comunione dei diritti reali - comproprietà indivisa - scioglimento - estinzione dei debiti comuni -
Incremento della quota del "solvens" ex art. 1115, terzo comma, cod. civ. - Condizioni - Fondamento.Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 20841 del 11/09/2013
massima|green
Cassazione Civile Sez. 2, Sentenza n. 20841 del 11/09/2013
In tema di scioglimento della comunione, il meccanismo di ricalcolo delle quote ai sensi del terzo comma dell'art. 1115 cod. civ. - per cui la quota del partecipante si incrementa in misura corrispondente al rimborso dovutogli, ove abbia adempiuto obbligazioni contratte in solido per la cosa comune - opera al momento della divisione, a condizione che non siano ancora estinte le obbligazioni in solido dei comproprietari nei confronti di terzi, contratte per la cosa comune, scadute o scadenti entro l'anno dalla domanda di divisione, giacché la norma che prevede l'incremento di valore si correla al secondo comma dello stesso art. 1115, per cui il prezzo di vendita, e comunque il valore della cosa da assegnare, viene diminuito dell'importo necessario all'estinzione delle obbligazioni e il valore recuperato per effetto dell'estinzione dell'obbligazione viene riaccreditato al condividente che ha pagato sotto forma di incremento del valore della quota.
integrale|orange
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 18/12/1976 Aldo Ca...... e Ar..... Alda convenivano in giudizio Ta...... Maria e Na...... Maria ed esponevano di avere acquistato dagli stessi convenuti in data 9/7/1968 la metà indivisa di due lotti di terreno edificabile sul quale avevano costruito un edificio ad uso albergo, bar e ristorante con locali adiacenti con prevalente apporto economico di essi attori;
l'albergo, dal 1971 era stato locato a terzi con suddivisione del ricavato; sull'area prospiciente avevano impiantato una stazione di rifornimento di carburante gestita dagli stessi convenuti e senza pagamento, da parte di questi, di alcun corrispettivo. Ciò premesso chiedevano procedersi alla divisione dei beni e al rendiconto.
I convenuti contestavano le spese in quanto non documentalmente provate, chiedevano, a loro volta un rendiconto e chiedevano, in sede di precisazione delle conclusioni, l'assegnazione dell'intero compendio con il conguaglio di cui alle consulenze tecniche espletate.
Con sentenza non definitiva del 21/9/1994 il Tribunale di Bologna condannava i convenuti a pagare agli attori la somma di lire 34.379.200 oltre accessori; rigettava l'eccezione di inammissibilità della domanda di assegnazione e rimetteva la causa sul ruolo per l'identificazione catastale degli immobili e per la loro valutazione. Avverso la sentenza era proposto appello dai successori a titolo particolare degli originari attori (per acquisto del compendio immobiliare dai coniugi Ca...... in data 26/11/1993) e dagli eredi di questi ultimi in proprio i quali censuravano:
- l'omessa pronuncia sulle spese in quanto il primo giudice aveva rimesso la loro liquidazione al definitivo;
- la mancata considerazione di maggiori corrispettivi dovuti per l'uso della stazione di servizio;
- l'insufficiente quantificazione del maggior danno sulla somma capitale, calcolato nella misura del 5%, ritenuta insufficiente rispetto alla svalutazione nel frattempo intervenuta. Proponevano appello incidentale gli originari convenuti lamentando l'eccessiva valutazione del corrispettivo dovuto per l'uso esclusivo della stazione di servizio. La Corte di Appello di Bologna con sentenza in data 11/12/1997 riformava la sentenza non definitiva limitatamente al maggior danno per la mora debendi riconoscendo dovuta la rivalutazione secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo sulla somma capitale a far tempo dalle singole scadenze fino al saldo; rigettava tutte le altre domande.
La sentenza di appello sul quantum debeatur diveniva definitiva a seguito del rigetto, con sentenza di questa Corte in data 11/4/2001, del ricorso per Cassazione, proposto dai soli aventi causa degli originari attori, che sono pure gli odierni ricorrenti principali. Il giudizio proseguiva per lo scioglimento del patrimonio comune e il Tribunale di Bologna, con sentenza del 7/10/2003, affermava che i Ta...... e Na...... erano comproprietari al 50% del compendio immobiliare e per il 50% gli odierni ricorrenti principali e rigettava le altre domande compensando le spese.
