Reato di cui «all’articolo 600 ter Cp - sequestro probatorio di materiale informatico
22/09/2004 Reato di cui «all’articolo 600 ter Cp - sequestro probatorio di materiale informatico - mera detenzione di materiale pedopornografico - attivita' investigativa mediante agente provocatore
Reato di cui «all’articolo 600 ter Cp - sequestro probatorio di materiale informatico - mera detenzione di materiale pedopornografico - attività investigativa mediante agente provocatore (Cassazione - Sezione terza penale (cc) – sentenza 5 maggio-22 settembre 2004 – n. 37074)
Svolgimento del processo
Con decreto del Pm presso il tribunale di Palermo del 17 ottobre 2003 fu disposto il sequestro probatorio di materiale informatico nei confronti di Gxxxxxxxx Caterina, in relazione al reato di cui «all’articolo 600ter Cp».
Il tribunale di Palermo, quale giudice del riesame, con ordinanza del 28 novembre 2003 rigettò l’istanza di riesame osservando:
a) che il sequestro preventivo non presuppone l’accertamento dell’esistenza del reato, ma la semplice indicazione di un reato astrattamente configurabile;
b) che nella specie il Pm aveva prospettato il reato di cui all’articolo ter Cp ed aveva fatto rinvio per relationem agli accertamenti di polizia giudiziaria;
c) che peraltro la condotta della Gxxxxxxxx era sussumibile esclusivamente nel reato di cui all’articolo 600quater Cp, ossia nella mera detenzione di materiale pedopornografico;
d) che tuttavia, le operazioni di polizia giudiziaria che avevano consentito di raccogliere gli elementi indizianti mediante l’attivazione di un sito civetta dovevano ritenersi legittime ai sensi dell’articolo 14 della legge 268/98, cha autorizza la polizia a svolgere il ruolo di agente provocatore, mediante l’acquisto simulato di materiale pornografico e l’effettuazione delle relative attività di intermediazione, ivi compresa, appunto, la creazione dei cosiddetti siti civetta, volti a favorire le attività di distribuzione e commercio del materiale vietato;
e) che era vero che il legislatore aveva subordinato l’attività di provocazione all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria e la aveva limitata alle ipotesi più gravi di reato, tassativamente indicate negli articoli 600bis, comma 1; 600ter, commi 1, 2 e 3, e 600quinquies Cp, lasciando fuori le ipotesi di minore allarme sociale, quale la semplice detenzione di materiale pedopornografico di cui all’articolo 600quater Cp;
f) che tuttavia la normativa era stata recentemente modificata dalla legge 228/03 (“Misure contro la tratta delle persone”), il cui articolo 10, facendo salva la speciale attività di contrasto già precedentemente regolata dall’articolo 14 legge 268/98, ne aveva integrato la disciplina, estendendo a tutti i delitti contro la personalità individuale previsti dal libro secondo del Cp la speciale attività di copertura prevista per il contrasto del terrorismo internazionale Dl 374/01, convertito nella legge 438/01, il cui articolo 4 consente alla polizia giudiziaria di utilizzare «documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione»;
g) che pertanto il legislatore, al fine di una maggiore efficacia nella repressione dello sfruttamento della persona umana, ha introdotto una forma di attività provocatoria sostanzialmente sovrapponibile a quella di contrasto prevista dalla legge del 1998, con la conseguenza che la polizia giudiziaria ha il potere di attivare siti civetta senza quei limiti di fattispecie derivanti dalla legge del 1998.
L’indagata propone ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione dell’articolo 252 Cpc in relazione agli articoli 600ter e 600quater del Cp.
