L'imputato che accusa di falsatestimonianza i testi a carico - Reato di calunnia
08/10/2004 L'imputato che accusa di falsatestimonianza i testi a carico - Reato di calunnia - Aver agito nell’eserciziodel diritto di difesa
L'imputato che accusa di falsa testimonianza i testi a carico - Reato di calunnia - Aver agito nell’esercizio del diritto di difesa (Cassazione – Sezione sesta penale (up) – sentenza 24 maggio-8 ottobre 2004, n. 39528)
In fatto e diritto
Con sentenza del 15 ottobre 2001 n. 882 il Tribunale di Catanzaro dichiarava Salvatore Sofia colpevole del reato ascrittogli, e lo condannava con le attenuanti generiche alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione.
Contro tale decisione proponeva appello il difensore dell’imputato, chiedendone l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato per aver agito nell’esercizio del diritto di difesa o, comunque, per eccesso colposo nella causa di giustificazione, in subordine chiedeva la riduzione della pena.
La Corte d’appello di Catanzaro con sentenza n. 460 del 7 marzo 2003 confermava la decisione di primo grado.
Avverso la suddetta sentenza il Sofia ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
1.carenza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato contestato (art. 606 c. 1 lett. E) in relazione all’art. 553 c.p.p.);
2.violazione dell’art. 521 c.p.p. (art. 606 lett. B) c.p.p.) per la mancata correlazione tra la contestazione di cui al decreto dispositivo del giudizio e la sentenza pronunciata perché in Corte d’appello ha ritenuto di non riconoscere all’imputato la scriminante dell’jus defendendi in base a premesse in fatto non contestate all’imputato, definite come atte a colorare l’attribuita calunniosa accusa di falsa testimonianza;
3.violazione dell’art. 55 c.p. (art. 606 lett. B) c.p.p.) per il mancato riconoscimento dell’eccesso colposo in quanto preteso errore di diritto.
Il ricorrente ha dedotto in appello la questione dell’elemento psicologico sotto il profilo che la negazione della veridicità della testimonianza non sia stata espressione di una volontà calunniosa, bensì mero esercizio del diritto di difesa. E, in via gradata, ha invocato l’eccesso colposo in causa di giustificazione, sempre con riferimento all’jus defendendi.
Non è stata, invece, proposta nei motivi d’appello la diversa questione della sussistenza dell’elemento psicologico per l’aspetto della consapevolezza dell’imputato dell’innocenza dei soggetti accusati.
Su questa questione, peraltro, il Giudice di secondo grado si è comunque pronunciato, segnalando come l’imputato abbia introdotto una pluralità di elementi di fatto idonei a rafforzare la veridicità della propria in equivoca accusa, mossa espressamente ai testi di essersi accordati per dichiarare il falso nell’ambito di un progetto comune diretto a favorire il negligente Bruno Ranieri, elementi che manifestavano la propria malizia per il carattere strumentale rispetto a tale accusa; ed ha concluso costatando la mancanza di spazi per porre in dubbio la sussistenza dell’elemento psicologico in capo al Sofia.
Il primo motivo di ricorso è dunque per più aspetti inammissibile, sotto il profilo processuale per inosservanza dell’art. 606 u.c. c.p. e, nel merito, per manifesta infondatezza.
Col secondo motivo il ricorrente, dopo aver fatto presente che l’appello era stato proposto in ordine al mancato riconoscimento della scriminante dell’art. 51 c.p., lamenta che il Giudice d’appello abbia tentato di superare le lacune motivazionali della sentenza di primo grado ancorando la propria decisione a fatti diversi da quelli contestati, cioè alla negazione da parte dell’imputato di essersi recato nei locali della copisteria, di aver mai conosciuto il Cubello e il Gariano e di aver ritirato le copie dall’ufficio del G.I.P.
