Separazione coniugi - affidamento minori - diritto di visita delle figlie minori - reati di cui agli articoli 388 e 594 c.p.
Separazione coniugi - affidamento minori - diritto di visita delle figlie minori - reati di cui agli articoli 388 e 594 c.p. -
Separazione coniugi - affidamento minori - diritto di visita delle figlie minori - reati di cui agli articoli 388 e 594 c.p. (Corte di cassazione, Sezione VI penale, Sentenza 16 giugno 2003, n. 25899)
FATTO E DIRITTO
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza 31 gennaio 2001, confermava quella in data 28 ottobre 1997 del Pretore di Portogruaro, che aveva dichiarato Txxxxxxxxx. colpevole dei reati di cui agli articoli 388 e 594 c.p., unificati dal vincolo della continuazione, e, in concorso delle circostanze attenuanti generiche, l'aveva condannata a pena ritenuta di giustizia, con il beneficio della non menzione, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
L'addebito mosso alla Txxxx è di avere, in data 23 dicembre 1995, impedito al marito, Mxxxxx., dal quale si era separata, di esercitare il diritto di visita delle figlie minori, eludendo così il relativo provvedimento giudiziario che ne disciplinava l'affidamento (capo sub A), e di avere, nella stessa occasione, rivolto espressioni offensive all'indirizzo del coniuge (capo sub B).
Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata e ha lamentato l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articoli 42, 50, 51, 388, 594, 599 c.p., nonché il vizio di motivazione: il percorso seguito nella valutazione del materiale probatorio evidenziava passaggi di manifesta illogicità e di scarsa persuasività; i dati fattuali acquisiti come certi portavano ad escludere la configurabilità dei reati ascrittile.
Il ricorso è fondato.
La ricostruzione dei fatti operata in sede di merito consente di ritenere come pacifiche le seguenti circostanze, che hanno, come si dirà, rilievo decisivo nella soluzione giuridica del caso in esame: 1) il provvedimento giudiziario che regolava il diritto del genitore non affidatario di tenere con sé, in un determinato giorno della settimana, le figlie minori risale al 6 dicembre 1995; 2) nel rispetto di tale provvedimento, la Txxxx, quale genitore affidatario, il giorno 23 dicembre 1995, aveva preparato la figlia più grande, K., e l'aveva accompagnata all'esterno dell'abitazione, per consegnarla al padre, che era andato a prelevarla, ma, a seguito del netto rifiuto opposto dalla bambina e del quale aveva preso atto lo stesso M., aveva deciso di fare rientrare in casa la piccola; 3) la Txxxx non aveva preparato, nella circostanza, anche l'altra figlia (B.), per affidarla temporaneamente al padre, perché malata, circostanza questa confermata dalla teste Guschlbauer, non smentita dalla parte lesa e logicamente credibile, visto il comportamento tenuto dall'imputata per la figlia K.; 4) la Txxxx non aveva consentito al marito di entrare in casa, per incontrare la piccola B., e ciò aveva determinato un intuibile clima di tensione tra le parti, con le ingiurie di cui al capo d'accusa.
Ciò posto, osserva la Corte, con riferimento al reato di cui all'articolo 388 c.p., che il genitore affidatario assume indubbiamente un ruolo centrale nel favorire l'incontro dei figli minori con l'altro genitore e, in tale prospettiva, ha il dovere di sensibilizzare ed educare i figli a superare eventuali resistenze, determinate dalla crisi familiare, e a coltivare il rapporto affettivo col genitore non affidatario. Pur tuttavia, l'effettiva operatività di tale linea di condotta va sempre rapportata alla situazione concreta che l'agente si trova, di volta in volta, ad affrontare, per verificare se il comportamento tenuto integri o no, anche sotto il profilo soggettivo, l'elusione del provvedimento giudiziario concernente l'affidamento di minori. Non può prescindersi, in sostanza, dai modi e dai tempi dell'avverarsi di una determinata situazione, per apprezzare a fondo e, quindi, per valutare la portata della condotta tenuta, nella specifica circostanza, dal genitore affidatario.
Nel caso specifico, non va sottovalutata la circostanza che il fatto oggetto d'imputazione si verificò soltanto pochi giorni dopo (23 dicembre 1995) la formalizzazione della separazione personale dei coniugi (6 dicembre 1995), quando cioè le tensioni tra gli stessi non si erano ancora stemperate e il trauma interpersonale non aveva consentito il recupero di un minimo d'equilibrio in seno alla famiglia. Alla luce di ciò, è agevole comprendere il perentorio rifiuto di K. di trascorrere il pomeriggio del 23 dicembre col padre, al di fuori di casa; la reazione della bambina, anche se razionalmente non giustificabile, fu certamente determinata da un contingente impulso emotivo, maturato per effetto di inafferrabili meccanismi psicologici; né può farsi carico alla madre di non essersi attivata in un'opera di sensibilizzazione della figura ad incontrare il padre, avuto riguardo proprio al breve lasso di tempo trascorso dalla separazione, certamente non congruo per fare metabolizzare alla bimba, di soli nove anni, la nuova realtà familiare.
Lo stato influenzale in cui versava la piccola B., anche se documentalmente non certificato, ma comunque attendibile per le ragioni sopra indicate, impedì che anche la predetta uscisse col padre.
Non può, pertanto, farsi carico all'imputata di avere voluto eludere l'esecuzione del provvedimento del giudice civile relativo all'affidamento delle figlie minori, considerato che soltanto le esposte situazioni oggettive, in quel momento non altrimenti gestibili, le imposero di disattendere il richiamato provvedimento, per tutelare doverosamente le esigenze delle figlie.
In relazione al punto esaminato, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato.
Quanto al delitto d'ingiuria, poiché, in fatto, si è accertato che le espressioni offensive furono pronunciate dall'imputata nel contesto del clima di tensione creatosi tra le parti a causa della pretesa, non legittima, del M. di volere entrare in casa e che, nella circostanza, vi furono scambi verbali con toni di voce concitata, deve realisticamente ritenersi la reciprocità delle offese, con la conseguenza che opera la causa di non punibilità di cui all'articolo 599 c.p. L'annullamento della sentenza, su questo punto, va pronunciato con la formula corrispondente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'impugnata sentenza, perché il fatto di cui al capo A non costituisce reato e perché quello di cui al capo B non è punibile ai sensi dell'articolo 599 c.p.