Osserva che sulla base degli atti trasmessi dal Pm sussisteva il fumus esclusivamente in relazione al reato di cui all’articolo 600quater Cp, mentre non era assolutamente rinvenibile il fumus di una delle fattispecie delittuose di cui all’articolo 600ter Cp. Ora, per tale reato, non è prevista l’attività di contrasto ai sensi dell’articolo 14 della legge 269/98, il quale limita tale attività al solo fine di acquisire elementi di prova per i delitti di cui agli articoli 600bis, comma 1, 600ter, commi 1, 2 e 3, e 600quinquies Cp e non anche per il reato di cui all’articolo 600quater Cp, concernente la mera detenzione consapevole di materiale pedopornografico. Infatti l’attività di contrasto in esame è regolata da una disciplina del tutto eccezionale e per essa non possono trovare applicazione analogica norme e principi valevoli per la diversa fattispecie delle intercettazioni telefoniche. Del resto, la stessa informativa della polizia indicava la ricorrente come responsabile del reato di cui all’articolo 600quater Cp per avere per via telematica scaricato e detenuto consapevolmente materiale pornografico. Inoltre, i beni sottoposti a vincolo non costituiscono corpo di reato né sono cose pertinenti al reato. In ogni caso, nessuna traccia del materiale sequestrato può riferirsi ad esibizioni minorili.
Motivi della decisione
Va innanzitutto rilevato che va qualificato come processualmente scorretto e gravemente lesivo dei diritti della difesa il fatto che il Pm nel decreto di sequestro si sia limitato ad indicare genericamente il reato ipotizzato in quello «di cui all’articolo 600ter Cp», senza specificare se si trattasse dal reato previsto dal comma 1, 2 o 3, ovvero di quello di cui al comma 4. Si tratta, infatti, di reati ben diversi e distinti tra loro, non solo per la diversa gravità, ma anche ai fini della utilizzabilità degli elementi di indagine ottenuti mediante la cosiddetti attività di contrasto prevista dall’articolo 14 della legge 269/1998 - utilizzabilità che è assolutamente esclusa nella ipotesi di cui all’articolo 600ter, comma 4, Cp - di modo che la mancata indicazione del comma dell’articolo 600ter Cp per il quale è stato ipotizzato il fumus del reato, comporta non solo che la contestazione sia del tutto generica, ma anche una palese violazione dei diritti di difesa dell’indagato, che non è messo in grado di valutare né l’ipotesi delittuosa ipotizzata nei suoi confronti né, soprattutto, la legittimità e l’utilizzabilità degli elementi di prova su cui si fonda il sequestro.
La questione è comunque nella specie superata perché lo stesso Tribunale del riesame ha accertato che deve escludersi qualsiasi fumus di uno dei reati di cui all’articolo 600ter Cp, essendo la condotta contestata alla Gxxxxxxxx consistita nella mera detenzione di materiale pedopornografico, e quindi essendo nel caso in esame astrattamente configurabile soltanto il reato previsto dall’articolo 600quater Cp, per il quale è prevista in via alternativa la pena della reclusione o della multa.
Ciò posto è di tutta evidenza la palese inutilizzabilità nel caso di specie, in qualsiasi fase, anche in quella delle indagini preliminari, ed a qualsiasi fine, degli elementi raccolti dalla polizia giudiziaria mediante l’attività di agente provocatore prevista in via eccezionale dall’articolo 14 della legge 269/1998.
Innanzitutto - come osserva la ricorrente e come del resto questa Suprema Corte ha già avuto modo di sottolineare - non è possibile nessuna estensione analogica della disciplina relativa alle intercettazione telefoniche alla attività di contrasto di cui al citato articolo 14, e ciò per una ragione evidente.
Con l’attività di intercettazione di comunicazioni telefoniche o telematiche la polizia giudiziaria si limita, appunto, ad intercettare le comunicazioni che avvengono tra soggetti terzi senza svolgere alcun ruolo attivo e tanto meno un ruolo di provocazione. Con l’attività di contrasto di cui all’articolo 14 legge 269/98, invece, in vista della gravità e dell’allarme sociale di alcuni ben specifici e determinati reati, la polizia giudiziaria è autorizzata, limitatamente ai reati stessi. a svolgere, in via dei tutto eccezionale rispetto alle norme ed ai principi fondamentali del nostro ordinamento processuale in tema di acquisizione delle prove, un vero e proprio ruolo di agente provocatore. Orbene è evidente che una tale attività in tanto può ritenersi consentita e non in contrasto con norme costituzionali in quanto sia appunto strettamente limitata a casi eccezionali e soggetta ad una rigida disciplina che ne stabilisca rigorosamente i limiti e le procedure (cfr. sezione terza, 8 maggio 2003, Busi).
