Decorso della prescrizione e sospensione del procedimento
Decorso della prescrizione e sospensione del procedimento
Decorso della prescrizione e sospensione del procedimento. Sentenza n. 1021 dell'11 gennaio 2002 - Corte Suprema di Cassazione - Giurisprudenza Civile e Penale
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In seguito a decreto di citazione a giudizio del dal 25 marzo 1993, il 7 giugno 1994 M. C. comparve innanzi al Pretore di Latina, Sezione distaccata di Minturno, perché imputato del delitti di lesioni personali colpose commesso in occasione di un incidente stradale avvenuto l'8 agosto 1992, allorché aveva cagionato a C.S. una malattia guarita nei successivi quaranta giorni.
Dopo numerosi rinvii, variamente giustificati, all'udienza del 13 gennaio 1999 il pretore, dichiarata l'assenza dell'imputato, provvide alla istruzione dibattimentale e rinviò ad altra udienza per la sola discussione. Tuttavia altri rinvii furono disposti, in accoglimento di richieste del difensore dell'imputato, nel convincimento espresso dal pretore che tali rinvii determinassero la sospensione del termine di prescrizione a norma degli art. 159 c.p. e 304 c.p.p. Solo all'udienza del 2 febbraio 2000 il giudice unico del Tribunale di Latina, sezione distaccata di Gaeta, succeduto al pretore di tale sede distaccata, nella quale peraltro il giudizio si era già trasferito da Minturno, rilevò che una parte della giurisprudenza escludeva la sospensione della prescrizione nei confronti di imputati non detenuti e, disattesa un'ennesima richiesta di rinvio, si pronunciò nel merito dell'imputazione, dichiarando la colpevolezza dell'imputato sia in ordine al delitto colposo sia in ordine al connesso illecito amministrativo di violazione dell'art. 104 codice della strada.
2. Contro la sentenza pronunciata all'udienza del 2 febbraio 2000 ricorre ora per cassazione M. C., che propone sei motivi d'impugnazione. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 222 d. lgs. n.51/1998, lamentando che non sia stato emesso un nuovo decreto di citazione a giudizio dopo il trasferimento della competenza dal Pretore di Minturno al Tribunale monocratico di Gaeta.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli art. 484 e 420 quater c.p.p., lamentando che il tribunale abbia omesso di dichiararne la contumacia e, conseguentemente, di notificargli la sentenza per estratto.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che il giudice del merito non gli abbia preventivamente comunicato il cambiamento di orientamento circa la sospensione del termine di prescrizione quale conseguenza del rinvio dell'udienza per impedimento del difensore.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che all'udienza del 2 febbraio 2000 il Tribunale di Gaeta abbia, senza il consenso delle parti, disposto la lettura dei verbali delle prove escusse dinanzi al Pretore di Minturno, anziché rinnovarne l'escussione.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 157 c.p., sostenendo che il reato era già estinto per il decorso del termine quinquennale di prescrizione alla data in cui fu pronunciata la sentenza impugnata; e chiede comunque dichiararsi l'estinzione per decorso del termine massimo di prescrizione previsto dall'art. 160 comma 3 c.p..
Con il sesto motivo, infine, il ricorrente lamenta che il giudice del merito, nell'irrogargli la sanzione amministrativa prevista dal codice della strada, abbia illegittimamente esercitato un potere estraneo alla giurisdizione penale.
