Imposte - Notifica atti tributari - La cartella esattoriale
Imposte - Notifica atti tributari - La cartella esattoriale con le rettifiche "scade" dopo quattro anni (Cassazione – Su civili – sentenza 23 settembre-12 novembre 2004, n. 21498)
Svolgimento del processo
1. Paolo Paolini ricorse avverso la cartella di pagamento notificatogli il 5 aprile 1995, per complessive lire 5.731.00, a titolo di Irpef ed Ilor, relative al 1988, deducendo la decadenza dell’amministrazione finanziaria, per non avere proceduto alla liquidazione delle imposte pretese «entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione, ai sensi dell’articolo 36bis del Dpr 600/73 - nella versione vigente ratione temporis» -, termine che assumeva stabilito appunto a pena di decadenza; e, comunque, per non avere proceduto alla iscrizione nei ruoli ed alla notifica «entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è presentata la dichiarazione», a mente dell’articolo 17, come 1, del Dpr 602/73, in relazione all’articolo 43, comma 1, del Dpr 600/73.
La Commissione tributaria di primo grado di Firenze respinse il ricorso, e, con la decisione indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto il gravame del contribuente.
Mentre ha ritenuto rispettato il termine per l’iscrizione a ruolo, con riguardo al richiamato articolo 17, ha, in ordine a quello ex articolo 36bis, testualmente osservato:
«... al di là della questione circa la perentorietà ed ordinatorietà del termine, di cui all’articolo 36bis Dpr 600/73, lo stesso è comunque scaduto».
«Ove il cennato termine avesse natura sostanziale sulla base delle considerazioni svolte dalla Corte di cassazione (Sezione prima, 7088/97) al medesimo occorrerebbe attribuire natura decadenziale». «L’articolo 28 della legge 449/97, definita norma interpretativa, ha però affermato l’ordinatorietà del termine».
«Non va, però, negletta la considerazione circa il sostanziale carattere innovativo piuttosto che interpretativo della disposizione or ora richiamata in quanto collegata con precedenti norme di cui stabilisce la portata, con la conseguenza della sua inapplicabilità ai rapporti pregressi».
«La disposizione ora citata dispiega però i propri effetti in relazione al termine dell’accertamento non certo al suo contenuto». «Ammessa, quindi, la non perentorietà del termine, nei cinque anni si sarebbe dovuto, comunque, notificare apposito avviso».
«Atteso che il ruolo può essere anch’esso di per sé impugnato, questo potrebbe anche assumere la funzione dell’avviso a condizione di averne però le peculiarità sia per quanto attiene alla perentorietà del termine, sia per quel che riguarda una adeguata motivazione al provvedimento, carente nella fattispecie concreta».
«Nell’ipotesi in cui si attribuisca al termine di cui all’articolo 36bis natura processuale, lo stesso potrebbe essere prorogato dal giudice però prima della scadenza ai sensi dell’articolo 154 Cpc».
1.1. Per la cassazione ha proposto ricorso l’amministrazione finanziaria, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli articoli 36bis e 43 del Dpr 600/73, 17 del Dpr 602/73 e 28 della legge 449/97, con connesso vizio di motivazione. Ha rilevato che il termine dell’articolo 36bis citato ha natura meramente ordinatoria, tanto da non precludere il potere di rettifica - entro il termine decadenziale di cui al successivo articolo 43 -, come appare confermato già da Cassazione, Sezione prima, 11235/98, laddove la scadenza fissata nell’articolo 17 del Dpr 602/73 attiene alla sola formazione del ruolo, e non può essere riferita - come ha ritenuto il giudice del merito alla notifica di “apposito avviso” al contribuente.