Ne consegue, in primo luogo, che qualsiasi applicazione analogica di tale disciplina eccezionale a casi diversi da quelli tassativamente previsti dall’articolo 14 legge 269/98, deve ritenersi assolutamente vietata ai sensi dell’articolo 14 delle preleggi.
Del resto è proprio la eccezionalità di questa disciplina e la sua deroga dai principi fondamentali, anche di valore primario - deroga razionalmente giustificata dalla particolare gravità ed odiosità dei reati che con essa si intendono contrastare - che ha indotto il legislatore a dettare dei limiti ben precisi e rigorosi, al di fuori dei quali l’attività in questione deve ritenersi non solo irregolare o illegittima, ma addirittura illecita, con conseguente inutilizzabilità, rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, ai sensi dell’articolo 191 Cpp, di qualsiasi elemento di prova attraverso la medesima acquisito (cfr. sezione terza, 3 dicembre 2001, D’Amelio; sezione terza, 8 maggio 2003, Busi).
In particolare, con l’articolo in questione, il legislatore ha previsto due diverse ipotesi di attività di contrasto. La prima è quella indicata dal comma 1 del detto articolo 14, per la cui legittimità occorre la presenza dei seguenti presupposti: a) che l’attività investigativa sia svolta nell’ambito di operazioni disposte dal questore o dal responsabile di polizia di livello almeno provinciale; b) che l’attività sia svolta da ufficiali di polizia giudiziaria (e non quindi da semplici agenti); c) che i detti ufficiali di polizia giudiziaria appartengano alle strutture specializzate ivi indicate; d) che vi sia l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per poter procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico, alle relative attività di intermediazione e alla partecipazione ad iniziative turistiche; e) che la detta attività sia diretta al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti di cui agli articoli 600bis. comma 1. 600 ter. commi 1, 2 e 3 e 600quinquies Cp.
La seconda ipotesi è quella prevista dal comma 2 del detto articolo 14, e per la sua legittimità occorre la presenza dei seguenti presupposti: a) che le indagini siano svolte nell’ambito dei compiti di polizia delle telecomunicazioni, definiti con apposito Dm, dall’apposito organo del ministero dell’Interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi di telecomunicazione; b) che l’attività sia svolta su richiesta dell’autorità giudiziaria, motivata a pena di nullità; c) che l’attività sia finalizzata esclusivamente a contrastare i delitti di cui agli articoli 600bis, comma 1, 600ter, commi 1, 2 e 3 e 600quinquies Cp commessi mediante l’impiego di strumenti informatici o mezzi di comunicazione telematica ovvero utilizzando reti di telecomunicazione disponibili al pubblico; d) che, sempre esclusivamente a tal fine il personale addetto può utilizzare indicazioni di copertura, anche per attivare siti nelle reti, realizzare o gestire aree di comunicazione o scambio su reti o sistemi telematici, ovvero per partecipare ad esse.
Orbene nel caso in esame gli elementi di prova a carico dell’indagata sono stati pacificamente acquisiti esclusivamente attraverso un’attività di agente provocatore espletata ai sensi dell’articolo 14 della legge 269/98, il quale però limita la liceità dell’attività di contrasto solo al fine di contrastare i delitti di cui agli articoli 600bis, comma 1, 600ter, commi 1, 2 e 3 e 600quinquies Cp. Non è quindi consentita in alcun modo una qualsiasi utilizzabilità degli elementi di prova in tal modo raccolti al fine di perseguire i delitti di cui all’articolo 600ter, comma quattro, o 600quater Cp.
