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Abuso di ufficio - Mancata astensione nella ipotesi di conflitto di interessi

Abuso d'ufficio - reato di abuso d’ufficio, per non essersi astenuto dall'adottare l'atto amministrativo con cui procedeva all'assunzione temporanea della figlia, per chiamata diretta Corte di Cassazione p enale , sez. VI sentenza n. 6705 del 20.02.2012 (art. 323 c.p.)

Corte di Cassazione , sez. VI penale sentenza n. 6705 del 20.02.2012 (art. 323 c.p.)

Svolgimento del processo

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del 14 maggio 2008 con cui il Tribunale di Paola aveva condannato A.A. alla pena di quattro mesi di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 323 c.p., perché, quale responsabile del servizio affari generali e personale del Comune di Santa Maria del Cedro, ometteva di astenersi dall'adottare la determinazione n. 293 del 19.7.2004, con la quale procedeva all'assunzione temporanea, per chiamata diretta, della figlia, M. A., presso il corpo di polizia municipale, escludendo N. L.M., nonostante questa avesse già maturato un'esperienza di vigile urbano.

2. - L'avvocato V.V., nell' interesse dell'imputato, ha presentato ricorso per cassazione.

Con il primo motivo ha dedotto la violazione degli artt. 323 c.p.. e 192 c.p.p., per inadeguata valutazione delle fonti di prova con riferimento alla dimostrazione della sussistenza de:l dolo specifico intenzionale. In particolare, viene contestato che la figlia dell'imputato non possedesse i requisiti richiesti dalla determina, anzi si assume che i suoi requisiti erano superiori a quelli dell'altra candidata, L.M., che poteva vantare solo una breve esperienza di vigile urbano maturata l'anno precedente; inoltre, si rileva come la sentenza impugnata non abbia accertato l'esistenza del dolo intenzionale, nella specie mancante, in quanto la condotta dell'imputato è stata diretta ad assicurare un interesse pubblico concorrente e non secondario, costituito dall'esigenza per il Comune di assumere personale qualificato per il periodo estivo.

Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato l'erronea applicazione dell'art. 323 c.p. e il connesso vizio di motivazione, in quanto la Corte d'appello ha ritenuto sussistente il reato in mancanza del requisito della doppia ingiustizia: più precisamente, si sostiene che il reato doveva essere escluso sul rilievo che il provvedimento, seppur adottato in violazione del dovere di astensione, era stato confermato dagli organi politici.

Con il terzo motivo viene dedotto il vizio di motivazione con cui la sentenza ha ritenuto la doppia ingiustizia, rilevando che non sono stati acquisiti elementi di prova sul danno ingiusto subito dalla candidata esclusa.

Motivi della decisione

3. - Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi. All'imputato, funzionario responsabile del servizio affari generali e del personale del Comune di Santa Maria del Cedro, è stato contestato il reato di abuso d’ufficio, per non essersi astenuto dall'adottare l'atto amministrativo con cui procedeva all'assunzione temporanea della figlia, per chiamata diretta, presso il corpo di polizia urbana.

La norma che incrimina l'abuso di ufficio, nella parte relativa all'omessa astensione in presenza di un interesse proprio dell'agente o di un prossimo congiunto, ha introdotto nell'ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che si trovino in una situazione di conflitto di interessi. La ragione di tale incriminazione risiede nel fatto di impedire che il funzionario pubblico, nello svolgimento della propria funzione o servizio, violi il dovere di curare gli interessi dell'amministrazione pubblica e favorisca se stesso o i suoi prossimi congiunti ovvero arrechi danno ad altri. È comunque richiesto che dalla condotta dell'agente derivi l'ingiusto vantaggio patrimoniale o l'ingiusto danno (Sez. VI, 21 febbraio 2003, n. 11415,), cui si riferisce la norma incriminatrice e, inoltre, sul piano soggettivo, deve sussistere il dolo intenzionale.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato l'art. 323 c.p., non limitandosi a verificare la violazione del dovere di astensione in presenza di un evidente conflitto di interesse, ma ha ricercato l'ingiusto vantaggio patrimoniale, costituito, appunto, dall'aver l'imputato assunto la propria figlia per chiamata diretta, senza tenere conto della graduatoria in cui questa figurava al quarto posto.

Per quanto concerne il requisito soggettivo del reato, si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza ha verificato la sussistenza del dolo intenzionale, desumendolo in particolare dalla determinazione con cui il funzionario ha caldeggiato la graduatoria da lui stesso redatta e in cui,come si è visto, era ricompresa la figlia, poi assunta.

Irrilevante è il discorso tendente a evidenziare come la condotta dell'imputato fosse comunque diretta ad assicurare l'interesse del Comune a disporre di personale durante il periodo estivo, in quanto ciò che assume pregnanza è che l'interesse pubblico è stato strumentalizzato per favorire un prossimo congiunto.

Del tutto infondata è, inoltre, l’affermazione secondo cui nella specie difetterebbe il requisito della doppia ingiustizia, in quanto il provvedimento di assunzione sarebbe stato confermato dagli organi politici comunali. Premesso che tale circostanza non emerge dalla sentenza, si osserva che il requisito della doppia ingiustizia è stato correttamente individuato dai giudici d'appello nella violazione del dovere di astensione e nel vantaggio patrimoniale derivante alla figlia dell'imputato dall'assunzione indebita.

Infine, va precisato che il reato in questione è stato contestato ad A. A. per avere procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale alla figlia, non per avere arrecato un danno ingiusto alla concorrente esclusa, N. L.M. Ne deriva che inutilmente il ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato accertamento di quest'ultimo elemento della fattispecie, non essendo oggetto di contestazione. Il riferimento al danno della parte civile rileva, esclusivamente, ai fini dei! risarcimento civile, dovendo la concorrente esclusa considerarsi comunque danneggiata dal reato.

4. - Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00; inoltre, l'imputato deve essere condannato a rimborsare alla parte civile, N. L.M., le spese sostenute per questo giudizio, liquidate in complessivi euro 4.800,00, oltre IVA e CPA.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché a rimborsare alla parte civile, N. L.M., le spese sostenute per questo giudizio, che liquida in euro 4.800,00 oltre IVA e CPA.
 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it