1.2. Resistendo - con controricorso illustrato da memorie -, il Paolini ha invece osservato che la qualificazione del termine come ordinatorio non è accompagnata, nel citato articolo 28 della legge 449/97, da una disposizione relativa a termini - comunque scaduti, e produttivi di decadenza -, anche se di natura ordinatoria (Cassazione 8976/92; in senso analogo, Cassazione 3340/97, 12640/92; 651/91; 1633/85), dovendosi altresì considerare l’impossibilità di prorogare un termine ordinatorio già scaduto (articolo 154 Cpc). Dal rilievo, poi, che nel controllo “cartolare” la liquidazione avviene mediante iscrizione a ruolo, salvo l’esercizio del potere di rettifica, deriverebbe inevitabilmente che non è dato ipotizzare un termine di scadenza posteriore a quello fissato per l’accertamento, con la conseguenza che, in applicazione del principio affermato da Corte costituzionale 229/99, entro il termine fissato dall’articolo 17 del Dpr 602/73, non è sufficiente l’iscrizione a ruolo (con relativa consegna al concessionario), ma è richiesta la stessa notifica della cartella esattoriale.
1.3. La Sezione tributaria, con ordinanza 2728/03, ha sollecitato l’intervento delle Su, segnalando il contrasto di recente manifestatosi nella giurisprudenza della stessa sezione semplice in ordine alla natura del termine in questione ed agli effetti della norma interpretativa frattanto intervenuta. Difatti, alla enunciazione cristallizzata, secondo cui «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù del disposto dell’articolo 28 della legge 449/97 - applicabile anche ai giudizi in corso, trattandosi di norma interpretativa e, come tale, avente effetto retroattivo - l’articolo 36bis del Dpr 600/73 deve essere inteso nel senso che il termine ivi previsto per la rettifica della dichiarazioni, avendo carattere ordinatorio, non è stabilito a pena di decadenza» (Cassazione 11235/98; 7058, 9841 e 12995/99; 10134/00; 3413 e 7213/01; 2526, 7283 e 9881/02), si è contrapposto il principio enunciato da Cassazione 17507/02.
Secondo quest’ultima, «non ha efficacia retroattiva l’articolo 28 della legge 449/97 - secondo il quale il comma 1 dell’articolo 36bis del Dpr 600/73, nel testo da applicare fino alla data stabilita nell’articolo 16 del D.Lgs 241/97, deve essere interpretato nel senso che il termine in esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non è stabilito a pena di decadenza - atteso che la norma non ha (nonostante qualunque contraria interpretazione) natura interpretativa, e non sussiste alcun elemento per poter attribuire, nella specie, in deroga al principio di cui all’articolo 11 delle preleggi, efficacia retroattiva ad una norma innovativa: deve, pertanto, ritenersi, in primo luogo, che il cit. articolo 28 della legge 449/97 abbia trasformato in ordinatori soltanto i termini ancora pendenti alla data della sua entrata in vigore e non già quelli scaduti, e, in secondo luogo, che la trasformazione del termine da perentorio in ordinatorio (e non meramente acceleratorio) comporti l’applicazione in via analogica della disciplina dettata dall’articolo 154 del Cpc, con l’ulteriore conseguenza - anche in considerazione delle particolari garanzie costituzionali che assistono la posizione del soggetto passivo d’impoSta - che dall’anzidetta trasformazione non deriva la proroga automatica del termine, bensì solo la sua prorogabilità, prima della scadenza e per una durata non superiore al termine originario, con atto del giudice o della Pa».
1.4. Per dirimere l’indicato contrasto, la causa perviene all’esame delle Su.
Motivi della decisione
2. Il ricorso dev’essere disatteso.
3. La riforma delle imposte sui redditi del 1973 non conosceva né il versamento diretto del contribuente né la liquidazione dell’imposta attraverso il controllo (cd. cartolare) degli uffici sulla dichiarazione. Le imposte venivano riscosse mediante ruolo, nel quale andavano iscritte «in tempo utile perché l’ultima o unica rata scada entro dodici mesi dalla fine dell’anno o dell’esercizio cui la dichiarazione si riferisce» (articolo 17 del Dpr 602/73, nella formulazione originaria).
3.1. La legge 576/75 introdusse il versamento diretto dell’Irpef dovuta in base alla dichiarazione (articolo 17) e stabili che l’iscrizione nei ruoli dell’imposta dichiarata e non versata dovesse seguire, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (articolo 16).