Ne consegue che poiché nel caso di specie l’unico reato ipotizzabile a carico dell’indagato è quello di cui all’articolo 600quater Cp, l’espletata attività di contrasto non poteva comunque essere utilizzata per scoprire o comunque per perseguire il delitto in questione. In altre parole l’attività di contrasto non poteva in nessun modo essere diretta a perseguire i comportamenti di quei soggetti che si limitavano esclusivamente a procurarsi o a detenere materiale pedopornografico così come non poteva essere assolutamente utilizzata per perseguire i comportamenti di quei soggetti che si limitavano, anche consapevolmente, a cedere ad altri, anche a titolo gratuito materiale pedopornografico (articolo 600 ter, comma 4 Cp), ossia si limitavano ad una singola cessione di immagini o di filmati pedopornografici, dovendo invece essere diretta esclusivamente alla scoperta dei comportamenti consistenti nella «distribuzione», o «divulgazione» o «pubblicizzazione» ad un numero indeterminato di persone del detto materiale (ovvero a scoprire e perseguire i comportamenti integranti un altro dei reati espressamente indicati dalla disposizione in esame). Poiché pertanto gli elementi di prova a carico dell’indagato per il reato di cui all’articolo 600quater Cp, sono stati acquisiti mediante un’attività che, avendo oltrepassato i limiti rigorosamente fissati dal suddetto articolo 14, è da considerarsi non solo irregolare o illegittima, ma addirittura illecita (in quanto l’attività dell’agente provocatore, di per sé illecita, non trova più giustificazione e fondamento in una norma di legge) ne consegue l’assoluta inutilizzabilità dei detti elementi di prova, ai sensi dell’articolo 191 Cpp, in ogni stato e grado del procedimento.
Né in senso contrario potrebbe valere il paragone, da taluno proposto, con l’ipotesi in cui il materiale pedopornografico venisse ritrovato a seguito di perquisizione diretta alla ricerca di armi o di sostanze stupefacenti. Nel caso in esame, infatti, non si tratta di una normale attività investigativa della polizia giudiziaria diretta all’accertamento di un qualche reato, nel corso della quale venga per caso scoperta l’esistenza di un differente reato, bensì dell’attività di un agente provocatore, di per sé illecita ma che è autorizzata e resa lecita esclusivamente negli stretti limiti e per l’accertamento dei limitati reati per i quali è consentita. Ne consegue che è del tutto ovvio e corrispondente ai principi - ed anzi una contraria interpretazione sarebbe in contrasto con fondamentali principi costituzionali e dovrebbe quindi essere comunque disattesa per evitare possibili censure di illegittimità costituzionale - che qualora attraverso tale attività di agente provocatore si vengano per caso a scoprire reati diversi da quelli alla cui scoperta tale attività era esclusivamente indirizzata, gli elementi probatori relativi a tali reati non possano comunque essere in nessun caso utilizzati.
Parimenti è infondato il richiamo, da taluno avanzato, all’articolo 240, comma 2, Cp ed all’articolo 324 Cpp. Innanzitutto, invero, tale disposizione presuppone pur sempre che il sequestro degli oggetti sia stato legittimamente eseguito, mentre nella specie si tratta di sequestro palesemente illegittimo perché operato sulla base di un’attività di agente provocatore avente i caratteri dell’illiceità e su elementi probatori totalmente inutilizzabili. In secondo luogo, a tutto voler concedere, ossia anche a voler ritenere per pura ipotesi applicabile l’articolo 324, comma 7, anche nei casi di sequestro disposto in base a prove assolutamente inutilizzabili perché acquisite per mezzo di attività illecita ed anche nei casi in cui, come nella specie - proprio per la totale inutilizzabilità degli elementi di prova - non è nemmeno astrattamente configurabile il fumus di un qualsiasi reato, il divieto di restituzione potrebbe tutt’al più riguardare le sole cose la cui detenzione costituisca reato, ossia i soli dischetti, cd rom, o altri supporti magnetici che concretamente contengano immagini o filmati pedopornografici ma non anche tutto il restante materiale illegittimamente sequestrato all’indagata.
È poi erroneo l’assunto in base al quale il Tribunale del riesame ha creduto di poter superare il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Suprema Corte sul punto, ritenendo che la disciplina della materia sarebbe stata completamente modificata dall’articolo 10 della legge 228/03, che avrebbe esteso a tutti i delitti contro la personalità individuale (e quindi anche agli articoli 600ter, comma quattro, e 600quater Cp) la speciale attività di copertura prevista per il contrasto del terrorismo internazionale dall’articolo 4 del Dl 374/01, convertito nella legge 438/01, con la conseguenza che sarebbero ormai superati i limiti e le eccezioni stabiliti dall’articolo 14 della legge 269/98.