3. La quarta sezione penale di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, ne ha rimesso la decisione alle Sezioni unite penali, avendo rilevato un contrasto di giurisprudenza nell'interpretazione dell'art. 159 comma 1 c.p., rilevante ai fini della decisione sul quinto motivo, con il quale viene dedotta l'estinzione per prescrizione del reato contestato. E in realtà il quinto motivo del ricorso assume rilevanza preliminare, dovendo condividersi il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, «qualora già risulti una causa di estinzione del reato, la sussistenza di una nullità di ordine generale non è rilevabile nel giudizio di cassazione, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva» (Cass., sez. VI, 22 gennaio 1991, Bonzagni, m. 187431, Cass., sez. IV, 5 giugno 1984, Fumo, m. 167074, Cass., sez. IV, 10 aprile 1981, Criscuolo, m. 149230). L'estinzione del reato preclude, invero, l'acquisizione di ulteriori prove e impone di decidere allo stato degli atti; sicché in sede di rinvio il giudice del merito non potrebbe esimersi dal pronunciare immediatamente sentenza di non doversi procedere. Occorre, pertanto, accertare preliminarmente se sussista la causa estintiva dedotta dal ricorrente, perché solo se il reato contestato a M. C. non è estinto, è possibile affrontare le questioni di nullità dedotte con gli altri motivi del suo ricorso. E ai fini di questo accertamento è necessario risolvere il contrasto di giurisprudenza denunciato dalla quarta sezione penale di questa Corte.
Il contrasto giurisprudenziale riguarda la interpretazione dell'art. 159 comma 1 c.p., laddove prevede che «il corso della prescrizione rimane sospeso nei casi di autorizzazione a procedere o di questione deferita ad altro giudizio e in ogni altro caso in cui la sospensione del procedimento penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge». Si discute, più specificamente, circa il significato del riferimento alla sospensione dei termini di custodia cautelare, interpolato nel testo originario della norma dall'art. 15 della legge 8 agosto 1995, n. 332.
L'art. 304 c.p.p. prevede, infatti, che i termini di custodia cautelare siano sospesi con provvedimento del giudice in determinati casi, tra i quali assume specifica rilevanza, ai fini dell'attuale decisione, quello del differimento del dibattimento per astensione collettiva dei difensori dalle udienze. E in giurisprudenza è controverso se il richiamo dell'art. 159 comma 1 c.p. ai casi di sospensione dei termini di custodia cautelare valga a integrare sempre il novero delle ipotesi di sospensione dei termini di prescrizione ovvero solo quando una custodia cautelare sia effettivamente in corso.
4. Secondo la giurisprudenza prevalente di questa Corte, «il differimento dell'udienza dibattimentale dovuto ad astensione conseguente a deliberazione assunta dagli organi rappresentativi degli avvocati o ad altro impedimento del difensore non determina la sospensione del corso della prescrizione se non nei casi in cui, essendo stata applicata una misura cautelare personale, siano sospesi i termini di durata della custodia cautelare a norma dell'art. 304, comma primo, lett. b) c.p.p.» (Cass., sez. V, 22 ottobre 1998, Chiarinelli, m. 211963, Cass., sez. V, 9 febbraio 1999, Gramiccia, Cass., sez. IV, 26 gennaio 1999, Cassese). E questa interpretazione dell'art. 159 c.p. viene sostenuta con tre distinti argomenti:
a) la sospensione del termine di prescrizione opera solo se «esista effettivamente un provvedimento di sospensione dei termini di durata della custodia, e non già nella astratta ipotesi di ricorrenza di taluna delle cause di sospensione previste dal1'art. 304 c.p.p., anche indipendentemente dall'esistenza di un provvedimento di sospensione» (Cass., sez. VI, 6 novembre 1998, Nascivera, m. 211964);
b) «ritenere diversamente richiederebbe una interpretazione analogica dell'art. 304 che, invece, in quanto norma eccezionale, può trovare applicazione soltanto nei processi celebrati contro detenuti» (Cass., sez. III, 19 giugno 1998, Auricchio, m. 211863);
c) «il menzionato primo comma dell' art . 159 c. p. è norma che fa eccezione alla regola generale riguardante il decorso della prescrizione e, come tale, non è suscettibile di applicazione analogica in danno dell'imputato, tale risultando, nella sostanza, quella che vede l'art. 159, primo comma, ultima parte, c.p. fare riferimento non al complesso procedimento di cui all'art. 304, primo comma, c.p.p., che prevede un'ordinanza appellabile al tribunale del riesame, ma soltanto alla parte dell'art. 304, primo comma, c. p. p. , che indica il presupposto per la sospensione» (Cass., sez. V, 21 settembre 1999, Becattini, m. 214889).
