Contratto di formazione e lavoro - attivita' formativa e modalita' di addestramento
Contratto di formazione e lavoro - attivita' formativa e modalita' di addestramento
Contratto di formazione e lavoro - attività formativa e modalità di addestramento (Corte di Cassazione, Sentenza n. 1006 del 23 gennaio 2003)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 28 aprile 1997, L. D., premesso di avere lavorato alle dipendenze della (omissis), con contratto di formazione e lavoro della durata di 24 mesi, dal 16 novembre 1994 al 16 novembre 1996, data per la quale la società datrice di lavoro gli aveva comunicato la cessazione del rapporto, chiedeva al Pretore di Latina - sezione distaccata di Fondi, in funzione di giudice del lavoro, di dichiarare la conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato e l'illegittimità del recesso, con condanna della società alla reintegra ed al risarcimento danni.
Assumeva che non gli era stato consegnato il progetto di formazione in base al quale era stato stipulato il contratto, né era stata espletata nei suoi confronti alcuna attività di formazione.
Costituitasi la società convenuta, che resisteva alla pretesa attorea, ed espletata prova per testimoni, il Pretore, con sentenza del 22 gennaio 1999, rigettava la domanda.
La decisione pretorile veniva riformata in appello dal Tribunale di Latina, che, con sentenza del 27 settembre 1999, dichiarava la conversione del rapporto e l'illegittimità del recesso, così come richiesto dal lavoratore, condannando la società alla reintegra ed al risarcimento.
I giudici di gravame osservavano che: la mancata consegna del progetto di formazione rilevava, nella specie, non tanto come autonoma causa di invalidità, quanto come circostanza che aveva impedito il controllo sul concreto svolgimento dell'attività formativa, avente ad oggetto l'acquisizione dell'esperienza necessaria per svolgere l'attività di preparatore di commissioni per la spedizione della merce, con inquadramento iniziale al sesto livello e raggiungimento finale del quinto livello; dalla prova testimoniale era emerso che l'inserimento del lavoratore nella posizione cui era preordinata la formazione era stata immediata e non graduale, mentre l'iniziale addestramento gli era stato impartito non dal titolare o dai suoi più diretti collaboratori, come previsto in contratto, bensì da un operaio di pari livello professionale che esercitava le medesime mansioni; l'espletamento del programma formativo si era risolto nel mero richiamo del lavoratore le volte in cui sbagliava, con la spiegazione degli errori commessi, senza alcuna formazione teorica; il D. aveva svolto costantemente lavoro straordinario, mentre il contratto prevedeva un orario di 40 ore a settimana; in definitiva, tutte tali circostanze, ivi compreso il controllo gerarchico ed il richiamo del dipendente nel caso di non perfetta esecuzione della prestazione, erano espressioni della natura subordinata del rapporto e non già dell'espletamento di un'attività di formazione professionale.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la società datrice di lavoro deducendo due motivi di impugnazione, illustrati da memoria depositata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ.
Il lavoratore resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
iL primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 863 del 1984.
Si deduce che i giudici di appello hanno erroneamente escluso l'esistenza della formazione teorica, senza considerare che le modalità di addestramento devono tenere conto della natura e delle caratteristiche dell'attività assegnata, dato che l'obbligo formativo non implica necessariamente 1a predisposizione di corsi teorici separati dallo svolgimento delle mansioni, ben potendo la formazione concretizzarsi in un apprendistato da effettuarsi direttamente sul posto di lavoro a cura degli stessi dipendenti incaricati della direzione e del controllo dell'attività del lavoratore interessato.
Il secondo motivo denuncia mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione.
Si lamenta che il Tribunale abbia trascurato di considerare che, alla stregua delle dichiarazioni dei testi escussi, l'addestramento si era pienamente realizzato attraverso l'espletamento delle mansioni sotto il controllo e la guida del personale già esperto; abbia escluso l'esistenza di una preparazione teorica, pur riconoscendo, contraddittoriamente, che quest'ultima si era identificata con l'espletamento delle mansioni; abbia erroneamente ritenuto impossibile la verifica dell'adempimento dell'obbligo formativo, alla stregua del contratto regolarmente prodotto nel giudizio di primo grado e del modello generale di progetto formativo (via via applicato dall'azienda nei singoli contratti, compreso quello in esame).
