Cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario - decorso il termine triennale
Cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario - decorso il termine triennale - ricostituzione dell'affectio coniugalis - ripresa della convivenza
Cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario - decorso il termine triennale - ricostituzione dell'affectio coniugalis - ripresa della convivenza (Corte di cassazione, Sezione I civile Sentenza 23 novembre 2004, n. 22346)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 11 marzo 1998 il sig. Micangelo Cxxxxxxxx chiese al Tribunale di Cosenza di dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto con la sig.ra Albarosa Cwwwwww nel dicembre 1989. Premesso che dall'unione erano nati figli e che il patrimonio dei coniugi era di pari rilevanza, a sostegno della domanda espose di essere legalmente separato dalla moglie, giusta omologazione del Tribunale di Cosenza in data 3 aprile 1991, e che era decorso il termine triennale dalla data di comparizione davanti al Presidente del Tribunale per il giudizio di separazione, avvenuta in data 14 marzo 1991.
Costituitasi in giudizio, la Cwwwwww si oppose alla pretesa, denunciando la ricostituzione dell'affectio coniugalis, e, in particolare, l'intervenuta ripresa della convivenza sin dal 1993, epoca in cui aveva compiuto, insieme col marito, un viaggio a Lugo di Romagna.
Espletata l'istruttoria probatoria, il Tribunale con sentenza 13 luglio 2001 accolse la domanda e pronunziò la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi.
La Corte d'appello, adita in sede di impugnazione dalla Cwwwwww, confermò la decisione di primo grado. Riprendendo le condivise argomentazioni del Tribunale circa l'eccepito difetto del requisito di cui all'art. 3, n. 2, lett. b), della l. 898 del 1970, osservò, anzitutto, che, se è vero che il pregresso stato di separazione si qualifica quale requisito dell'azione, è da escludersi un'ipotesi di interruzione di tale stato con la concreta e durevole ricostituzione del pregresso vincolo coniugale, quando il riavvicinamento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta carattere di temporaneità ed occasionalità e non realizzi la ricostruzione dell'intero complesso dei rapporti caratterizzanti il vincolo matrimoniale nella sua integrità.
Considerò, poi, data la genericità delle dichiarazioni della teste Guarascio e la irrilevanza, ai fini della ricostruzione dell'affectio coniugalis, del contenuto delle altre deposizioni testimoniali, che la resistente non aveva provato la relativa eccezione. Rilevò, quindi, che il ricorrente aveva, invece, documentalmente dimostrato, smentendo l'assunto avversario, di essersi recato da solo in quel di Lugo di Romagna e provato, altresì, di convivere stabilmente con la madre.
Avverso questa decisione la Cwwwwww ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. L'intimato ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Pregiudizialmente occorre dichiarare la inammissibilità del controricorso. Questo risulta, infatti, notificato il 20 marzo 2004, e cioè ben oltre il termine prescritto dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso (art. 360, comma 1, c.p.c.), correttamente notificato in data 18 luglio 2002 presso la cancelleria della Corte d'appello di Catanzaro a ciascuno dei difensori del Cxxxxxxxx, quali procuratori costituiti dello stesso, ivi domiciliati. Secondo la (prevalente) giurisprudenza di questa Corte, la notificazione della sentenza alla parte presso il procuratore costituito deve, invero, considerarsi equivalente alla notificazione al procuratore stesso, ai sensi dell'art. 285 c.p.c., in quanto entrambe le forme di notificazione soddisfano l'esistenza di assicurare che la sentenza sia portata a conoscenza della parte tramite il suo rappresentante processuale, professionalmente qualificato a vagliare l'opportunità della impugnazione (Cass. 21 agosto 1997, 7818; Cass. 23 gennaio 1998, n. 666; Cass. 21 novembre 2001, n. 14642; Cass. 14 maggio 2003, 7480, ex plurimis).
2. Col primo motivo del ricorso la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 3 l. 898/1970, sostiene che l'eccezione sollevata dalla Cwwwwww in ordine alla mancanza del requisito della ininterrotta separazione da almeno tre anni, richiesto per la proposizione della domanda introduttiva del giudizio, avrebbe determinato in capo al Cxxxxxxxx l'onere di dimostrare la mancata ricostituzione della comunione materiale e spirituale durante l'intero triennio. Il fatto che la norma imponga un onere di eccezione non inciderebbe, infatti, sul regime probatorio che impone di considerare l'esistenza del periodo triennale come una condizione dell'azione.
La censura non ha fondamento.
La Corte d'appello, in conformità all'orientamento già espresso sul tema da questa Corte (Cass. 9 maggio 1997, n. 4056), ha correttamente qualificato il pregresso periodo triennale di separazione richiesto dall'art. 3, lett. b), cpv., della legge sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, quale requisito dell'azione muovendo dalla considerazione che, una volta provata la separazione legale dei coniugi (3 aprile 1991) e l'avvenuta comparizione degli stessi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione (14 marzo 1991), deve presumersi (iuris tantum) una situazione di continuità della separazione stessa. Ha, poi, affermato che spettava alla convenuta dimostrare, come d'altronde dispone esplicitamente il dettato normativo, l'eccepita interruzione della separazione. Ad abundantiam, ha, inoltre, aggiunto, che il Cxxxxxxxx aveva, comunque, dimostrato di convivere stabilmente con la madre e di non avere ripreso alcuna forma di coabitazione con la moglie.
Con riferimento all'eccezione formulata dalla Cwwwwww, ha, infine, rilevato che, per contro, la convenuta non aveva assolto all'onere della prova che le incombeva, in quanto le testimonianze rese in ordine all'assunta interruzione avevano contenuto generico ed erano del tutto inidonee a dimostrare l'avvenuta ricostituzione dell'affectio coniugalis, intesa come integrale ricomposizione dei rapporti caratterizzanti il vincolo matrimoniale, non essendo sufficiente una mera temporaneità ed occasionalità della ripresa della convivenza.
3. In questo contesto motivazionale, coerente con il quadro normativo disegnato dal legislatore, si rivelano inconsistenti anche le censure contenute nel secondo e nel terzo motivo, coi quali si denunciano vizi motivazionali, e si lamenta, rispettivamente, per un verso, che la sentenza impugnata si sia limitata a motivare la propria decisione in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie attraverso il mero rinvio alle valutazioni del primo giudice, senza tenere in considerazione i rilievi della appellante; per altro verso, che entrambi i giudici del merito abbiano "adottato due pesi e due misure", "ritenendo che il Cxxxxxxxx avesse provato di essersi recato da solo a Lugo di Romagna, mediante una semplice esibizione di ricevute di pagamenti e, viceversa, che non fossero rilevanti le prove documentali, peraltro asseverate dalla teste Guarisco, addotte dalla Cwwwwww".
Le censure, infatti, si risolvono nella generica contestazione della valutazione delle risultanze probatorie operata dalla sentenza impugnata (che ha ritenuto, motivatamente, sulla base degli elementi acquisiti al processo, di far proprie le argomentazioni e le conclusioni del Tribunale), valutazione di cui la ricorrente sollecita il riesame, in questa sede, con il mero rinvio per relationem ad atti delle pregresse fasi del giudizio. Ciò che comporta, alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, la inammissibilità delle censure stesse per difetto del carattere di esaustività proprio del ricorso per cassazione (cfr. Cass. 24 gennaio 2002, n. 849 e Cass. 14 novembre 2002, n. 16021, ex plurimis).
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato.
Consegue, in base al principio della soccombenza, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, in relazione (e limitatamente) all'attività difensiva svolta dal resistente all'udienza pubblica.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 2.600,00, di cui euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.