5. Un diverso orientamento giurisprudenziale è stato invece espresso in altre pronunce di questa Corte, secondo le quali «nell'ipotesi di sospensione del procedimento per cause ascrivibili a impedimento dell'imputato o del suo difensore, anche se si tratta di fattispecie con imputato non detenuto, è applicabile la novellata disposizione di cui al1'art. 159 c.p., in relazione all'art. 304 c.p.p., e deve conseguentemente sospendersi il corso della prescrizione» (Cass., sez. VI, 2 luglio 1998, Pozzi, Cass., sez. VI, 9 novembre 1998, Mancuso, Cass., sez. fer., 17 agosto 2001, Fantini). Si sostiene infatti che il nuovo testo dell'art. 159 comma 1 c. p. non rinvii all'intera disciplina della sospensione dei termini di custodia cautelare, ma ne richiami solo i presupposti, per ancorarvi anche l'effetto sospensivo della prescrizione. E si ritiene che un tale orientamento interpretativo abbia trovato avallo in una recente decisione della Corte costituzionale, che ha dichiarato manifestamente inammissibile una questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento agli art. 3 e 25 cost., dell'art. 159 c.p., «nella parte in cui non prevede, per tutti i reati a prescindere dallo stato detentivo dell'imputato, la sospensione del corso della prescrizione, ove si verifichino cause di sospensione dei termini di custodia cautelare, in quanto - posto che, ove siano prospettabili diverse interpretazioni della norma censurata, di cui una ritenuta conforme a Costituzione, il giudice ha il dovere di farla propria, dovendo sollevare questione di legittimità solo quando risulti impossibile seguire un'interpretazione costituzionalmente corretta - la questione stessa risulta sollevata al fine di ottenere un avallo all'interpretazione propugnata, attribuendo alla Corte un compito che rientra tra quelli tipici del giudice ordinario» (C. cost., 22 giugno 2000, ord. n. 233). Già con una precedente sentenza, del resto, la Corte costituzionale aveva auspicato che il legislatore intervenisse a sanare le situazioni di paralisi dell'esercizio della funzione giurisdizionale che potevano derivare dall'esercizio del diritto dei difensori di astenersi collettivamente dalle udienze (C. cost., 31 marzo 1994, n. 114) . E proprio in adesione a quell'auspicio 1' art. 15 della legge n. 332 del 1995 aveva inserito nell'art. 159 comma 1 c.p. il riferimento all'art, 304 c.p.p. sul quale verte il denunciato contrasto interpretativo.
6. Il contrasto di giurisprudenza denunciato dalla quarta sezione di questa Corte attiene certamente, come s'è detto, al problema del significato normativo che assume, nel contesto dell'art. 159 comma 1 c.p., il riferimento all'art. 304 c.p.p. aggiunto dall'art. 15 della legge n. 332 del 1995.
Va tuttavia considerato che la maggior parte delle ipotesi di sospensione dei termini di custodia cautelare previste dall'art. 304 c.p.p. sono di per sé connesse a provvedimenti di sospensione o di rinvio del procedimento. Sono indubbiamente minori, e per di più solo marginali nella prospettiva dell'attuale disputa giurisprudenziale, le ipotesi in cui si ha sospensione dei termini di custodia cautelare senza che vi sia stata sospensione del procedimento.
Si pongono, perciò, due problemi interpretativi ben distinti.
Occorre innanzitutto stabilire se le ipotesi di sospensione del procedimento evocate dall'art. 304 c.p.p. siano di per sé idonee a determinare anche una sospensione dei termini di prescrizione. E in questa prospettiva la questione interpretativa rimane tutta nell'ambito dello stesso art. 159 comma 1 c.p., non pone il problema dei limiti di una sua possibile integrazione per via del richiamo all'art. 304 c.p.p.
