ne bis in idem - cosa giudicata - divieto di secondo giudizio - penale
ne bis in idem - cosa giudicata - divieto di secondo giudizio - penale - Giudicato assolutorio relativo a reato permanente contestato in forma cosiddetta aperta - Effetto preclusivo - Individuazione La preclusione del giudicato assolutorio, modulandosi sul dato formale dell'imputazione, involge tutto l'arco temporale della contestazione della permanenza, da... Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 4796 del 25/01/2012 Cc. (dep. 07/02/2012 )
ne bis in idem - cosa giudicata - divieto di secondo giudizio - penale - Giudicato assolutorio relativo a reato permanente contestato in forma cosiddetta aperta - Effetto preclusivo - Individuazione
La preclusione del giudicato assolutorio, modulandosi sul dato formale dell'imputazione, involge tutto l'arco temporale della contestazione della permanenza, dal termine iniziale fino a quello finale se indicato, ovvero, nel caso di contestazione in forma cosiddetta aperta, fino alla data della sentenza di primo grado, non potendo rilevare che nel giudizio definito con assoluzione il P.M. abbia addotto - o il giudice assunto - prove che concernono la permanenza della condotta criminosa per tutto - ovvero, soltanto per parte - del relativo arco temporale. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 4796 del 25/01/2012 Cc. (dep. 07/02/2012 )
Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 4796 del 25/01/2012 Cc. (dep. 07/02/2012 )
RILEVA
1. - Con ordinanza, deliberata il 28 febbraio 2011 e depositata il 26 luglio 2011, il Tribunale ordinario di Napoli, in funzione di giudice distrettuale del riesame delle ordinanze che dispongono misure coercitive, previa esclusione della aggravante di cui all'articolo 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, ha confermato, nel resto, la ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di quella stessa sede, 24 gennaio 2011, di applicazione della custodia cautelare in carcere a carico di Gennaro Antonio Sa.., indagato per i delitti di traffico continuato di stupefacente e di associazione finalizzata al ridetto traffico, commessi in Caivano, dal 2005 fino al febbraio 2006, motivando per quanto qui rileva: deve essere disattesa la eccezione difensiva fondata sul giudicato assolutorio dal delitto associativo, giusta sentenza del Tribunale ordinario di Napoli, 18 dicembre 2008 (irrevocabile dal 19 maggio 2009); sebbene gli addebiti concernano la medesima associazione, è tuttavia diverso l'arco temporale della permanenza delle condotte associative; la misura cautelare è stata applicata per la compartecipazione protratta dal 2005 al febbraio 2006; mentre risale ad epoca anteriore la condotta associativa oggetto del giudicato; in proposito, a dispetto della imputazione la quale reca la contestazione di condotta perdurante, senza l'indicazione del dies ad quem, i fatti in concreto oggetto "di addebito" risalgono ad epoca antecedente al settembre 2004, essendo frutto delle propalazioni del collaborante Antonio D'a.., assunte in quello stesso mese; quanto alle esigenze cautelari, non ostante il lungo tempo trascorso dalla commissione dei reati, la gravità delle condotte del Sa.. "capo del sodalizio criminale" e la "trasgressiva personalità del ricorrente" rendono attuale e concreto il pericolo della recidiva; ne' la difesa ha addotto apprezzabili elementi atti a vincere le presunzioni stabilite dall'art. 275 c.p.p.
2. - Ricorre per cassazione l'indagato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Gennaro Pe.., mediante atto del 9 agosto 2011, col quale sviluppa due motivi.
2.1 - Con il primo motivo il difensore denunzia promiscuamente, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), inosservanza di norme processuali nonché contraddittorietà e illogicità della motivazione, reiterando l'eccezione fondata sul giudicato assolutorio e obiettando: nel giudizio definito colla assoluzione le indagini proseguirono nei mesi successivi all'arresto del collaborante e alle sua chiamata in correità; il materiale probatorio "copre temporalmente anche la odierna contestazione", in difetto, a suo tempo, della modificazione della imputazione relativa al processo definito, facendo "retroagire il termine ultimo della condotta associativa", il giudice del riesame non ha il potere "di modificare incidentalmente il capo di imputazione del precedente giudizio", al fine di eludere la preclusione del giudicato.
2.2 - Con il secondo motivo il difensore dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), "violazione di legge" nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, dolendosi delle ritenute esigenze cautelari e, al riguardo, opponendo: considerato il tempo trascorso dai fatti addebitati, la prognosi del Collegio è "manifestamente tardiva"; difetta il requisito della attualità del periculum libertatis, peraltro illogicamente supposto sulla mera base della gravità delle condotte.
3. - Il ricorso è, nei termini che seguono, fondato.
3.1 - In tema di reati permanenti e con riferimento alla ipotesi della contestazione in forma cd. aperta - senza, cioè, la indicazione del dies ad quem della permanenza, ovvero con le formule:
"fino alla attualità", "con condotta perdurante" e consimili - è, invero, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte suprema il principio di diritto secondo il quale la regola che "la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado ha valore esclusivamente processuale e non sostanziale" colla conseguenza che, "qualora dalla data di cessazione della permanenza debba farsi derivare (..) un qualsiasi effetto giuridico, non è sufficiente il riferimento alla data della sentenza di primo grado, ma occorre verificare se il giudice di merito abbia o meno ritenuto, esplicitamente o implicitamente, provata la permanenza della condotta illecita oltre la data dell'accertamento e, eventualmente, se tale permanenza risulti effettivamente accertata fino alla sentenza" (Sez. 5, 15 maggio 2007, n. 25578, Smagra, massima n. 237707; cui adde:
Sez. 1, 14 dicembre 2004, n. 774/2005, Lucarelli, massima n. 230727;
Sez. 1, 17 novembre 2005, n. 46583, Piccolo, massima n. 232966; e Sez. 1, 12 luglio 2011, n. 33053, Caliendo, massima n. 250828). Appare evidente che il principio è suscettibile di applicazione soltanto in relazione ai giudicati di condanna che presuppongono, appunto, il positivo accertamento della condotta permanente, e, quindi, il suo inizio e il termine.