3.2. Il Dpr 920/76 introdusse, nel Dpr 600/73, l’articolo 36bis, riguardante la “liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni”, da eseguirsi “sulla scorta dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni stesse e dai relativi allegati” (articolo 2). Contestualmente, modificò (articolo 3) il citato articolo 17 del Dpr 602/73, disponendo che le imposte liquidate in base alla dichiarazione, comprese quelle riscuotibili mediante versamento diretto e non versate, andassero iscritte nei ruoli formati e consegnati all’intendente di finanza entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.
3.3. Il Dpr 506/79 ha introdotto la disciplina che in questa sede interessa. L’articolo 1 ha integrato l’articolo 36bis citato, stabilendo che la liquidazione delle imposte seguisse «entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione» della dichiarazione.
Correlativamente, l’articolo 2 ha nuovamente modificato l’articolo 17 del Dpr 602/73, elevando notevolmente il termine, previsto a pena di decadenza, per l’iscrizione a ruolo delle imposte liquidate in base alle dichiarazioni, ed equiparandolo a quello - del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione - stabilito dall’articolo 43 del Dpr 600/73 (nel testo all’epoca vigente) per la notifica degli avvisi di accertamento.
3.4. Non è inopportuno ricordare - prima ancora che per dovere di completezza, ai fini di un inquadramento storico-sistematico coerente - gli ulteriori sviluppi del quadro normativo. L’articolo 13 del D.Lgs 241/97 ha apportato innovazioni profonde al sistema, con la sostituzione degli articoli 36bis e 36ter del Dpr 600/73: la liquidazione dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione (controllo ed. cartolare) va effettuata «entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo»; quella conseguente al controllo formale propriamente detto va eseguita «entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione».
Mentre entrambe le fasi sono state scisse da quella della riscossione mediante iscrizione a ruolo, si è ampliato il contraddittorio, con obbligo per l’amministrazione di comunicare al contribuente o al sostituto d’imposta, rispettivamente: a) l’esito della liquidazione, «per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali» anche attraverso la comunicazione di “dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione” (articolo 36bis, comma 3, ulteriormente modificato, sotto l’ultimo profilo, dall’articolo 1, comma 1, lettera a) del D.Lgs 32/2001); b) l’esito del controllo formale, «per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente» (articolo 36ter, comma 4, ulteriormente modificato come sopra dall’articolo 1, lettera b), del citato decreto).
D’altro canto, anche l’articolo 17 del Dpr 602/73 è stato sostituito dall’articolo 6 del D.Lgs 46/1999, onde la iscrizione ruolo seguirà, a pena di decadenza: a) entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme dovute ai sensi dell’articolo 36bis del Dpr 600/73; b) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme dovute ai sensi dell’articolo 36ter; e) entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti d’ufficio, a loro volta da notificare, a decorrere dall’1 gennaio 1999, sempre a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ai sensi dell’articolo 43 dello stesso decreto (come modificato dall’articolo 15, come 1, lettera a), del D.Lgs 241/97, salve le successive proroghe, non tutte legate ai più recenti provvedimenti di condono: es., articolo 9 della legge 448/98).
4. Il contrasto giurisprudenziale sottoposto all’esame delle Su attiene al regime introdotto dal citato Dpr 506/79, con liquidazione delle imposte in base alla dichiarazione da effettuarsi «entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione» (articolo 36bis, nella versione vigente ratione temporis), ed iscrizione a ruolo corrispondente da eseguirsi, «a pena di decadenza, entro il termine di cui al primo come dell’articolo 43», vale a dire (sempre secondo la disciplina vigente all’epoca) «fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata».
4.1. Cassazione, Sezione prima, 7088/97 - seguita da Cassazione, Sezione prima, 12442/97 - ha ritenuto il primo termine stabilito a pena di decadenza per sua stessa natura, in quanto inteso a garantire sia lo svolgersi delle attività di controllo secondo i principi del buon andamento e della imparzialità dell’amministrazione, sia gli interessi dei contribuenti; ed ha rilevato come esso riguardasse - in assenza di un formale ed autonomo atto di liquidazione dell’imposta - la stessa iscrizione a ruolo, laddove il secondo termine (quello del comma 1 dell’articolo 17 del Dpr 602/73) andasse limitato alla «riscossione delle imposte nell’ammontare risultante dalla dichiarazione del contribuente, senza che la stessa sia in alcun modo rettificata».