E' solo con riferimento alle ipotesi di sospensione dei termini di custodia non connesse a sospensioni del procedimento che si pone l'esigenza di chiarire se esse comportino una sospensione dei termini di prescrizione e se lo stato di custodia sia condizione necessaria perché l'effetto sospensivo della prescrizione si produca.
7. Il primo problema interpretativo, quindi, non riguarda specificamente il rapporto tra l'art. 159 comma 1 c.p. e l'art. 304 c.p.p., ma attiene più in generale all'ambito di applicabilità dell'art. 159 comma 1 c.p., anche con riferimento alle modifiche subite dalla disciplina della sospensione del procedimento con il sopravvenuto codice di procedura penale del 1988.
Già con il codice del 1930, in realtà, era risultata ardua l'individuazione dei casi in cui la sospensione del procedimento comportasse anche la sospensione dei termini di prescrizione, pur essendo indiscussa la rilevanza a tali fini di ogni caso di deferimento di una questione ad altro giudizio, stante il tenore della prima parte dell'art. 159 comma 1 c.p., certamente non equivoca in proposito. La dottrina prevalente e la giurisprudenza, pur ammettendo che fosse indefinito lo stesso concetto di sospensione del procedimento (Cass., sez. V, 17 luglio 1973, Zani, m. 125731), a causa della «atecnicità del linguaggio legislativo», erano tuttavia concordi nel richiedere che la sospensione dei termini della prescrizione non potesse dipendere da una sospensione o da un rinvio o, comunque, da una «pausa temporanea del procedimento» affidati a una scelta arbitraria del giudice, ma dovesse sempre derivare da una decisione doverosa, assunta «in presenza di specifici presupposti». Sicché si richiedeva non solo che la sospensione del procedimento fosse imposta dalla legge, nel senso che la pur necessaria valutazione giudiziale fosse vincolata, ma si richiedeva altresì che fosse "particolare" la disposizione di legge che la prevedesse. Ed emblematicamente si escludeva, così, che comportasse la sospensione dei termini di prescrizione la sospensione del dibattimento consentita in via generale dall'art. 431 comma 2 codice abrogato in tutti i casi di assoluta necessità. Ma si ammetteva che la sospensione dei termini di prescrizione potesse derivare dalla concessione di un termine a difesa nei casi di contestazione suppletiva prevista dall'art. 446 codice abrogato, che pure all'art. 431 si richiamava.
Nel codice del 1988, che riproduce nell'art. 477 comma 2 la disposizione generale sulla sospensione del dibattimento già dettata dall'art. 431 comma 2 codice abrogato, permane anche l'uso di un linguaggio non univoco per indicare le diverse occasioni di stasi temporanea del procedimento. Vi si parla di sospensione del processo (art. 3) e di sospensione del dibattimento (art. 479) con riferimento a fenomeni del tutto simili di stasi del procedimento dovuta alla rimessione ad altro giudice di questioni pregiudiziali. Sebbene poi di sospensione del dibattimento si parli anche a proposito di rinvii dovuti a esigenze istruttorie (art. 508, 509, 603 comma 6) ovvero di integrazione dell'accusa (art. 519 e 520) o della difesa (art. 451 comma 6) e anche ai fini della decisione della domanda di oblazione in appello (art. 604). Né è possibile ricostruire una chiara distinzione tra sospensione e rinvio, perché, se è vero che si tende a definire rinvio la stasi dei procedimenti camerali (art. 127, 401, 402, 420 ter, 599) , è anche vero che per il dibattimento, pur dopo l'abrogazione degli art. 486 e 487, si continua a parlare indifferentemente di «sospensione o rinvio», come per l'udienza preliminare e con riferimento agli stessi fenomeni (art. 304).
