protezione proprietà, equo processo e ricorso effettivo - Sentenza 3 marzo 2015 relativa al ricorso n. 56449/07
Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 3 marzo 2015 - 56449/07 - Alessandro Scagliarini e altri c. Italia
dal sito web © Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo funzionario linguistico. Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC.
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
QUARTA SEZIONE
DECISIONE
Ricorso n. 56449/07 Alessandro Scagliarini e altri contro l'Italia
La Corte europea dei diritti dell'uomo (quarta sezione) riunita il 3 marzo 2015 in una Camera composta da:
Päivi Hirvelä, presidente,
Guido Raimondi,
George Nicolaou,
Ledi Bianku,
Nona Tsotsoria,
Paul Mahoney,
Krzysztof Wojtyczek, giudici,
e da Fatos Araci, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato, presentato l'11 dicembre 2007,
Dopo aver deliberato, rende la seguente decisione:
IN FATTO
L'elenco dei ricorrenti figura in allegato. Essi sono tutti rappresentati dall'avvocato Mazza, del foro di Bologna.
A. Le circostanze del caso di specie
I fatti di causa, come esposti dai ricorrenti, si possono riassumere come segue.
I ricorrenti sono comproprietari di un terreno di circa 37.000 metri quadrati situato a Bologna. Tale terreno fu acquistato negli anni 1930 dalla persona che, in seguito, trasmise i suoi diritti ai ricorrenti. Questi ultimi espongono che, all'epoca dell'acquisto, il terreno in questione era edificabile.
Non risulta dal fascicolo che gli interessati abbiano elaborato un progetto per edificare sul terreno in causa o che abbiano chiesto, in un dato momento, un permesso di costruire. Peraltro, non hanno dimostrato di avere fatto un uso particolare del terreno.
Con il piano urbanistico generale del 1975, il Comune di Bologna sottopose il terreno a divieto di costruire in quanto quest'ultimo era stato destinato a verde pubblico attrezzato. Era possibile costruire dei «chioschi» di 33 metri quadrati o, con l'autorizzazione del Comune, effettuare dei lavori di manutenzione o di adeguamento delle costruzioni già esistenti e a servizio dell'interesse collettivo. I ricorrenti espongono che, nel loro caso, questa possibilità era esclusa, mancando costruzioni già esistenti sul terreno.
Il nuovo piano urbanistico del Comune di Bologna del 1985 confermò la destinazione d'uso del terreno a verde pubblico attrezzato.
Il 13 giugno 2007 i proprietari del terreno presentarono al sindaco di Bologna una richiesta di indennizzo in considerazione del divieto di costruire.
Il 18 giugno 2007 l'amministrazione rispose che, secondo la giurisprudenza del tribunale amministrativo regionale, il divieto di costruire in causa costituiva un vincolo conformativo di durata indeterminata. Nel caso di specie non si trattava di una misura volta all'espropriazione del terreno e non era possibile ottenere un indennizzo.
Il 10 settembre 2008 il nuovo piano strutturale comunale di Bologna entrò in vigore e modificò la destinazione d'uso del terreno classificandolo ambito agricolo di rilievo paesaggistico. Questa destinazione urbanistica non permette nuove edificazioni (articolo 30 delle disposizioni del piano).
MOTIVI DI RICORSO
Invocando l'articolo 1 del Protocollo n.1, i ricorrenti lamentano il divieto di costruire imposto al loro terreno.
Invocando gli articoli 6 e 13 della Convenzione, i ricorrenti denunciano l'assenza di ricorsi che permettano loro di ottenere un indennizzo.
IN DIRITTO
I ricorrenti lamentano che il divieto di costruire imposto al loro terreno dal 1979, di durata indeterminata e senza indennizzo, ha reso nullo il loro diritto di proprietà. Essi deducono la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, così formulato:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
La Corte nota innanzitutto che gli interessati non hanno adito il tribunale amministrativo per contestare la legalità dei divieti riguardanti il loro terreno. Dal momento che, tuttavia, i ricorrenti non lamentano l'illegalità delle misure in questione in quanto tali ma denunciano unicamente l'impossibilità di ottenere un indennizzo come contropartita dei divieti di costruire, la Corte ritiene che al riguardo non si ponga alcun problema di esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi dell'articolo 35 § 1 della Convenzione.