Diversa conclusione si impone, invece, in relazione alle sentenze di assoluzione le quali si caratterizzano per il contenuto negativo del mancato accertamento della colpevolezza dell'imputato. Sicché la distinzione tra la valenza processuale e quella sostanziale della efficacia della res iudicata non è, invero, prospettabile in quanto difetta in radice il secondo termine della giustapposizione: l'effetto del giudicato assolutorio è esclusivamente processuale e risiede nel divieto del ne bis in idem che ne consegue, à termini dell'art. 649 c.p.p., in virtù del quale "l'imputato prosciolto (..) con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze...". La preclusione del giudicato assolutorio, conseguentemente, modulandosi sul dato formale dell'imputazione, involge tutto l'arco temporale della contestazione della permanenza, dal termine iniziale fino a quello finale (se indicato) ovvero - nel caso della contestazione in forma cd. aperta - fino alla data della sentenza del primo grado del giudizio, per effetto della "vis expansiva" della contestazione del reato permanente, la quale "per l'intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l'elemento del perdurare della condotta antigiuridica" (Cass., Sez. Un., 13 luglio 1998, n. 11021, Montanari, massima n. 211385, cui adde: Sez. Un., 11 novembre 1994, n. 11930, Polizzi, massima n. 199169).
E nulla rileva se nel giudizio (definito colla assoluzione) il Pubblico Ministero abbia addotto - o il giudice abbia assunto ex officio - prove che concernano la permanenza della condotta criminosa per tutto - ovvero, soltanto, per parte - del relativo arco temporale.
La preclusione del giudicato assolutorio risiede esclusivamente nella statuizione giudiziale di absolutio ab actione in rapporto alla imputazione, indipendentemente da ogni considerazione circa la attività processuale in concreto espletata nel giudizio. Per absurdum la contraria opinione (seguita dal giudice a quo) condurrebbe alla inaccettabile conclusione della negazione della efficacia preclusiva della assoluzione irrevocabile (e della conseguente possibilità di sottoporre novamente l'imputato a procedimento penale per il medesimo fatto), qualora nel giudizio definito nessuna prova fosse stata addotta.
Conclusivamente, nella specie, la intervenuta assoluzione dal delitto associativo, in relazione al più ampio arco di permanenza, protratta dal 2004 fino al 18 dicembre 2008 (data della sentenza di primo grado), comprende il periodo 2005 - febbraio 2006, oggetto dell'analogo addebito, enunciato nella ordinanza cautelare impugnata, e rende illegittima la adozione della adozione della misura coercitiva, per effetto del divieto contenuto nell'art. 273 c.p.p., comma 2.
Sebbene la ridetta disposizione, nella elencazione delle cause del divieto, non rechi la espressa indicazione della improcedibilità della azione penale, soccorre in proposito il principio di diritto secondo il quale "tra le cause di punibilità la cui emergenza (in termini di certezza e non di mera possibilità) importa l'inapplicabilità delle misure cautelari, giusto il disposto dell'art. 273 c.p.p., comma 2, rientra anche il difetto di una condizione di procedibilità, come è dato da argomentare anche da quanto previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 1, che, nello stabilire l'obbligo della immediata declaratoria di determinate "cause di non punibilità", ha riguardo anche alla mancanza di una condizione di procedibilità. Ne consegue che il giudice, investito del controllo di un'ordinanza in materia cautelare, ha il potere-dovere di sindacare anche l'esistenza della condizione di procedibilità eventualmente necessaria, disponendo la caducazione della misura ove accerti la mancanza della condizione in parola" (Cass., Sez. 1, 9 maggio 1994, n. 2128, Tarek, massima n. 197879; cui adde, in termini, Sez. 1, 24 ottobre 2007, n. 40222, Pignataro, massima n. 237912). 3.2 - L'accoglimento del primo mezzo di impugnazione (in ordine al delitto associativo) si ripercuote sulla tenuta del costrutto argomentativo che sorregge l'ordinanza impugnata sul punto delle esigenze cautelari.
Il giudice a quo ha, infatti, ravvisato il periculum libertatis sulla base della concorrente considerazione del ruolo associativo del ricorrente e della presunzione comportata, ai sensi dell'art. 275 c.p.p., comma 3, dal delitto di cui al Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74.
3.3 - Conseguono l'annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata e della ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Napoli 24 gennaio 2011, limitatamente al reato associativo; la liberazione dell'indagato, se non detenuto per altro titolo e i conseguenti provvedimenti esecutivi; l'annullamento della ordinanza impugnata relativamente alle esigenze cautelari ritenute, in ordine ai residui delitti di traffico di stupefacenti, e il rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale ordinario di Napoli. La Cancelleria provvedere agli adempimenti di rito ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, l'ordinanza impugnata nonché la ordinanza 24 gennaio 2011 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, limitatamente al reato associativo; e, per l'effetto, ordina l'immediata liberazione del ricorrente, se non detenuto per altra causa, in relazione al suddetto reato.
Annulla, altresì, l'ordinanza impugnata in ordine alle esigenze cautelari, in relazione ai residui delitti, e rinvia per nuovo esame, sul punto, al Tribunale ordinario di Napoli.
Manda la cancelleria per la comunicazione ai sensi al Procuratore generale in sede ai sensi dell'art. 626 c.p.p..
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2012
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