Innanzitutto, anche ad ammettere, per pura ipotesi, che così fosse, vi sarebbe comunque una manifesta violazione del principio del tempus regit actum. Infatti, dal decreto di sequestro del Pm emerge che i fatti addebitati alla Gxxxxxxxx sono stati accertati in data 13 maggio 2003, mentre la legge richiamata dal Tribunale del riesame di Palermo a giustificazione dell’attività di agente provocatore è dell’agosto 2003. Sarebbe pertanto evidente l’indebita estensione della nuova normativa (legge 228/03) ad attività di agente provocatore e di contrasto compiute in epoca anteriore alla entrata in vigore di quella legge. L’unica norma di riferimento per l’espletamento di tali attività, quindi, era in ogni caso l’articolo 14 della legge 268/98, che limitava la detta attività ai soli delitti di cui agli articoli 600bis, comma 1, 600ter, commi 1, 2 e 3, e 600quinquies Cp.
Ma, come rilevato, l’assunto del Tribunale del riesame è comunque infondato. Il comma 4 del Dl 374/01, convertito nella legge 438/01 (contenente “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”), prevede ed autorizza le «attività sotto copertura» e dispone che «fermo quanto disposto dall’articolo 51 Cp, non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria che nel corso di specifiche operazioni di polizia disposte ai sensi del comma 5, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo anche per interposta persona acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato, o altrimenti ostacolano l’individuazione della provenienza o ne consentono l’impiego» (comma 1) e che «per le stesse indagini di cui al comma l. gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione, informandone il Pm al più presto e comunque entro le 48 ore successive all’inizio delle attività».
Successivamente la legge 228/03 (recante “Misure contro la tratta delle persone”) ha sostituito gli articoli 600 (“Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù”), 601 (“Tratta di persone”), 602 (“Acquisto e alienazione di schiavi”) Cp, ha aggravato le pene previste dall’articolo 416 Cp qualora l’associazione sia diretta a commettere uno dei suddetti delitti, ha dettato una serie di altre disposizioni sempre dirette a combattere la tratta delle persone, ed all’articolo 10 ha previsto ed autorizzato le «attività sotto copertura», stabilendo, al comma 1, che «in relazione ai procedimenti per i delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del Cp, nonché dall’articolo 3 della legge 75/1958, si applicano le disposizioni dell’articolo 4, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, del Dl 374/01, convertito, con modificazioni, dalla legge 438/01». La medesima disposizione, tuttavia, al comma 2 precisa che «È comunque fatto salvo quanto previsto dall’articolo 14 della legge 269/98».
Orbene, è di tutta evidenza che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, l’articolo 10 della legge 228/03 non ha affatto integrato o sostituito o derogato la disciplina di cui all’articolo 14 della legge 269/98 consentendo l’attività di agente provocatore e di contrasto sotto copertura anche per l’individuazione e la repressione dei reati di cui agli articoli 600ter, comma 4, e 600quater Cp, ma al contrario costituisce l’espressione di una chiara volontà del legislatore di mantenere ferma, per le attività di contrasto e di agente provocatore dirette ad acquisire elementi di prova in ordine ai delitti relativi alla prostituzione ed alla pornografia minorile o alle iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, la disciplina specifica dettata dall’articolo 14 della legge 269/98, con tutte le modalità, le condizioni, i presupposti, le finalità ed i limiti da essa previsti.
Ciò emerge chiaramente dal fatto che, se fosse altrimenti, ossia se fosse vera la tesi del Tribunale del riesame, non vi sarebbe stato alcun bisogno di inserire il comma 2 dell’articolo 10 della legge 228/03, dal momento che già solo in base al comma 1 le attività di copertura di cui all’articolo 4 del Dl 374/01, convertito, con modificazioni, dalla legge 438/01, si sarebbero potute applicare anche ai delitti di cui agli articoli da 600bis a 600septies Cp, dal momento che tali delitti sono previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del Cp. Se invece il legislatore ha inserito l’espressa disposizione di esclusione di cui al comma 2 del citato articolo 10, precisando che «è comunque fatto salvo quanto previsto dall’articolo 14 della legge 269/98», ciò altro non può significare, secondo il significato proprio delle parole, che l’intenzione del legislatore era quella di limitare l’applicazione dell’attività di copertura prevista dall’articolo 10 citato ai soli delitti di cui agli articoli 600, 601, 602 e 603 Cp lasciando in vigore, relativamente ai delitti previsti dagli articoli da 600bis a 600septies Cp, esclusivamente la speciale disciplina dettata dall’articolo 14 della legge 269/98.