I due motivi, da esaminare congiuntamente perché intimamente connessi, non sono fondati.
Nel contratto di formazione e lavoro l'attività formativa, che è compresa nella causa del contratto, è modulabile in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, potendo assumere maggiore o minore rilievo, a seconda che si tratti di lavoro di elevata professionalità o di semplici prestazioni di mera esecuzione, e potendo atteggiarsi con anticipazione della fase teorica rispetto a quella pratica, o viceversa (cfr. Cass. n. 7554 del 1998).
E' necessario, peraltro, in ogni caso, e cioè comunque la formazione venga modulata, che lo svolgimento dell'attività formativa sia adeguata ed effettivamente idonea a raggiungere lo scopo del contratto, che è quello di attuare una sorta di ingresso guidato del giovane nel mondo del lavoro (cfr. Cass. 4632 del 2000); e la valutazione di tale adeguatezza e idoneità è rimessa al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivata (cfr. ex multis Cass. n. 4524 del 2000).
Nella specie, i giudici di merito, pur senza escludere - in conformità agli indicati principi e senza incorrere, dunque, nella dedotta violazione di legge - che la formazione possa avvenire durante lo svolgimento delle mansioni, essendo "difficilmente operabile una netta ed inequivoca distinzione tra l'attività esclusivamente destinata all'acquisto della professionalità ed attività di lavoro in senso stretto" (v. pag. 9 della sentenza impugnata), hanno tuttavia escluso che la datrice di lavoro avesse provato di avere posto in essere una effettiva formazione.
La motivazione che sorregge tale giudizio di fatto, fondata sull'approfondito accertamento delle concrete modalità di svolgimento del rapporto, appare puntuale e del tutto coerente, si da sottrarsi alle censure della ricorrente.
In particolare, avendo constatato, in punto di fatto, che l'addestramento non trascendeva il mero svolgimento delle mansioni tipiche del profilo professionale previsto in contratto, con la supervisione del superiore gerarchico ed il richiamo in caso di errori nella esecuzione della prestazione, il Tribunale ha escluso che tali modalità potessero configurare l'adempimento dell'obbligazione - assunta contrattualmente dalla datrice di lavoro - di impartire la formazione professionale relativa al conseguimento della qualifica prevista.
Riguardo a tale motivazione, d'altra parte, la ricorrente si limita a contrapporre una propria valutazione delle risultanze probatorie acquisite nel corso del giudizio rispetto a quella operata dai giudici di merito, finendo così per censurare inammissibilmente il convincimento in fatto espresso dal giudice a quo.
Né pare contraddittoria, in relazione alla esclusione della esistenza di una preparazione teorica, l'affermazione che "la formazione teorico-pratica si identificava con lo svolgimento delle mansioni", essendosi evidentemente inteso sottolineare, da parte dei giudici di appello, l'insufficienza di una siffatta formazione, alla stregua delle accertate modalità, a configurare un'attività formativa "effettiva", che valesse, cioè, a conseguire lo scopo del contratto.
Non appare di qualche rilievo, infine, che la società avesse prodotto in giudizio un modello generale di progetto formativo, non essendo tale circostanza idonea a dimostrare l'avvenuta consegna del progetto nella specie e, quindi, la verifica del rispetto, nel caso concreto, di un peculiare percorso formativo approvato dalla commissione regionale, così come dedotto dalla società ricorrente, con la conseguenza che la relativa omissione - pur non costituendo un'autonoma causa di invalidità del contratto - è stata correttamente considerata dai giudici di appello, ai fini della valutazione del complessivo comportamento negoziale della datrice di lavoro.
Ne deriva, conclusivamente, che il ricorso va rigettato.
La ricorrente deve essere condannata al rimborso delle spese di giudizio, ai sensi dell'art. 385, primo comma, cod. proc. civ., nella misura indicata in dispositivo e con distrazione in favore del procuratore antistatario.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in euro 10,00, oltre euro tremila per onorari, da distrarsi in favore dell'avvocato P. L. P. dichiaratosi antistatario.
Testo pubblicato a cura della redazione internet del CED della Corte Suprema di Cassazione