Ora, l’art. 55 c.p., disponendo che quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54 c.p. si eccedono, colposamente i limiti, stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo, richiama espressamente le disposizioni che disciplinano le cause di giustificazione e tale richiamo, unitamente alla specificazione che l’eccesso ricorre quando, per colpa, si eccedono i limiti stabiliti rispettivamente dalla legge o dall’Autorità o dalla necessità di difendere il proprio o l’altrui diritto o se stesso da un danno grave alla persona – che costituiscono gli elementi strutturalmente necessari, per la configurabilità della legittima difesa e dello stato di necessità – consente di affermare, che la norma citata postu8la necessariamente un collegamento tra eccesso colposo e situazioni scriminanti e, di conseguenza, l’impossibilità di ritenere quella in essa descritta come una fattispecie colposa ab origine autonoma, svincolata dalle previsioni delle singole scriminanti (Cass., Sez. I, 24 settembre 1991 n. 298, ric. Riolo).
Pertanto, la verifica della sussistenza della scriminante invocata dall’imputato, fondata su elementi della fattispecie concreta dallo stesso specificamente indicati, e, in subordine, dell’eccesso colposo, non può dar luogo a difetto di correlazione tra la decisione e l’accusa contestata, rispetto alla quale quegli elementi si pongono come circostanze esimenti o attenuanti dedotte dalla difesa.
Secondo questi principio i fatti addotti dall’imputato per dimostrare la falsità della testimonianza fatta nei suoi confronti sono strettamente connessi con quelli contestati perché indispensabili per valutare l’eccepito esercizio dell’jus defendendi e, in subordine, l’eventuale eccesso colposo.
Nella specie, peraltro, quelli indicati dall’imputato sono elementi specifici della condotta criminosa, modalità esecutive da cui la sentenza impugnata ha desunto con procedimento logico-giuridico assolutamente corretto la sua volontà – di per sé esorbitante dal diritto di difesa, […] l’accusa di falsa testimonianza non era necessaria – di accusare persone innocenti (Cass., Sez. VI, 5 dicembre 2002-9 gennaio 2003 n. 448, ric. Greco).
La decisione dell’appello è, quindi, pertinente all’accusa contestata, rispettando la prescritta correlazione con l’accusa, peraltro strettamente coordinata con i diritti della difesa, cui la fattispecie sopra delineata, posta in essere dall’imputato per la propria tutela, è inidonea ad arrecare alcun pregiudizio.
Il motivo suddetto è perciò infondato.
Quanto al terzo motivo si osserva che nel meccanismo normativo la causa di giustificazione è costituita da una circostanza di fatto che si salda con la fattispecie prevista dalla norma incriminatrice e ne elide l’antigiuridicità.
L’esercizio del diritto di difendersi in giudizio da parte dell’imputato costituisce in quanto tale una causa di giustificazione ai sensi dell’art. 51 c.p., che consente a chi ha la posizione processuale corrispondente di svolgere compiutamente ogni attività rilevante sotto il profilo difensivo in conformità e nei limiti stabiliti dalla norme che lo prevedono e ne dettano la disciplina.
Anche nel caso dell’jus defendendi è configurabile l’eccesso colposo previsto dall’art. 55 c.p., commesso dall’imputato che compia, nella convinzione, dipendente la colpa, che sia compreso nell’attività difensiva lecita, un atto che ecceda dai poteri e dalle facoltà processuali compresi in tale diritto. Con tale situazione è per definizione incompatibile l’ipotesi in cui l’eccesso sia preveduto e voluto, e quindi, dolosamente commesso.