Si deve, perciò, concludere che, come il codice del 1930, anche il codice del 1988 adopera un linguaggio non connotativo, bensì meramente denotativo, per riferirsi ai diversi casi di stasi temporanea del procedimento, che vanno poi distinti dall'interprete in relazione ai rispettivi specifici presupposti.
Tuttavia, nonostante la sostanziale identità al riguardo del linguaggio dei due codici di rito, l'interpretazione dell'art. 159 comma 1 c.p. connessa al codice di procedura penale del 1930 è palesemente incompatibile con l'idea di un processo di parti introdotta nel nostro sistema e, gradualmente, nella nostra stessa cultura processuale con l'entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988.
In realtà, in applicazione dei criteri tradizionali, si può certamente ammettere, e senza problemi, che comporti sospensione dei termini della prescrizione la stasi del procedimento prevista dall'art. 420 ter comma 5 c.p.p., che impone al giudice di rinviare il dibattimento quando sia prontamente comunicato l'impedimento dell'unico difensore che non abbia designato un sostituto. La previsione in una particolare disposizione di presupposti specifici, che legittimano l'adozione del provvedimento di sospensione o di rinvio, esclude, infatti, che il giudice debba compiere un'ulteriore valutazione di opportunità, che si aggiunga all'accertamento di quei presupposti: se il presupposto c'è, il giudice è tenuto senz'altro all'adozione del provvedimento. Ma se si applicassero solo i criteri di obbligatorietà e particolarità della previsione ricavati dal codice di rito abrogato, occorrerebbe anche ammettere, ad esempio, che una sospensione dei termini della prescrizione consegua pure alle sospensioni del procedimento previste dagli art. 508 e 509 c.p.p. per esigenze istruttorie, pur quando riconosciute solo dal giudice d'ufficio. E analogamente dovrebbe continuare ad ammettersi che rilevi ai fini della sospensione dei termini di prescrizione il riconoscimento di un termine a difesa a norma dell'art. 519 c.p.p. nei casi di contestazione suppletiva. Mentre dal rinvio de11'art. 159 comma 1 c.p. all'art. 304 comma 1 c.p.p. risulta escluso esplicitamente che possano mai assumere rilevanza ai fini della sospensione dei termini di prescrizione sia la sospensione del procedimento disposta per esigenze di acquisizione della prova sia la sospensione del procedimento conseguente alla concessione di termini per la difesa.
Le incoerenze sistematiche che deriverebbero dalla applicazione di criteri interpretativi superati sarebbero, perciò, ben più gravi di quanto risulti dalla stessa contrapposizione tra gli orientamenti giurisprudenziali che disputano sulla riferibilità anche agli imputati liberi del rinvio all'art. 304 c.p.p. contenuto nell'art. 159 comma 1 c.p..
In realtà l'interpretazione dell'art. 159 comma 1 c.p. affermatasi nel vigore del codice di rito abrogato era coerente con un sistema processuale che per un verso affidava alla prevalente iniziativa del giudice le sorti del processo, per altro verso tendeva a limitarne il potere, rendendo possibile un controllo, peraltro quasi esclusivamente passivo, delle parti.
Oggi il processo vive prevalentemente delle iniziative non solo istruttorie delle parti anche private, che hanno il potere di contribuire autonomamente a determinare tempi, modalità e contenuti delle attività processuali. Le parti non hanno più solo poteri limitativi dell'autorità del giudice, ma condividono con il giudice la responsabilità dell'andamento del processo. E debbono assumersi conseguentemente gli oneri connessi all'esercizio dei loro poteri; ma con il riconoscimento altresì dell'essenzialità del loro contributo al contraddittorio, cui si ritiene affidata l'attendibilità della giurisdizione.