La Corte rammenta che i divieti imposti dai piani regolatori costituiscono una ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni. Tale ingerenza rientra nella regolamentazione dell'uso dei beni, ai sensi del secondo paragrafo dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (si vedano, mutatis mutandis, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 64, serie A n. 52; Casa Missionaria per le Missioni estere di Steyl c. Italia (dec.), n. 75248/01, 13 maggio 2004; Galtieri c. Italia (dec.), n. 72864/01, 24 gennaio 2006; Perinelli e altri c. Italia (dec.), n. 7718/03, 26 giugno 2007; Campanile c. Italia (dec.), n. 32635/05, 15 gennaio 2013).
La Corte rileva che la destinazione del terreno dei ricorrenti a verde pubblico attrezzato, e successivamente ad ambito agricolo di rilievo paesaggistico, aveva una base legale nel piano urbanistico. Lo scopo delle restrizioni imposte ai ricorrenti era quello di preservare la natura e l'ambiente, fatto che, per la Corte, risponde a un imperativo degli enti locali e rientra nell'interesse generale (Campanile, sopra citata).
Resta da stabilire se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell'interesse generale e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo.
La Corte nota che il divieto che ha interessato il terreno in causa dal 1975 è stato quasi assoluto. Tuttavia, dagli atti non risulta che nel corso del periodo precedente all'adozione del piano urbanistico del 1975 gli interessati abbiano manifestato la loro intenzione di costruire e abbiano avviato delle procedure amministrative volte ad ottenere il permesso di costruire (Perinelli e altri, sopra citata).
Inoltre, gli interessati non hanno mostrato che vi sia stata modificazione dell'uso del terreno conseguente alla destinazione del bene a verde pubblico attrezzato e ad ambito agricolo di rilievo paesaggistico (Campanile, sopra citata, e Galtieri, sopra citata).
È opportuno ricordare che nell'ambito della pianificazione territoriale, la modifica o il cambiamento della regolamentazione sono solitamente ammessi e praticati. In effetti, se i titolari di diritti di credito pecuniari possono, in linea generale, avvalersi di diritti stabili e intangibili, lo stesso non può dirsi in materia di urbanistica o di pianificazione territoriale, settori che riguardano diritti di natura diversa e che sono fondamentalmente in evoluzione (Gorraiz Lizarraga e altri c. Spagna, n. 62543/00, § 70, aprile 2004, Galtieri, sopra citata, Campanile, sopra citata). Peraltro, in un ambito così complesso e difficile come quello della pianificazione urbana, gli Stati contraenti godono di un ampio margine di apprezzamento nel condurre la loro politica urbanistica (Terazzi S.r.l. c. Italia, n. 27265/95, § 85, 17 ottobre 2002; Elia S.r.l. c. Italia, n. 37710/97, § 77, CEDU 2001-IX; e Saliba c. Malta, n. 4251/02, § 45, 8 novembre 2005). In assenza di una decisione manifestamente arbitraria o irragionevole, la Corte non può sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali per quanto riguarda la scelta dei mezzi più idonei per ottenere, a livello nazionale, i risultati perseguiti da tale politica.
È vero che la classificazione del terreno in questione come zona destinata a verde pubblico attrezzato e poi ad ambito agricolo di rilievo paesaggistico non ha conferito ai ricorrenti un diritto alla compensazione. Tuttavia la Corte ritiene che quando viene messa in discussione una misura che regolamenta l'uso dei beni, l'assenza di indennizzo sia uno dei fattori da prendere in considerazione per stabilire se sia stato rispettato un giusto equilibrio, ma tale assenza non può, da sola, costituire una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 (Galtieri, Campanile, decisioni sopra citate).
Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte non può concludere che l'ingerenza controversa abbia compromesso il giusto equilibrio da mantenere, in materia di regolamentazione dell'uso dei beni, tra l'interesse pubblico e interesse privato.
Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.
I ricorrenti lamentano inoltre di non disporre di un ricorso che permetta loro di ottenere un indennizzo a titolo delle misure imposte al loro terreno. Essi invocano gli articoli 6 e 13 della Convenzione.
La Corte ritiene che nel caso di specie, questo motivo di ricorso si fonda con il motivo principale relativo all'articolo 1 del Protocollo n. 1. Vista la conclusione tratta in merito al motivo relativo al diritto al rispetto dei beni, la Corte ritiene che anche questa parte del ricorso debba essere rigettata in quanto manifestamente infondata in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.
Per questi motivi, la Corte, a maggioranza,
Dichiara il ricorso irricevibile.
Fatta in francese poi comunicata per iscritto il 26 marzo 2015.
Fatos Araci
Cancelliere aggiunto
Päivi Hirvelä
Presidente