4.2. In tale contesto è intervenuta la norma interpretativa dell’articolo 28, comma 1, della legge 449/97, secondo cui «il comma 1 dell’articolo 36bis del Dpr 600/73, nel testo da applicare sino alla data stabilita dall’articolo 16 del D.Lgs 241/97, deve essere interpretato nel senso che il termine in esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non è stabilito a pena di decadenza».
La disposizione è stata investita da molteplici sospetti di illegittimità, dichiarati tutti infondati da Corte costituzione 229/99, che, premesso lo scarso rilievo della verifica sulla natura effettivamente interpretativa ovvero innovativa con efficacia retroattiva della norma censurata, ha ritenuto un’efficacia siffatta giustificata - sotto il profilo della ragionevolezza, in relazione al principio di affidamento -, in presenza di un obiettivo dubbio ermeneutico sulla natura del termine in questione, manifestatosi nella giurisprudenza di merito e nella dottrina, negando portata dirimente alle «uniche due pronunce della Corte di cassazione intervenute a breve distanza di tempo l’una dall’altra». Ha altresì escluso la fondatezza degli altri dubbi formulati, con riguardo a diversi parametri (articoli 101 ss., 24, 113, 53, 97 Costituzione) sia con la sentenza indicata sia con la successiva ordinanza 117/00.
Particolare rilievo merita la puntualizzazione del giudice delle leggi allorquando, nell’escludere il contrasto con l’articolo 97 Costituzione, ha osservato, in generale, come il principio di buon andamento ed imparzialità della Pa non comporti necessariamente che tutti i termini ad essa imposti per il compimento delle proprie attività debbano avere carattere perentorio, ed ha chiarito, d’altronde, che la qualificazione del termine dell’articolo 36bis siccome ordinatorio «non lascia priva di termine decadenziale l’attività di controllo formale» delle dichiarazioni, trovando comunque applicazione l’articolo 17 del Dpr 602/73.
4.3. La giurisprudenza di legittimità, da Cassazione 11235/98 fino a Cassazione 9881/02 (indicate, con le decisioni intermedie, sub 1.3), uniformandosi ai ricordati criteri, ha sempre ribadito, sia pure con sfumature diverse, l’efficacia retroattiva della definizione quale ordinatorio del termine previsto, per la liquidazione dell’imposta, dall’articolo 36bis del Dpr 600/73, come interpretato dall’articolo 28, comma 1, della legge 449/97.
L’uniformità è stata meditatamente interrotta dalla citata Cassazione, Sezione quinta, 17507/02, attraverso il principio di diritto già riprodotto nella parte espositiva che precede. La sentenza ha rimarcato in particolare che:
- la disposizione del citato articolo 28, attesa la portata innovativa. - con riferimento all’interpretazione prospettata dalla giurisprudenza di legittimità -, ben difficilmente può, in deroga all’articolo 11 delle preleggi, «far rivivere rapporti tributari estinti ormai da anni», onde va intesa nel senso restrittivo di «trasformare in ordinatori i termini ancora in corso e nati come perentori»;
- la trasformazione di un termine in ordinatorio non vale a renderlo irrilevante, tanto più in un ordinamento “di diritto”, che non può lasciare il cittadino “soggetto sine die al potere dell’amministrazione”;
- la tecnica analogica impone il rinvio all’articolo 154 Cpc, secondo cui «la scadenza del termine ordinatorio non privi il suo titolare della legittimazione ad esercitarlo, a condizione che esso sia preventivamente prorogato»;
- anche in materia fiscale sarà possibile individuare il soggetto legittimato ad accordare la proroga, «nell’esercizio dei poteri di vigilanza oggi previsti dall’articolo 5 del D.Lgs 112/99»;
- la trasformazione del termine in ordinatorio può solo comportarne, dunque, la prorogabilità per un periodo di tempo non superiore all’originario termine;
la soluzione offerta dalla Corte costituzionale, limitandosi a sottolineare il termine finale inderogabile per l’iscrizione a ruolo, a mente dell’articolo 17 del Dpr 602/73, non affronta il problema riguardante la rilevanza giuridica dei termini ordinatori.
