Attivita' organizzata di raccolta di scommesse su eventi sportivi in Italia -. Bookmakers fuorilegge
Attivita' organizzata di raccolta di scommesse su eventi sportivi in Italia -. Bookmakers fuorilegge - Dubbi sulla normativa comunitaria
Attività organizzata di raccolta di scommesse su eventi sportivi in Italia -. Bookmakers fuorilegge - Dubbi sulla normativa comunitaria (Cassazione – Sezione terza penale (cc) – ordinanza 18 novembre-18 dicembre 2003, n. 48506)
Fatto e diritto
Nel corso delle indagini preliminari a carico di Mario Gxxxxxxxx e degli altri nominati in epigrafe, tutti indagati dei reati previsti e punti dall’articolo 4, comma 1 e 4bis legge 401/89 e all’articolo 88 Tulps come modificati dalla legge 288/00, per aver ciascuno di essi esercitato, in assenza di concessione o autorizzazione, attività organizzata di raccolta di scommesse su eventi sportivi, telematicamente convogliate verso una società “bookmaker” inglese, con decreto in data 20 giugno 2003 del Gip del Tribunale di Prato venne disposto il sequestro preventivo delle rispettive aziende.
Impugnato per riesame, a mezzo del comune difensore di fiducia degli indagati, il suddetto provvedimento veniva annullato, con l’ordinanza in epigrafe del locale Tribunale, sulla base delle seguenti essenziali considerazioni:
1) le limitazioni che l’articolo 4 della legge 401/89 pone alla gestione del servizio delle suddette scommesse, segnatamente la necessità di concessione o autorizzazione rilasciata dai ministeri o da altri enti, ai quali la legge riserva le relative facoltà in materia, contrastano con il principio, dettato dall’articolo 43 (già 52) del Trattato CE, della libertà di stabilimento per le imprese degli Stati membri nel territorio della Comunità e del connesso diritto delle stesse di avvalersi di collaboratori nella sede di stabilimento;
2) la disciplina interna italiana in materia non appare giustificata da alcuna delle esigenze che, a termini del citato trattato, possono eccezionalmente giustificare, con criteri di adeguata proporzionalità (v. sentenza C/67/98, Zenatti, della Corte di Giustizia della Comunità Europea), restrizioni del genere, considerato in particolare che detta normativa:
a) «non appresta alcuna reale garanzia ai fini della tutela dell’ordine pubblico», in quanto non prevedrebbe «particolari limitazioni atte ad impedire infiltrazioni di associazioni criminali tra i concessionari ..non essendo previsti..per l’aggiudicazione delle concessioni incensuratezza né accertamenti circa la non appartenenza ad associazioni criminali».
b) Sarebbe “del tutto neutra rispetto alla sanità pubblica”;
c) perserguirebbe preminenti interessi finanziari, “unica esigenza tenuta presente dal legislatore”;
d) farebbe indebito ricorso alla tutela penale che, pur nell’ipotesi di esigenze di ordine pubblico, “anche sotto il profilo della proporzionalità”, sarebbe “non conforme al diritto comunitario”, ben potendo dette esigenze essere assicurate da “forme di tutela civilistiche o amministrative o anche da misure fiscali”..
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il Pm, denunciando “inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, citata nel capo di imputazione, e della normativa comunitaria di riferimento”, nonché “mancanza di motivazione evincibile dal testo del provvedimento”.