A questa logica risponde evidentemente l'art. 304 comma 1 c.p.p., laddove prevede alle lettere a) e b) che possano essere esclusi dal computo dei termini massimi della custodia cautelare i tempi delle sospensioni o dei rinvii del procedimento imputabili all'esercizio dei poteri dell'imputato non immediatamente riconducibili alla funzione cognitiva del processo. E l'aggiunta nell'art. 159 comma 1 c.p. del rinvio all'art. 304 c.p.p. non può essere intesa come l'inserimento di un corpo estraneo in un contesto normativo immutabile, perennemente ancorato ai parametri interpretativi imposti dal codice abrogato.
La riforma del 1995 è, invece, il segno della forza espansiva del nuovo sistema processuale, i cui criteri ispiratori non possono non ripercuotersi anche sull'interpretazione dell'art. 159 comma 1 c.p. .
Sicché, nella individuazione dei casi in cui la sospensione del procedimento è rilevante ai fini della prescrizione, rimane tuttora valida l'esigenza che le valutazioni del giudice siano vincolate a criteri predeterminati. E perciò deve ritenersi, ad esempio, che non comportino sospensioni dei termini della prescrizione le sospensioni del procedimento previste dall'art. 41 comma 2 c.p.p., con riferimento alla ricusazione, o dall'art. 47 comma 2 c.p.p., con riferimento alla rimessione, trattandosi di ipotesi di sospensione meramente facoltativa, disancorate da qualsiasi predeterminazione dei criteri di decisione.
Deve invece considerarsi ormai insufficiente nel contesto del nuovo codice di rito il criterio della particolarità della previsione delle ipotesi di sospensione rilevanti ai fini della prescrizione. Questo criterio, evidentemente legato a un raccordo strettamente testuale tra i due coevi codici del 1930, certamente vale ancora a escludere l'incidenza sulla prescrizione delle sospensioni consentite in via generale dall'art. 477 comma 2 c.p.p., come di quelle previste dall'analogo art. 431 comma 2 codice abrogato. Ma deve essere integrato, in funzione garantistica, con il criterio della imputabilità del rinvio, ricavabile da una interpretazione sistematica del richiamo all'art. 304 c.p.p. contenuto nel nuovo testo dell'art. 159 comma 1 c.p. E questa integrazione, oltre a permettere la necessaria esclusione della rilevanza di ipotesi di rinvio per esigenze istruttorie, come quelle previste dagli art. 508 e 509 c.p.p., accresce altresì la specificità del concetto di sospensione rilevante ai fini della prescrizione. Sicché può essere soddisfatta in termini meno casuali di quelli "topografici", ricevuti dal codice abrogato, l'esigenza di "particolarità", posta dall'art. 159 comma 1 c.p., della previsione delle ipotesi sospensione o di rinvio del procedimento cui consegue l'effetto sostanziale della sospensione dei termini della prescrizione.
In particolare deve ritenersi che escludano l'imputabilità della sospensione o del rinvio sia l'esercizio del diritto alla prova sia, più in generale, l'esercizio del diritto alla difesa, inteso quest'ultimo nel senso delle disposizioni che impongono di riconoscere al difensore un termine «per prendere cognizione degli atti o per informarsi sui fatti oggetto del procedimento» (art. 108 c.p.p.) o, in generale, alla parte un termine per approntare la difesa (art. 184, 451, 519 c.p.p.). Sicché deve escludersi la addebitabilità all'imputato o al suo difensore della sospensione o del rinvio destinati ad assecondare la funzione cognitiva del processo: secondo l'esemplificazione contenuta nell'art. 304 comma 1 lettere a) e b) c.p.p., che peraltro non è esaustiva (v. ad es. art. 71 c.p.p.); e in una prospettiva già in parte anticipata, sia pure in un contesto meramente emergenziale, dall'art. 16 della legge 22 maggio 1975, n.152.
