precisazione delle conclusioni nel primo grado del giudizio, in via subordinata rispetto alla domanda principale di accertamento della comproprietà del compendio immobiliare in contestazione enunciata nella citazione introduttiva. La Corte di appello ha ritenuto che non si trattasse di una domanda nuova, ma di una riduzione della domanda originaria, e quindi una mera emendatio libelli, consentita nelle cause di "vecchio rito" sino alla precisazione delle conclusioni e ha osservato, nel contempo, che, in ogni caso, vi era stata accettazione del contraddittorio su detta domanda, essendosi la controparte limitata ad impugnarla estensivamente.
4.1.1. Il ricorrente incidentale deduce, al contrario, che si trattava di una mutatio libelli, essendo radicalmente mutato l'oggetto della pretesa; d'altra parte non vi sarebbe stata neppure accettazione del contraddittorio, dal momento che egli, in sede di precisazione delle conclusioni, si sarebbe limitato a impugnare genericamente le avverse domande.
4.2. Anche il presente motivo non merita accoglimento, ancorché non sia condivisibile la prima delle due rationes decidendo indicate dalla Corte di appello.
Invero la domanda formulata in via subordinata in sede di precisazione delle conclusioni, siccome fondata su un diritto eterodeterminato (per la individuazione del quale è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi) non è riconducibile ad una mera riduzione degli elementi obiettivi (petitum e causa petendi) di identificazione della domanda di accertamento della comproprietà (diritto autodeterminato, individuato in base alla sola indicazione del suo contenuto), formulata nell'atto introduttivo del giudizio, postulando, piuttosto, l'attribuzione di un bene diverso da quello originariamente richiesto e soprattutto introducendo nel processo gli elementi costitutivi di una fattispecie diversa. A tal riguardo è irrilevante la circostanza emergente dalla sentenza impugnata che già nell'atto introduttivo del giudizio fosse accennato all'esistenza di un rapporto di soci di fatto tra i fratelli Co.., dal momento che, come risulta chiaramente dalla stessa sentenza, solo in sede di precisazione delle conclusioni tale rapporto è stato richiamato a sostegno di una nuova pretesa di liquidazione della quota societaria.
Ciò precisato, la decisione impugnata si fonda, comunque, autonomamente, sulla seconda delle due rationes esposte dalla Corte di appello. Invero con riguardo a procedimento pendente, come quello all'esame, alla data del 30 aprile 1995 - per il quale trovano applicazione le disposizioni degli artt. 183, 184 e 345 c.p.c., nel testo vigente anteriormente alla "novella" di cui alla L. n. 353 del 1990 - il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del giudizio di primo grado risulta posto a tutela della parte destinataria della domanda; pertanto la violazione di tale divieto, ancorché sia rilevabile anche d'ufficio, non essendo riservata alle parti l'eccezione di novità della domanda, non è sanzionabile in presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte medesima, consistente nell'accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implichi 1'accettazione. Merita, altresì, puntualizzare che la valutazione del grado di significatività e concludenza del comportamento della parte destinataria della mutatio libelli costituisce quaestio facti, rimessa all'apprezzamento del giudice del merito, i cui criteri, così come adottati da quest'ultimo, sono incensurabili in sede di legittimità se non sotto le specie del difetto di motivazione su un punto decisivo, a norma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, là dove, cioè, si lamenti che detti criteri risultino affetti da errori logici o giuridici ovvero appaiano caratterizzati da un'indagine per nulla seria e completa (Cass. civ., Sez. 1^, 23/04/2003, n. 6474). Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto manifesta l'accettazione del contraddittorio in considerazione della richiesta di rigetto estensivamente riferibile anche alla domanda subordinata. A fronte di tale affermazione il ricorrente incidentale non ha svolto nessuna critica del genere indicato, ma si è limitato a contestazioni di mero stile, senza neppure riferire se, almeno nella comparsa conclusionale in primo grado, avesse contestato l'ammissibilità della domanda subordinata, circoscrivendo la portata della richiesta di rigetto delle istanze altrui formulata in sede di precisazione delle conclusioni.
Anche il presente motivo di ricorso va, dunque, rigettato. 5. Con il terzo motivo di ricorso incidentale si deduce violazione e falsa applicazione dell'art.92 in relazione all'art. 360 c.p.c.. 5.1. Il motivo si incentra sul punto della decisione che ha confermato la parziale compensazione delle spese processuali (in ragione di un quarto) con condanna al pagamento dei residui tre quarti a carico di Alfieri Co... A tal riguardo la Corte di appello ha rilevato che Tribunale aveva provveduto alla regolazione delle spese con riferimento ai procedimenti già definiti, vale a dire tenendo conto, da un lato, della vittoria di Co.. Antonio nei procedimenti incidentali di falso e, dall'altro, della soccombenza del medesimo nel giudizio riunito concernente il contributo per il terremoto.