Il ricorrente, premesso che le attività svolte dagli indagati, peraltro implicanti l’uso di strutture più o meno organizzate e non limitata alla mera trasmissione telematica di dati, comunque avrebbero richiesto i titoli autorizzatori rilasciati dai soggetti concessionari o autorizzati dai ministeri o dagli altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, richiamando giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sezione terza, 519/97; 1999/97; 1903/99; 1680/00; 14 maggio 2002, rg 3486/02, Consiglio di Stato, ordinanza 862/96), e sostenendo che, anche alla stregua di quella comunitaria (Corte Giust. CE 67198 del 21 ottobre 1999), la tutela penale apprestata dal legislatore italiano sarebbe adeguatamente “giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi di tali attività”, senza confliggere con il principio della libertà di stabilimento, contesta tutte le menzionate argomentazioni dei giudici del riesame; censura, altresì, la mancanza di motivazione in ordine al profilo dell’assoggettabilità alla disciplina in questione anche delle attività organizzate di “modesta entità”, come nella specie sostenuto dalla difesa, dovendosi far rientrare nell’ampia definizione legislativa qualsiasi predisposizione «di mezzi o di persone che risulti idonea alla trasmissione in Italia o all’estero, di un numero indeterminato di prenotazione di giocate ..o scommesse.».
Nelle more del presente giudizio è stata pronunziata una decisione dalla Corte di Giustizia CE “6 novembre 2003, Gambelli ed altri), prodotta in copia allegata a memoria depositata il 12 c.m. dalla difesa, che, definendo un procedimento su domanda di pronuncia pregiudiziale, a norma dell’articolo 234 Trattato CE, proposta dal Tribunale di Ascoli Piceno (la cui pendenza era già stata in precedenti analoghi giudizi di legittimità segnalata dal medesimo difensore), ha stabilito il seguente testuale principio: «Una normativa nazionale contenente divieti penalmente sanzionati di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previsti, rispettivamente, agii articoli 42 CE e 49 CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi».
La difesa, nella suddetta memoria e nella discussione orale, ha sostenuto che dalla motivazione della sentenza sopra indicata sarebbe inequivocabilmente desumibile la concreta incompatibilità della normativa penale in questione con i menzionati principi di diritto comunitario, tenuto conto delle preminenti, se non esclusive, finalità fiscali dalla stessa perseguite, dell’insussistenza o, comunque, inconsistenza delle, meramente apparenti, ragioni di ordine pubblico o sociale perseguite.
Ad analoghe conclusioni è pervenuto il Pg di udienza.
Tanto premesso, risulta evidente come la recentissima citata decisione della Corte di Giustizia, innovando anche il proprio precedente indirizzo (v. C 67/98, del 21 ottobre 1999, Zenatti), che lasciava più ampi margini ai legislatori nazionali e, conseguentemente, agli interpreti, imponga una rimeditazione della giurisprudenza di questa Corte, fino ad epoca recente (v., da ultima, Cassazione, sezione terza, 30 settembre 2003 c.c., p. Gaiti) costante ed univoca nel ritenere la conformità al diritto comunitario, segnatamente ai citati principi 42 e 49 CE, delle norme penali in considerazione, in quanto perseguenti, con criteri di proporzionalità, incensurabili esigenze di politica sociale e di ordine pubblico (vale a dire di “evitare che l’esercizio e la gestione delle scommesse clandestine favorisca lo sviluppo di criminalità anche organizzata, mirante all’accaparramento di lauti guadagni e/o il riciclaggio di denaro “sporco”»).
Tali considerazioni, che, tra l’altro, corredano le ragioni del ricorso oggetto del presente giudizio, mentre sono di segno opposto a quelle addotte dai giudici del riesame, sembrerebbero conformarsi al principio ultimamente enunciato, nella parte finale del dispositivo della sentenza dalla Corte di Giustizia, quanto al rispetto (in funzione dell’ordine pubblico) dei margini di derogabilità degli articoli 42 e 49 cit; tuttavia, nello sviluppo delle motivazioni della decisione sembra intravedersi un concreto e ripetuto giudizio negativo sulla normativa italiana, che comporterebbe la necessità del ribaltamento del citato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte.
In siffatto contesto, tenuto conto anche della notevole importanza delle questioni, in ragione dei rilevanti e diffusi interessi implicati e della delicata e non agevole valutazione da formularsi in ordine alla correttezza, adeguatezza e proporzionalità della normativa nazionale in considerazione, il collegio ritiene opportuno rimettere il giudizio alle Sezioni unite.
PQM
Rimette il giudizio alle Sezioni unite di questa Corte.