In questo senso si deve da un canto confermare che l’imputato nell’esercizio dell’jus defendendi non ha il dovere di collaborare alle indagini e può legittimamente contestare le risultanze acquisite a suo carico, negando, anche contrariamente al vero, la veridicità di attestazioni a lui sfavorevoli, poiché l’implicita accusa di falsa testimonianza che può oggettivamente derivarne costituisce conseguenza non voluta e soltanto indiretta dell’atteggiamento difensivo (Cass., Sez. VI, 22 febbraio 1983 n. 1834, ric. Sgro; Sez. VI, 14 marzo 1995 n. 5789, ric. Lo Fiego). Tuttavia la scriminante, incentrata sulla garanzia della funzione della difesa, opera nei limiti dell’esercizio di tale funzione, contenuto in un rigoroso rapporto di connessione dell’azione di confutazione svolta dall’imputato nel contesto del processo con l’accusa a lui contestata, dal quale esorbita la formulazione da parte sua di accuse a carico dell’accusatore, per le quali l’imputato risponde, qualora ne sussistano gli estremi, del reato di calunnia (Sez. VI, 14 marzo 1995 n. 5789, ric. Lo Fiego; Sez. VI, 27 aprile 1995 n. 8042, ric. Tomola e altri; Sez. VI, 16 gennaio 1998 n. 1333, ric. Barbato P.; Sez. VI, 19 marzo 1998 n. 5574, ric. Ruggeri).
Non vi è dunque scriminante, in particolare del diritto di difesa nel processo, neanche putativa, e neppure eccesso colposo dell’esercizio di tale diritto (Cass., Sez. I, 26 ottobre 1989-18 gennaio 1990 n. 672, ric. Busnelli), bensì il reato di calunnia laddove l’imputato ecceda dolosamente dai limiti della difesa, formulando accuse consapevolmente false nei confronti di coloro che hanno reso testimonianze o hanno comunque rilasciato dichiarazioni processualmente rilevanti a loro carico, pur sapendoli innocenti.
Pertanto si rende colpevole di questo reato l’imputato che, accusato d’aver commesso il reato di soppressione di un atto pubblico, non si limita a negare la propria reità, confu8tando le accuse contestategli, ma accusa i testimoni di essersi accordati per rendere falsa testimonianza, nell’ambito di un progetto comune volto a fuorviare i giudici e provocarne la condanna (Cass., Sez. Vi, 5 novembre 2002-4 marzo 2003 n. 9929, ric. Tummarello; 19 settembre 2000 n. 9853, ric. Cotronei).
Correttamente, pertanto, nel caso di specie la Corte d’appello ha escluso che costituisse attività difensiva, perciò scriminata, l’accusa di falsa testimonianza mossa a Bruno Ranieri, Antonio Cubello e Luigi Gariano dall’imputato, negando di averli mai conosciuti, di essersi mai recato nei locali della copisteria e di aver ritirato le copie direttamente dall’ufficio del G.I.P. Altrettanto correttamente ha rigettato l’eccezione relativa a un presunto eccesso colposo nell’esercizio del diritto di difesa, affermando in fatto la mancanza di ogni elemento per affermare che il Sofia abbia incolpato falsamente le tre persone offese ritenendo di esercitare il proprio diritto di difesa.
Tale affermazione segue all’esposizione, sempre in un punto di fatto, degli elementi sopra riportati, che avevano portato il Giudice d’appello a ritenere insussistente la scriminante.
Elementi che sono stati ritenuti tali da comportare la commissione del reato di calunnia.
Ora, come già si è detto, la natura dolosa della falsa accusa formulata dall’imputato a carico di persone conosciute come innocenti, comportano la commissione del reato di calunnia, è di per sé incompatibile con la possibilità che si ritenga per colpa di esercitare un proprio diritto, per cui viene meno in tal caso la stessa configurabilità e dell’esercizio putativo e dell’eccesso colposo. Questa essendo la questione, appare del tutto irrilevante il problema, posto dal ricorrente, se l’eccesso colposo si configuri come errore di diritto di fatto. Il Sofia, che pone il problema in astratto, ammette che all’eccesso può far luogo un errore dell’una o dell’altra natura, distinguendo tra errore sul diritto ed errore nel diritto.
Anche il terzo motivo è, dunque, infondato.
PQM
La Corte
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.