Ciò del resto è confermato dalla evidente ratio della normativa. Con l’articolo 4 del Dl 374/01, convertito, con modificazioni, dalla legge 438/01, il legislatore ha inteso, in via eccezionale, prevedere attività di agente provocatore svolte sotto copertura per combattere gravissimi delitti, tassativamente indicati, quali quelli commessi con finalità di terrorismo, disponendo anche specifiche procedure, modalità e condizioni. Con l’articolo 10 della legge 228/03 il legislatore ha inteso estendere l’attività degli agenti provocatori ad altri gravissimi delitti, sempre tassativamente indicati, e sempre in via eccezionale, quali la riduzione o il mantenimento in schiavitù, la tratta di persone, l’acquisto o l’alienazione di schiavi, il plagio nonché i delitti in materia di prostituzione. Si tratta di norme eccezionali, che vanno interpretate restrittivamente, e che non possono estendersi oltre i casi espressamente indicati. È quindi chiaro che il legislatore, proprio per evitare una estensione di tali norme alla materia della prostituzione e della pornografia minorile, ed in particolare ai delitti dallo stesso legislatore configurati come meno gravi, ha inteso espressamente ribadire che per questa materia l’attività dì indagine continuava ad essere regolata dall’articolo 14 legge 269/98.
Ciò infine corrisponde alla necessità di dare alle disposizioni in esame una necessaria interpretazione adeguatrice, dal momento che sarebbe manifestamente irrazionale una interpretazione che - contro l’espressa volontà del legislatore - estendesse una attività di per sé illecita e contraria a fondamentali diritti e principi costituzionali, e permessa soltanto in via eccezionale quando espressamente prevista da una specifica disposizione di legge, ed in genere consentita esclusivamente per combattere reati gravissimi e puniti con pene assai elevate, ad altri reati che il legislatore, nel legittimo esercizio dei suo potere discrezionale in ordine alla determinazione dei fatti costituenti reato e delle pene da applicare, ha invece qualificato come meno gravi, tanto da prevedere per essi in via alternativa la pena della reclusione o quella della sola multa, come appunto i reati di cui all’articolo 600ter, quarto comma, Cp e 600quater Cp, che quindi non a caso, bensì nel quadro di una razionale e sistematica disciplina della materia, sono stati esclusi da quelli per i quali è in via eccezionale consentita la raccolta di elementi di prova per mezzo di attività di agente provocatore o di contrasto o di copertura.
Deve quindi ribadirsi il principio della assoluta inutilizzabilità, ai sensi dell’articolo 191 Cpp, in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa la fase delle indagini preliminari, degli elementi di prova a carico di indagati per i reati di cui agli articoli 600ter, comma 4, Cp e 600quater Cp, che siano stati acquisiti mediante un’attività investigativa di contrasto mediante agente provocatore, non trovando tale attività, di per sé illegittima se non illecita, giustificazione e fondamento nell’articolo 14 della legge 269/98. Né la situazione è mutata per effetto dell’entrata in vigore dell’articolo 10 della legge 228/03, il quale, facendo comunque espressamente salva, al comma 2, la disciplina dettata dall’articolo14 della legge 269/98, non ha derogato o modificato la stessa e non ha quindi consentito alcuna attività di agente provocatore o di copertura per l’individuazione e la repressione dei reati di cui ai citati 600ter, comma 4, Cp e 600quater Cp.
Poiché pertanto nel caso di specie gli unici elementi di prova su cui si basa il sequestro preventivo sono affetti da inutilizzabilità assoluta e poiché quindi non è configurabile nemmeno in astratto il fumus del reato ipotizzato, l’ordinanza impugnata, unitamente al decreto di sequestro del Pm, debbono essere annullati senza rinvio, mentre gli oggetti in sequestro vanno restituiti all’avente diritto.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro del Pm e dispone la restituzione delle cose in sequestro all’avente diritto