5.1.1. Il ricorrente incidentale deduce che il Tribunale aveva dato una diversa motivazione in ordine alla parziale compensazione delle spese, attribuendola alla soccombenza "principale" di Co.. Alfieri e sostiene che la Corte di appello non poteva alterare il contenuto della sentenza di primo grado; lamenta, in ogni caso, la violazione dell'art. 91 c.p.c., per essere Co.. Antonio totalmente soccombente nel giudizio definito con la sentenza di rigetto della domanda di pagamento del contributo prò quota; rileva, altresì, che - anche a volere considerare il giudizio nel suo complesso - occorreva tener presente che la domanda subordinata, che era stata accolta, era stata formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni, per cui mancavano i ragionevoli motivi per la compensazione.
5.2. Anche il presente motivo non merita accoglimento. Premesso che la Corte di appello non ha rettificato, ma solo precisato il criterio di principale soccombenza enunciato dal Tribunale, si osserva che il motivo è privo di specificità, laddove fa riferimento alla soccombenza sulla domanda di pagamento della quota di contributo per i danni da terremoto e all'accoglimento della sola domanda subordinata sulla liquidazione della quota, ignorando sia il riferimento contenuto nella sentenza impugnata ai due giudizi incidentali di falso, rispetto ai quali Co.. Alfieri risultava soccombente, sia la valutazione di maggiore peso che - rispetto all'esito complessivo dei (soli) procedimenti definiti - è stato attribuito a questi ultimi.
Ciò posto e rammentato che nelle cause riunite il giudizio è unico e pertanto è legittima la liquidazione globale delle spese di lite (Cass. civ., Sez. 2^, 24/05/1997, n. 4638), questa Corte non ravvisa alcuna violazione dell'art. 91 c.p.c., posto che legittimamente si è tenuto conto dell'esito complessivo della controversia (per la parte definita) e si è proceduto ad una valutazione di stretto merito, qual è quella comparativa della maggiore o minore soccombenza di una delle parti.
È appena il caso di aggiungere che rientra nei poteri del giudice di merito la valutazione dell'opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca che di sussistenza di altri giusti motivi, salva la censurabilità della relativa motivazione (ma non è questo il caso all'esame) nel caso in cui a giustificazione della disposta compensazione siano addotte ragioni illogiche o erronee (Cass. civ., Sez. 1^, 20/09/2000, n. 12431).
In definitiva il ricorso incidentale va rigettato.
6. Può, dunque, procedersi all'esame del ricorso principale, sostanzialmente incentrato - sovente con argomentazioni al limite della chiarezza - sulla liquidazione delle spese di primo grado e, correlativamente, sulla pronuncia di inammissibilità dell'"intervento" ex art. 111 c.p.c., spiegato da Co.. Antonio in appello per ottenere la riforma del relativo capo della domanda, già impugnato dal proprio difensore.
6.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al comb. disp. di cui all'art. 105 c.p.c., comma 1, e art. 111 c.p.c., in tema di intervento volontario e successione nel rapporto controverso in procedimenti riuniti.
6.1.1. Il motivo riguarda il punto della decisione che ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello dell'avv. Sparano, per la considerazione che il procuratore antistatario non può assumere la qualità di parte (salvo che sorga controversia sulla distrazione), correlativamente affermando che "l'inammissibilità si riversa anche sulla domanda, proposta da Co.. Antonio, interveniente volontario nel giudizio originato dal gravame del difensore". 3.2. Parte ricorrente si duole che la Corte di appello abbia omesso totalmente di provvedere in ordine al proprio intervento volontario;
deduce che, una volta "corretto l'errore, con l'abbandono e la formale rinunzia del professionista nel gravame", non avrebbe potuto essere dichiarata d'ufficio l'inammissibilità dell'appello, ne' tantomeno la pretesa inammissibilità dell'appello del procuratore antistatario avrebbe potuto travolgere l'"appello autonomo formulato con l'intervento volontario del ricorrente Co.. Antonio, avente causa e successore nella res litigiosa" anche perché la Corte di appello non aveva sollecitato il contraddittorio sulle dette questioni; richiama, inoltre, i principi di economia processuale, che avrebbero giustificato il proprio atto di intervento, peraltro depositato prima del decorso del termine annuale di impugnazione; nel contempo deduce la natura consortile dell'atto di intervento, in quanto alla ®causa originaria (abbandonata e superata) si aggiungeva quella introdotta dall'interventore, che succedeva nella quaestio iuris controversa". Sulla base di tali premesse il ricorrente sollecita l'esame di questa Corte sulla notula-spese del primo grado. 3.2. Il motivo è manifestamente infondato.
Invero - ribadito il principio enunciato dalla Corte di appello (peraltro qui neppure in discussione) secondo cui il procuratore è legittimato ad impugnare i provvedimenti sulle spese giudiziali ove la controversia riguardi la distrazione delle medesime, mentre resta preclusa la sua impugnazione ove si contesti la mancata condanna della controparte al pagamento delle spese (o, come nella specie, la parziale compensazione di dette spese e, più in generale, la relativa liquidazione), configurandosi, in tal caso, la legittimazione esclusiva della parte (ex multis Cass. civ., Sez. lavoro, 28/07/2008, n. 20531) - si osserva che, nel caso di specie, Antonio Co.. non ha impugnato in proprio la statuizione sulle spese, ma ha dichiarato di intervenire volontariamente ex art. 111 c.p.c., e, quindi, quale preteso avente causa del procuratore antistatario, per averne soddisfatto le competenze: ergo, il difetto di legittimazione del procuratore antistatario non poteva non comportare l'inammissibilità dell'intervento del suo preteso avente causa. Ed è questo il chiaro significato della pur succinta decisione della Corte di appello sul punto.
