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Risarcimento del danno conseguente ad un infortunio sportivo

22/10/2004 Risarcimento del danno conseguente ad un infortunio sportivo - lesione dell'integrita' fisica del giocatore ad opera di altropartecipante - responsabilita' va esclusa se, pur in presenza di violazione della regola propria dell'attivita' sportiva specificamente

Risarcimento del danno conseguente ad un infortunio sportivo - lesione dell'integrità fisica del giocatore ad opera di altro partecipante - responsabilità va esclusa se, pur in presenza di violazione della regola propria dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto sia a questa funzionalmente connesso - fattispecie: "braccio di ferro", in cui uno dei contendenti, avendo riportato la frattura scomposta del braccio destro e la paralisi del nervo radiale (Cassazione Sezione III civile Sentenza 22 ottobre 2004, n. 20597 )

Svolgimento del processo

1. Nel corso di una contesa amichevole al "braccio di ferro" tra Remo Txxxx e Roberto Fxxxx, svoltasi a casa del primo nella notte del 23.2.1986, il Txxxx riportò la frattura scomposta del braccio destro e la paralisi del nervo radiale con postumi permanenti (poi valutati nel 10%).

Nel 1988 convenne in giudizio il Fxxxx e, nell'assunto che questi si fosse improvvisamente sollevato dalla sedia spostandosi in avanti e scaricando abnormemente il peso del corpo sul suo braccio così provocandogli la frattura dell'arto, ne chiese la condanna al risarcimento dei danni, indicati in L. 130.000.000.

Il convenuto resistette sostenendo di aver osservato un comportamento assolutamente corretto.

Con sentenza del 1996 l'adito tribunale di Rimini rigettò la domanda e condannò l'attore alle spese.

2. La corte d'appello di Bologna ha respinto l'appello del Txxxx con sentenza n. 889 del 2000, condannandolo alle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la corte territoriale:   a) che non era stato provato che il Fxxxx, come affermato dall'antagonista, si trovasse in stato di ebbrezza quando lanciò la sfida alla prova, spontaneamente raccolta dall'amico;   b) che in una gara domestica non possono trovare applicazione le minuziose regole dell'Associazione italiana braccio di ferro, quali la presenza di tre arbitri, di un tavolo speciale e di cuscinetti di gomma, che nessuno aveva comunque invocato prima del cimento;   c) che andavano invece osservate regole di comune prudenza e che nessuno dei testi aveva confermato la versione dei fatti prospettata dall'attore circa la scorrettezza del comportamento del Fxxxx;   d) che, infine, la sentenza di primo grado era stata correttamente sottoscritta dal solo presidente, che ne era stato anche l'estensore.

3. Avverso detta sentenza ricorre per Cassazione il Txxxx affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria, cui il Fxxxx resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è ammissibile, essendo la procura speciale conferita a margine della seconda pagina dell'atto originale.

2.1. Col primo motivo è dedotta violazione dell'art. 132 c.p.c. per non avere la corte d'appello dichiarato la nullità della sentenza di primo grado in quanto sottoscritta dal solo "presidente estensore", anzichè dal presidente "e" dal giudice estensore, come stabilito dall'ultimo comma della disposizione citata.

2.2. La censura è priva di pregio, essendo ovvio che, in tutti i casi nei quali il presidente sia anche l'estensore (come accade quando egli stesso abbia proceduto all'istruzione ex art. 168 bis c.p.c. ed abbia dunque effettuato la relazione come stabilito dall'art. 275, ultimo comma, c.p.c., ovvero quando, pur non essendo stato il relatore, abbia tuttavia provveduto alla stesura della motivazione ex art. 276, ultimo comma, c.p.c.), la sentenza non può che essere sottoscritta soltanto da lui (sulla legittimità costituzionale della disposizione s'è inoltre espressa la Corte costituzionale con sentenza 4 aprile 1990, n. 179).