4.4. La giurisprudenza di questa Corte, successiva all’ordinanza di rimessione alle Su, ha ribadito peraltro l’orientamento già richiamato (Cassazione, Sezione quinta, 11988 e 14164/03). Si è sottolineata la “natura genuinamente interpretativa” del ripetuto articolo 28 della legge 449/97, inteso a chiarire la portata della volontà precettiva; si è, sotto aspetti diversi, negata la possibilità di applicazione analogica dell’articolo 154 Cpc, richiamando il precetto per cui il termine in discussione è stabilito “non” a pena di decadenza, così confermando l’indirizzo formatosi dopo l’intervento interpretativo e relegando la qualifica di ordinatorio del termine, originariamente stabilito, al rango di “meramente acceleratorio”, previsto dalla legge a fini di organizzazione interna dell’amministrazione finanziaria.
5. Ritiene il collegio di non doversi discostare da tale uniforme impostazione, interrotta solo dalla ripetuta Cassazione 17507/02.
5.1. La Corte costituzionale ha già avvertito del carattere non decisivo della verifica circa la natura, interpretativa ovvero innovativa con portata retroattiva, della disposizione dell’articolo 28, concentrando il proprio esame, concluso nel senso della legittimità della norma, sulla ragionevolezza della retroattività - in materia non penale e, quindi, non in violazione dell’articolo 25 Costituzione - e sull’assenza di contrasto con altri valori costituzionalmente protetti. A volere, nondimeno, precisare - in relazione alla premessa maggiore di Cassazione 17507/02 - quella natura, deve confermarsi che essa risulta proprio di interpretazione autentica, con connaturale portata retroattiva.
Costituiscono infatti principi affermati - nella giurisprudenza sia costituzionale sia di legittimità - che, indipendentemente dalla qualificazione espressa della legge, la norma interpretativa può prescindere da un contrasto ermeneutico in atto nella giurisprudenza, rivelandosi giustificata sol che la scelta imposta dalla legge - anche solo per evitare interpretazioni giurisprudenziali divergenti dalla linea politica del legislatore - rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario (cfr., per tutte, Corte costituzione 413/88, 163/91; 402/93, 15 e 311/95, 525/00; Cassazione, Sezione prima, 5822/81, Sezione lavoro, 5552/85, 7182/86, 3702/92, Sezione quinta, 9895/03).
Il carattere interpretativo autentico di una legge dipende, dunque, esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato dalla enunciazione di un apprezzamento interpretativo del significato di un precetto antecedente, cui la norma si ricollega nella formula e nella ratio, e da un momento precettivo, col quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra (Cassazione 9895/03 citata, secondo i criteri già espressi da Corte costituzione 155/90, 454/92, 39 e 424/94, 94/1995).
L’operazione, cm riguardo alla portata retroattiva della legge interpretativa, andrà contenuta nei limiti imposti dai principi costituzionali e di civiltà giuridica (Corte costituzione 525/00 cit.), che, in relazione all’articolo 28 della legge 449/97, il giudice delle leggi (Corte costituzione, sentenza 229/99 e ordinanza 117/00 citate) ha definitivamente ritenuto osservati.
5.2. Da ciò discende che non è dato ipotizzare una “trasformazione” del termine (per giunta, non ancora decorso) da perentorio in ordinatorio, attesa la valenza precettiva ab origine della disposizione interpretativa. E, così, non v’è ragione di ricorso analogico alla disciplina dettata dall’articolo 154 Cpc Ricorso esplicitamente negato dalla citata Cassazione 11988/03, col sottolineare la eterogeneità delle situazioni normative poste a raffronto; e già escluso da Cassazione 7058/99 pure citata, col rilevare, da un lato, come l’articolo 154 Cpc non si riveli applicabile a tutti gli atti processuali (così, non si applica agli atti del giudice o dei suoi ausiliari) e, dall’altro, che esso «non è necessariamente estensibile a settori che non abbiano diretta attinenza con la materia del contenzioso».