A questo principio di garanzia deroga, confermandone peraltro la validità sul piano generale, la disposizione transitoria dettata dall'art. 18 comma 5 della legge 5 ottobre 2001, n. 367, che in via eccezionale prevede la sospensione dei termini di prescrizione anche quando la sospensione o il rinvio del procedimento o del dibattimento derivi dall'esigenza di rinnovare acquisizioni probatorie, ma solo in quanto la rinnovazione sia resa necessaria dalla sopravvenuta nullità o inutilizzabilità di commissioni rogatorie che erano conformi alla disciplina vigente all'epoca del loro espletamento. In applicazione dell'art. 173 comma 3 disp. att. c.p.p., va pertanto enunciato il seguente principio di diritto:
L'art. 159 comma 1 c.p. deve essere interpretato nel senso che la sospensione o il rinvio del procedimento o del dibattimento hanno effetti sospensivi della prescrizione, anche se l'imputato non è detenuto, in ogni caso in cui siano disposti per impedimento dell'imputato o del suo difensore ovvero su loro richiesta, salvo quando siano disposti per esigenze di acquisizione della prova o in seguito al riconoscimento di un termine a difesa.
8. Così definita l'interpretazione dell'art. 159 comma 1 c.p., rimane da chiarire se e in quali limiti possa aversi una sospensione dei termini di prescrizione in pendenza dei termini per la redazione della motivazione delle sentenze dibattimentali (art. 304 comma 1, lettera c c.p.p.) e durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza in procedimenti particolarmente complessi per taluno dei reati previsti dall'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. (art. 304 comma 2 c.p.p.). Sono questi, invero, i due casi in cui la sospensione dei termini di custodia cautelare può essere disposta senza che vi sia sospensione del procedimento.
Non è qui in discussione se in entrambi i casi il provvedimento di sospensione dei termini di custodia possa considerarsi imposto dalla legge e comporti perciò anche la sospensione dei termini di prescrizione. Ciò che rileva nella prospettiva del contrasto giurisprudenziale in discussione è che la sospensione dei termini di prescrizione risulta prevista come possibile effetto ulteriore sia di un provvedimento di sospensione o di rinvio del procedimento o del dibattimento sia di un provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare. Ma in entrambi i casi un tale ulteriore effetto richiede che un provvedimento di sospensione, del procedimento dei termini di custodia cautelare, sia stato effettivamente adottato: come si desume, del resto, anche dal terzo comma dell'art. 159 c.p., che, nei casi di autorizzazione a procedere, fa decorrere la sospensione dei termini di prescrizione dal momento in cui il pubblico ministero ha effettivamente presentato la relativa richiesta. Non sarebbe ragionevole, perciò, considerare sospesi i termini di prescrizione durante il tempo in cui ricorrevano i presupposti per una sospensione, del procedimento dei termini di custodia cautelare, che in realtà non era stata disposta. In tal senso deve essere, quindi, risolto il secondo dei due distinti problemi interpretativi su individuati. Va pertanto enunciato, in conclusione, il seguente principio di diritto: L'art. 159 comma 1 c.p. deve essere interpretato nel senso che, quando non consegua a un provvedimento di sospensione o di rinvio del procedimento del dibattimento ovvero alla presentazione di una richiesta di autorizzazione a procedere, la sospensione del corso della prescrizione si verifica solo se venga effettivamente adottato un provvedimento di sospensione dei termini di una custodia cautelare in corso di esecuzione.
9. La soluzione adottata per il contrasto di giurisprudenza denunciato dalla quarta sezione comporta il rigetto del quinto motivo del ricorso. Come la stessa sezione rimettente ha accertato, invero, le sospensioni del procedimento disposte su richiesta dell'imputato o del suo difensore si protrassero per complessivi due anni, sette mesi e cinque giorni. In particolare risulta dai verbali di udienza che il procedimento fu a più riprese sospeso o rinviato su mera richiesta del difensore dell'imputato dal 16 marzo 1994 all'1 marzo 1995, dal 28 maggio 1997 al 25 novembre 1998, dal 15 dicembre 1999 al 2 febbraio 2000. Sicché alla data del 2 febbraio 2000, in cui fu pronunciata la sentenza impugnata, non era decorso il termine quinquennale di prescrizione; né risulta a oggi decorso il termine massimo di sette anni e sei mesi dalla data del commesso reato.