Merita puntualizzare - con riguardo alla pretesa violazione del contraddittorio - che le stesse deduzioni del ricorrente confermano che la questione della carenza di legittimazione ad impugnare del procuratore faceva parte del dibattito processuale (tant'è che l'intervento avvenne proprio nell'intento di correggere "il tiro" dopo l'errore del professionista), con la conseguenza che anche la questione dell'ammissibilità dell'intervento del preteso "avente causa" dell'originario appellante risultava compresa nel tema del decidere. D'altra parte, in punto di decisioni "della terza via", e connesse violazioni del contraddittorio, è stato affermato che l'omessa indicazione alle parti, ad opera del giudice, di una questione di fatto, ovvero mista di fatto e diritto, rilevata d'ufficio, sulla quale si fondi la decisione, comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa solo quando la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta eccezione fosse stato tempestivamente attivato. Ma viceversa, qualora la questione di diritto sia di natura esclusivamente processuale (come quando attenga al corretto mezzo di impugnazione a disposizione della parte, punto che il giudice superiore deve preliminarmente e d'ufficio esaminare, a prescindere dall'iter processuale seguito anteriormente), tale nullità non è neppure astrattamente configurabile, perché anche la prospettazione preventiva del tema alle parti non avrebbe potuto involgere profili difensivi non trattati (Cass., sez. 6 - 3, ordinanza, 30 aprile 2011, n. 9591, rv. 617852).
È appena il caso di aggiungere che l'inquadramento dell'"intervento" di cui trattasi nell'ambito dell'intervento litisconsortile, piuttosto che in quello adesivo, non conduce ad esito migliore con riguardo alla sua inammissibilità, giacché - a tacere d'altro e, in specie, tralasciando il pur elementare rilievo che, nella specie, non si trattava affatto di un " terzo", ma di una parte del processo - è assorbente il rilievo che in grado di appello è consentito solo l'intervento del terzo che può proporre opposizione ex art. 404 c.p.c..
Infine il tentativo "postumo" di convertire lo spiegato "intervento" in un'impugnazione autonoma, in tesi sempre possibile entro l'anno dal deposito della sentenza, si scontra - prima ancora che con la testuale qualificazione dell'attività processuale svolta da Co.. Antonio come "avente causa" del professionista - con il rilievo che, una volta proposto appello da Co.. Alfieri con atto notificato in data 8.03.2001, l'esercizio del diritto di impugnazione dell'altra parte avrebbe dovuto avvenire nei modi e nei termini decadenziali di cui all'art. 343 c.p.c..
Il motivo di ricorso va, dunque, rigettato.
Restano ovviamente assorbite le ulteriori questioni, sulla liquidazione delle spese in primo grado, qui riproposte. 7. Con il secondo motivo di ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 91 e 345 c.p.c., (art. 360 c.p.c.) per mancata applicazione del principio di soccombenza totale di Co.. Alfieri nei due procedimenti riuniti e per omessi provvedimenti consequenziali alla diversa interpretazione di primo grado. Il ricorrente muove dal presupposto che la Corte di appello abbia ampliato la portata della condanna contenuta in primo grado, riconoscendogli l'equivalente monetario anche del terreno su cui sorgeva il fabbricato e la falegnameria; si duole pertanto che la stessa Corte non abbia, poi, tratto le dovute conseguenze, in ordine alla totale soccombenza del fratello e alla necessità di rinnovo dell'istruttoria in ordine alla (ri)quantificazione della quota. 7.1. Il motivo non merita accoglimento, risultando le censure proposte inammissibili sotto molteplici profili.
A prescindere dalla singolare interpretazione della sentenza di appello, il motivo si infrange - quanto all'asserita violazione dei criteri di regolazione delle spese - sul rilievo della inammissibilità dell'intervento svolto in appello da Co.. Antonio e - quanto alla pretesa inosservanza dell'art. 345 c.p.c., - vuoi sul rilievo dell'estraneità della determinazione quantitativa della domanda al giudizio di appello avverso la sentenza non definitiva, vuoi (ancor più) sulla considerazione dell'acquiescenza prestata dall'odierno ricorrente alle statuizioni sull'an debeatur, appellate dal solo fratello Alfieri.
8. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione dell'art. 111, art.6 par. 1 CEDU, nonché artt. 88 e 96.
8.1. Anche questo motivo si incentra sulla regolazione delle spese di primo grado, contestando la parziale compensazione. Per esso valgono dunque i rilievi già svolti in ordine alla correttezza della decisione impugnata in punto di ritenuta inammissibilità dell'"intervento" di Antonio Co.., con conseguente preclusione all'esame delle relative questioni.
In definitiva anche il ricorso principale va rigettato. P.Q.M.
La Corte, decidendo sul ricorso principale e incidentale, li rigetta entrambi; compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2012
Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it |