La conclusione è che «anche in materia tributaria la decadenza deve essere (ed è) espressamente prevista (v. articoli 43 Dpr 600/73, 17 Dpr 602/73, 57 Dpr 633/72, 76 e 77 Dpr 131/86), sicché, in mancanza di un’esplicita previsione, il termine fissato dalla legge per il compimento di un atto ha efficacia meramente esortativa (cioè costituisce un invito a non indugiare) e l’atto può essere compiuto dall’interessato fino a quando ciò non gli venga precluso dalla sopravvenuta prescrizione del relativo diritto (v., nella specie, articolo 43 Dpr 600/73)» (Cassazione 7058/99 cit., in motivazione).
Peraltro, non essendo concepibile che «il cittadino resti soggetto sine die al potere dell’amministrazione», va individuato il termine - necessariamente di decadenza, in funzione di tutela del contribuente - entro cui circoscrivere l’azione accertatrice dell’amministrazione finanziaria.
Una soluzione soddisfacente può essere - ad avviso del collegio - raggiunta solo coordinando il rilievo di Corte costituzione 229/99 citata, secondo cui, pur dopo l’intervento interpretativo, l’attività di controllo “formale” è rimasta comunque soggetta al termine di decadenza fissato nell’articolo 17 del Dpr 602/73 (v. n. 4.2 che precede), con la puntualizzazione di Cassazione 7088 e 12442/97 - anche se nella diversa ottica della, poi superata, perentorietà del termine del ripetuto articolo 36bis -, secondo cui esso riguarderebbe la sola riscossione nella misura emergente dalla dichiarazione, in assenza di rettifica (supra, n. 4.1).
5.3. Il potere di “liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni”, fissato nell’articolo 1 del citato Dpr 506/79 rivela i suoi peculiari caratteri attraverso la lettura del comma 2. La disposizione, da un lato, lo individua ed articola «ai fini della liquidazione delle imposte, anche in sede di rettifica delle dichiarazioni»; e, dall’altro, espressamente ne circoscrive gli effetti, precisando che esso si esplica “senza pregiudizio dell’azione accertatrice a norma degli articoli 38 e seguenti” del Dpr 600/73. Il potere, così definito nell’articolo 36bis dello stesso decreto, rivela in tal modo la sua natura: in generale, esso è riconducibile in quello di accertamento, rispetto al quale si configura - per il concreto modo di svilupparsi - come un minus, tanto da non pregiudicare la rettifica “sostanziale”; più in particolare, esso può comportare “anche” la rettifica della dichiarazione, attraverso la correzione di errori materiali o di calcolo, l’esclusione (o la riduzione) di scomputi di ritenute, di detrazioni e deduzioni, di crediti d’imposta.
Su tali premesse, non è dato dubitare che la decadenza dell’Amministrazione dal potere di controllo ed. formale (o, forse più esattamente, “cartolare”) sia da ricollegare alla inutile scadenza del termine per l’iscrizione a ruolo, fissato nell’articolo 17, comma 1, del Dpr 602/73, nel testo vigente ratione temporis. La disciplina resta, nondimeno, limitata alla ipotesi di riscossione nella misura risultante dalla stessa dichiarazione.
Quando la liquidazione venga a sovrapporsi alla dichiarazione, mancando una pretesa ulteriore da parte della amministrazione, rettamente la tutela del contribuente può restare affidata alle modalità, fissate a pena di decadenza, di formazione del ruolo, che è l’atto imPugnabile. Quando invece intervenga una rettifica dei risultati della dichiarazione, si è in presenza di un’attività impositiva propriamente detta, per definizione rientrante in quella di accertamento, anche se più semplice ed immediata rispetto alle verifiche “sostanziali” il termine di decadenza del citato articolo 17, per riguardare la formazione del ruolo e non la notifica al contribuente, risulterebbe quindi, nei casi in ultimo considerati, irragionevolmente più ampio di quello previsto - autonomamente - per l’accertamento in rettifica nel comma 1 dell’articolo 43 del Dpr 600/73, nel testo all’epoca vigente. Secondo tale disposizione – si ripete «gli avvisi di accertamento devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione». Entro il medesimo termine dev’essere quindi, a pena di decadenza, notificata la cartella esattoriale, atto impugnabile non solo per vizi propri ma - per la rilevata peculiarità della procedura - anche con riguardo alle presupposte modalità della rettifica in base alla dichiarazione.