Quanto agli altri motivi del ricorso, essi sono tutti manifestamente infondati.
Secondo quanto prevedono gli art. 219 e 220 del decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51, invero, l'attuale procedimento, essendo già in corso nella fase dibattimentale alla data del 2 giugno 1999, proseguì regolarmente in applicazione delle norme anteriormente vigenti e il suo trasferimento da Minturno a Gaeta non richiedeva l'emissione di un nuovo decreto di citazione a giudizio (Cass., sez. I, 9 maggio 2001, Corso, m. 219281). Ne consegue la manifesta infondatezza non solo del primo motivo del ricorso, ma anche del secondo, perché l'imputato, essendo comparso all'udienza del 7 giugno 1994, non doveva essere dichiarato contumace nelle successive udienze alle quali si era astenuto dal partecipare senza addurre impedimenti (Cass., sez. VI, 11 gennaio 1996, Zini) e, con la proposizione del ricorso, si è comunque avvalso del diritto al cui esercizio sarebbe stata destinata la omessa notifica dell'estratto contumaciale della sentenza (art. 183 c.p.p.).
Inoltre è vero che nel caso in esame la sentenza fu pronunciata dal Tribunale monocratico anziché dal pretore dinanzi al quale il dibattimento aveva avuto inizio. Ma, essendo rimasta immutata la persona del giudice, dr. B. R., che all'udienza del 13 gennaio 1999 aveva assistito all'istruzione dibattimentale, non vi fu alcuna violazione dell'art. 525 c.p.p. allorché quelle prove furono utilizzate ai fini della decisione. Comunque dal verbale d'udienza non risulta che il ricorrente avesse richiesto una nuova escussione delle prove; e nella giurisprudenza di questa Corte è indiscusso che, nel caso di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per mutamento della persona del giudice, può essere data lettura anche d'ufficio delle prove di cui le parti non abbiano richiesto una nuova escussione (Cass., sez. un., 15 gennaio 1999 Iannasso).
D'altro canto, quanto al terzo motivo del ricorso, la giurisprudenza prevalente riconosce che il cosiddetto "sciopero" degli avvocati costituisce legittimo impedimento del difensore che abbia tempestivamente comunicato la sua adesione all'astensione proclamata dalle associazioni di categoria (Cass., sez. IV, 5 aprile 1996, Chillocci). Tuttavia, nel presupposto che il rinvio non fosse rilevante ai fini dell'art. 159 c.p., una parte della giurisprudenza faceva salvo il limite dell'interesse pubblico a evitare che, in conseguenza della stasi del procedimento, il reato contestato si estinguesse per prescrizione (Cass., sez. II, 3 febbraio 1997, Quintini). Sicché la richiesta di rinvio poteva essere disattesa anche quando la proclamazione dell'astensione rispettasse il codice di autoregolamentazione professionale (Cass., sez. V, 21 gennaio 1999, Nava); e quindi non poteva costituire un'eventualità del tutto inattesa per il difensore del ricorrente il rigetto della sua ennesi ma richiesta di rinvio in un caso in cui la prescrizione del reato era comunque prossima.
Infine è indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che «in caso di connessione obiettiva tra reato e violazione non costituente reato, il giudice competente a conoscere del reato è anche competente a decidere sulla violazione non costituente reato e ad applicare la sanzione per essa stabilita dalla legge, salvo che il procedimento penale si chiuda per estinzione del reato o per difetto di una condizione di procedibilità» (Cass., sez. un., 21 giugno 2000, Cerboni, m. 217018); sicché è manifestamente infondato anche il sesto motivo del ricorso.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.