Violenza sessuale - art. 609 bis c.p. -Concorso morale nel reato - Semplice adesione psichica
Violenza sessuale - art. 609 bis c.p. -Concorso morale nel reato - Semplice adesione psichica -Condividere lo stupro non equivale a commetterlo
Penale - Violenza sessuale - art. 609 bis c.p. -Concorso morale nel reato - Semplice adesione psichica - Condividere lo stupro non equivale a commetterlo (Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza n.23916 del 30 Maggio 2003)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Dxxx Bxxx (padre) e Gxxx Bxxx (figlio) venivano sottoposti a indagini preliminari per concorso nei delitti di maltrattamento (art. 572 c.p.), lesioni personali (art. 582 e 585.1 c.p.), violenza sessuale (art. 609 bis, commi 1 e 2 n. 1 c.p.) [1] e minacce (612 c.p.), commessi in danno di Axxx Dxxxx, rispettivamente nuora del primo e moglie del secondo.
Gxxx Bxxx era altresì indagato per favoreggiamento (artt. 111, 378 e 384 c.p.), perché aveva determinato la moglie Axxx Dxxxx e la cognata Gxxx Dxxx a dichiarare falsamente alla polizia giudiziaria che il tentativo di suicidio posto in essere dalla prima era scaturito da una lite tra le sorelle, anziché dai continui maltrattamenti praticati dallo stesso B. in danno della moglie, così aiutando quest’ultimo a eludere le investigazioni dell’autorità per i delitti commessi.
Il GIP del tribunale di Nola, in data 12/7/2002, disponeva a carico dei predetti la misura cautelare della custodia in carcere. Su istanza di riesame presentata dagli indagati, il tribunale di Napoli, con ordinanza del 29/7/2002, confermava la misura carceraria nei confronti di Dxxx Bxxx per tutti i reati ascrittigli.
Inoltre annullava la misura cautelare per Gxxx Bxxx in relazione al delitto di violenza sessuale, per mancanza di indizi di colpevolezza, e a quello di favoreggiamento, non essendo configurabile il favoreggiamento a favore di se stesso.
In ordine ai residui delitti a carico del medesimo (maltrattamenti, lesioni e minacce), riconsiderate le esigenze cautelari, il tribunale sostituiva la misura della custodia in carcere con quella del divieto di dimora nel comune di Acerra.
Gxxx Bxxx proponeva ricorso contestando gli indizi a suo carico anche per i residui reati di maltrattamento e di lesioni personali. Ma questa corte di cassazione, con sentenza del 19/11/2002, ha rigettato il ricorso.
Anche il procuratore della Repubblica di Nola ha proposto ricorso contro la suddetta ordinanza, nella parte in cui ha annullato la misura re relativa a Gxxx Bxxx per il concorso nella violenza sessuale e per il favoreggiamento, deducendo inosservanza o erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione.
In ordine alla violenza sessuale continuata in danno di A, D., il PM ricorrente osserva che, se è vero che il marito non era presente agli episodi di violenza commessi materialmente dal padre Dxxx Bxxx, è anche vero che quando la moglie gliene parlò, egli, dopo una iniziale incredulità, alla fine mostrò reiteratamente di vallare il comportamento del padre, dicendo è mio padre e può permettersele anche quello è mio padre e può fare questo e altro.
Con ciò, secondo il PM, Gxxx Bxxx aveva indubbiamente un contributo agevolativo alla violenza sessuale perpetrata dal padre, rafforzando il proposito criminoso di questi e sostenendo psicologicamente la sua condotta.
In ordine al delitto di favoreggiamento, il ricorrente osserva che esso è configurabile, avendo il B. determinato moglie e cognata, non punibili ex art. 384 c.p., a dichiarare il falso davanti alla pg per evitare che fossero scoperte le sue responsabilità. In tal caso al B. non è applicabile l’esimente di cui al citato art. 384, in quanto le false dichiarazioni alla pg non sono state rese dal B., ma dalle donne da questo indotte e ai sensi dell’art. 111 c.p. del reato non potrà che rispondere il soggetto che ne ha strumentalizzato la condotta criminosa non punibile.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è palesemente infondato. Secondo la legge penale e la giurisprudenza costante di questa corte non può esservi concorso morale a prescindere da una effettiva influenza sull’autore materiale del fatto- reato.
Insomma, a integrare il concorso non è sufficiente la mera connivenza o la adesione psichica, anche se manifestata a chi commette materialmente il reato.
Nel caso di specie, addirittura, la adesione o giustificazione morale dello stupro commesso da Dxxx Bxxx fu manifestata dal figlio G. parlando con la stessa vittima, la moglie Axxx Dxxxx, e non con l’autore materiale dello stupro.