La conclusione va sottolineata, in quanto, già presente in Cassazione, Sezione quinta, 2526/02 (riguardante una fattispecie di rettifica cartolare, con notifica intervenuta soltanto nel corso dell’ottavo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione), è stata finora, però, contrastata in linea di principio dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Sezione quinta, 12700 e 16136/01, 9881/02, 7563/03), secondo cui «in tema di riscossione delle imposte sui redditi, alla stregua del combinato disposto degli articoli 17 Dpr 602/73 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla sostituzione operata dal D.Lgs 46/1999) e 43 Dpr 600/73 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta dal D.Lgs 241/97), i ruoli debbono essere formati e trasmessi all’intendente di finanza entro il quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione è stata presentata, senza che, al fine di evitare tale decadenza, il termine quinquennale debba essere rispettato anche per la notifica al contribuente della cartella esattoriale».
5.4. La soluzione prospettata appare coerente con la stessa evoluzione normativa (cfr. supra, n. 3.4).
L’articolo 6 del D.Lgs 46/1999 citato, sostituendo l’articolo 17 del Dpr 602/73, ha fissato - a pena di decadenza - per l’iscrizione a ruolo in ipotesi di controllo cartolare (nonché di controllo formale) un termine sensibilmente più breve rispetto a quello - frattanto ridotto di un anno - per la notifica degli accertamenti in rettifica. D’altronde, l’articolo 13 del D.Lgs 241/97 aveva già fissato, nell’articolo 36bis del Dpr 600/73, le modalità - ulteriormente precisate col D.Lgs 32/2001 - dell’obbligo di comunicazione al contribuente, «quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione»: obbligo che va naturalmente assolto “prima di procedere alla liquidazione” (articolo 6, comma 5, della legge 212/00, sullo lo statuto dei diritti del contribuente).
La vicenda legislativa risulta, così, contrassegnata da una previsione di accelerazione dell’azione amministrativa, che, rivelatasi prematura, ha reso necessario l’intervento interpretativo con la legge 449/1997, per ritornare ad una diversa disciplina delle rettifiche “formali”, più semplici e celeri, per definizione, rispetto a quelle sostanziali. Ne è derivata una normativa che ha condizionato la legittimità delle prime al previo contraddittorio con il contribuente, preordinato ai più brevi termini di iscrizione a ruolo; mentre, in ordine alle rettifiche sostanziali, fermo il termine di decadenza per la notifica al contribuente a mente del comma 1 dell’articolo 43 del Dpr 600/073, A successivo termine per l’iscrizione a ruolo è rimasto riferito alla definitività dell’accertamento.
Tale sviluppo conferma, con riguardo alla disciplina intermedia, che l’autonomo termine fissato per la formazione dei ruoli si applicava - in mancanza di un contraddittorio regolato da appositi termini - ai soli casi di iscrizione a ruolo delle some risultanti dalla dichiarazione, mentre, in ipotesi di rettifica cartolare (o formale), il relativo potere doveva, a pena di decadenza, essere esercitato mediante la notifica dell’atto impugnabile (cartella di pagamento) entro il termine stabilito, in via generale, per l’accertamento in rettifica, dal come 1 del ripetuto articolo 43, nel testo all’epoca vigente.
5.5. In attuazione di questo principio, la sentenza impugnata va solo corretta, rivelandosi il suo dispositivo conforme a diritto.
Come risulta invero dal provvedimento ed è incontestato fra le parti, la rettifica ha riguardato l’Irpef e l’Ilor relative al 1988, onde, rispetto all’anno in cui la dichiarazione è stata presentata (1989), il quinquennio stabilito, a pena di decadenza, per la notifica degli avvisi di accertamento è venuto a scadere il 31 dicembre 1994: laddove la cartella di pagamento risulta notificata (cfr. l’ordinanza di rimessione) soltanto il 5 aprile 1995.
Al rigetto del ricorso consegue. con riguardo alla natura delle questioni esaminate, la compensazione delle spese della presente fase di giudizio.
PQM
Rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.