3.1. Col terzo motivo - che pare opportuno esaminare prima del secondo - è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi per avere la corte d'appello ritenuto che il Fxxxx avesse accettato la sfida del Txxxx senza alcuna costrizione, mentre avrebbe dovuto concludere, se avesse adeguatamente valutato i rapporti di amicizia fra il Fxxxx ed i testimoni, che lo aveva fatto per mero spirito di cortesia benchè fosse molto stanco.

3.3. La censura è inammissibile per l'assorbente ragione che si risolve in una mera critica dell'apprezzamento delle risultanze probatorie da parte del giudice di merito (tra l'altro su fatti che, quand'anche veri, non appaiono in alcun modo incompatibili con le conclusioni della corte di merito, limitatasi ai rilievi che una sfida può non essere accettata se si è stanchi, che nessuno avrebbe impedito al Txxxx di andare a dormire e che la circostanza era comunque irrilevante).

3.1. Col secondo motivo è denunciata "violazione dell'art. 113 c.p. in ordine al concorso colposo dei partecipanti alla gara di braccio di ferro", assumendosi che era stato provato che la gara si era svolta "sul tavolo della cucina, senza alcuna preventiva organizzazione e senza osservare le regole poste dalla federazione nazionale per questo tipo di sport, la cui colposa violazione comportava la responsabilità a titolo di colpa a carico di entrambi i contendenti".

Sostiene ricorrente che, essendo "stato accertato che ciascuno dei contendenti aveva aggredito l'altrui integrità fisica nel corso di una gara al braccio di ferro espletata per mero gioco" ma da qualificarsi come attività non autorizzata e pericolosa, ciascuno dovesse rispondere delle lesioni riportate dall'altro.

5. La doglianza è infondata.

Va anzitutto escluso che un'amichevole competizione al "braccio di ferro" sia vietata dall'ordinamento per le sue caratteristiche di pericolosità intrinseca, invece notoriamente assenti. Nè è consentito ritenere, per il solo fatto che i praticanti tale attività si sono dati delle regole, che ogni amichevole contesa sia vietata anche tra le mura domestiche se l'osservanza di quelle regole non sia comunque garantita.

E' dunque corretta in diritto l'affermazione della corte d'appello che, in contesti non ufficiali, il parametro valutativo della responsabilità per le lesioni riportate da uno dei contendenti è costituito dalle regole di comune prudenza; regole che il giudice di merito ha ritenuto nella specie rispettate, non essendo stato provato che il Fxxxx avesse tenuto il comportamento scorretto descritto dall'attore (il quale aveva sostenuto che l'antagonista si era alzato dalla sedia, si era spostato in avanti ed aveva scaricato il peso del corpo sul suo braccio).

In materia di risarcimento del danno conseguente ad un infortunio sportivo questa corte, muovendo dal rilievo che la lesione dell'integrità fisica del giocatore ad opera di altro partecipante costituisce un'eventualità contemplata e che un gioco si caratterizza per le sue connotazioni tipiche (oltre che per le sue regole e per il contesto nel quale si svolge), ha ritenuto che il comportamento dell'agente debba essere discriminato in relazione allo stretto collegamento funzionale tra giuoco ed evento lesivo, affermando in particolare che la responsabilità va esclusa se, pur in presenza di violazione della regola propria dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto sia a questa funzionalmente connesso; e chiarendo che il nesso funzionale è escluso dall'impiego di un grado di violenza o di irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l'attività si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano (così Cass., 8 agosto 2002, n. 12012).

Nella specie la frattura, secondo quanto accertato dal c.t.u., fu provocata dall'azione sul braccio di forze muscolari contrapposte, la cui applicazione costituisce ineluttabile caratteristica di quel tipo di contesa sportiva, svoltasi correttamente secondo quanto accertato dai giudici di merito.

La decisione della corte d'appello è pertanto in linea coi principi enunciati da questa corte.

6. Il ricorso va conclusivamente respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 3.100, di cui 3.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2004. Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2004