Il che è chiaramente dimostrato anche dal particolare che il figlio parlava del padre in terza persona.
Orbene, per quanto riprovevole ed aberrante sia questa giustificazione, non si vede come possa aver rafforzato il proposito criminoso dello stupratore, posto che nessuna prova esiste che la giustificazione filiale fosse ripetuta in presenza del padre e prima che questi commettesse la violenza sessuale.
Ma anche il secondo motivo non può essere accolto. Come sottolinea lo stesso pubblico ministero ricorrente, il delitto di favoreggiamento era contestato a Gxxx Bxxx in forza della norma estensiva di cui all’art. 111 c.p., secondo la quale chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile o non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso.
Nella fattispecie concreta, il B. doveva rispondere del favoreggiamento commesso per mezzo delle sorelle D., direttamente non punibili ex art. 384 c.p. per aver agito nella necessità di salvare il marito e cognato da un nocumento nella libertà o nell’onore.
Ciò che il ricorrente non considera è che, nel caso specifico, la causa di giustificazione speciale che vale per le autrici immediate a maggior ragione vale per l’autore mediato. Infatti il soggetto favorito dalle false dichiarazioni rese dalle due sorelle alla polizia giudiziaria era proprio il B., il quale era perciò chiamato a rispondere di aver favorito se stesso, attraverso la condotta indotta nelle due donne.
Ma, come la giurisprudenza ha da tempo chiarito, l’autofavoreggiamento personale non è punibile, in forza del principio generale secondo cui nemo tenetur se detegere, che trova espressione proprio nella norma dell’art. 384 c.p., laddove esenta da punibilità chi commette falsa testimonianza, frode processuale, favoreggiamento o altri delitti contro l’attività giudiziaria per salvare se medesimo da un grave e inevitabile documento alla libertà o all’onore (cfr. Cass. Sez. III, n. 9336 del 16/10/1982, Mancia, rv. 155622, per il favoreggiamento; Cass. Sez. VI, n. 9085 del 12/10/1985, Scianca, rv. 170702, nonché Cass. Sez. VI, n. 2711 del 21/3/1997, Cassese, rv. 207165, per la falsa testimonianza).
Non v’è alcuna ragione per disapplicare questo principio quando il delitto contro l’attività giudiziaria è commesso attraverso autori mediati non imputabili o non punibili per condizione o qualità personali.
Sicchè si deve concludere che l’autofavoreggiamento, commesso anche attraverso la condotta di terzi indotti, non è punibile ai sensi dell’art. 384 c.p.
Va aggiunto per chiarezza che questo autofavoreggiamento attraverso autore mediato è un terzo, commesso come mezzo necessario per il favoreggiamento di se stesso.
Nel primo infatti la mediazione è soggettiva, nel senso che si induce e si utilizza il comportamento di un terzo per favorire se stessi.
Nel secondo invece la mediazione è oggettiva, nel senso che l’autore ricorre al favoreggiamento (a vantaggio) di un terzo per favorire se stesso.
Trattandosi pur sempre di autofavoreggiamento, in entrambi i casi è applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. Peraltro, le considerazioni sopra svolte non escludono che nel caso di specie il B. possa rispondere di altri reati, quali il delitto di violenza privata di cui all’art. 610 c.p. o quello di violenza per costringere a commettere un reato di cui all’art. 611 c.p. In particolare, quest’ultimo delitto ricorre anche quando il reato- fine commesso non è punibile per qualsiasi causa.
Ciò si desume anche dalla considerazione che trattasi di fattispecie che si perfeziona col semplice uso della violenza o minaccia al fine di far commettere un reato, indipendentemente dalla realizzazione del reato- fine (cfr. ex plurimis Casss. Sez. I, n. 21/8/1997, confl. comp. In Proc. Spitaleri e altri, rv. 208488).
A maggior ragione la fattispecie è integrata anche quando il reato- fine sia commesso, ma non è punibile per qualsiasi ragione.
Va da se che in relazione al delitto di cui all’art. 611 c.p. non è applicabile la causa di giustificazione speciale di cui all’art. 384 c.p., giacchè esso non rientra nel novero di quelli contro l’attività giudiziaria previsti da questa norma, ma ha la sua specifica ragion d’essere nell’esigenza di reprimere l’uso della violenza o minaccia per coartare la libertà morale delle persone.
È evidente che il principio nemo tenetur se detegere, per il suo stesso contenuto, discrimina solo i reati contro l’attività giudiziaria, non quelli contro la libertà morale.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.