Na...... Maria e Ta...... Giampaola in proprio e quali eredi di Ta...... Mario proponevano appello lamentando che il Tribunale non aveva pronunciato sulla domanda di assegnazione da essi proposta e non aveva pronunciato sulla richiesta di cancellazione dell'ipoteca iscritta a garanzia del credito derivante dalla sentenza non definitiva, integralmente pagato.
Le controparti proponevano appello incidentale per ottenere l'assegnazione dell'intero compendio immobiliare, per l'accertamento di una diversa e maggiore percentuale di proprietà e per la riforma della pronuncia sulle spese processuali del primo grado, a loro dire ingiustamente compensate; instavano per il rinnovo della CTU sulla stima del compendio. La Corte di Appello di Bologna con sentenza del 19/9/2006 in parziale accoglimento dell'appello principale assegnava l'intero compendio immobiliare a Na...... Maria e Ta...... Giampaola, rigettava la domanda di cancellazione dell'ipoteca giudiziale, rigettava l'appello incidentale e compensava le spese. La Corte territoriale rilevava, per quanto ancora interessa in relazione ai motivi delle impugnazioni:
- che ogni questione relativa alla ripartizione delle quote di proprietà era coperta da giudicato dalla sentenza non definitiva che aveva stabilito i rispettivi crediti e debiti sulla base del 50% e che una diversa valutazione delle quote, comporterebbe una violazione del giudicato;
- che l'aumento dell'indice di edificabilità, consentita dalla variante al PRG, nella specie non influiva sulla valutazione dell'immobile tenuto conto degli accertamenti del CTU secondo i quali un ampliamento della costruzione non era economicamente conveniente, non potendosi, inoltre valutare un bene alla luce della previsione di futuri e incerti lavori;
- che la circostanza che l'albergo non fosse più locato a terzi non influiva sulla valutazione commerciale, secondo quanto accertato dal CTU;
- che, premesso che entrambi i condividenti avevano diritto alla stessa quota, sussistevano plurime ragioni per le quali assegnare il bene ai Na...... e Ta...... piuttosto che alle controparti, ravvisate nella circostanza che essi per primi avevano chiesto l'assegnazione e nel fatto che essi avevano acquistato per primi, nel 1968 l'intero complesso immobiliare anche risedendovi, mentre le controparti lo avevano acquistato dai precedenti proprietari solo in corso di causa (il 26/11/1993);
- che non v'era motivo di riformare la decisione del primo grado quanto alla compensazione delle spese processuali in quanto parte attrice in primo grado non aveva chiesto l'assegnazione dell'intero, ma procedersi alla divisione secondo quote maggiori del 50%, domanda che non aveva trovato accoglimento;
- che la domanda di cancellazione dell'ipoteca giudiziale di Na...... Maria e Ta...... Giampaola non poteva essere accolta perché l'ordine di cancellazione dell'ipoteca giudiziale può essere emesso ai sensi dell'art. 2668 c.c., solo quando la domanda sia stata rigettata o quando la causa sia estinta, mentre gli appellanti avevano chiesto la cancellazione solo sul presupposto che il credito, per la cui tutela era stata effettuata la trascrizione, fosse stato estinto, estinzione peraltro contestata dagli appellanti. Nagrippi Luigi Francesco, Ferri Silvio, Ca.....i Francesco e Donati Carla propongono ricorso affidato a 4 motivi e depositano memoria con la quale, tra l'altro, rinunciano al primo motivo di ricorso; con la memoria si costituisce Donati Carla, rappresentata da Setti Alberto quale procuratore generale, quale erede di Ca.....i Francesco nel frattempo deceduto Resistono con controricorso Na...... Maria e Ta...... Gianpaola che propongono ricorso incidentale affidato ad un unico motivo; la Ta...... in proprio e quale erede della madre Na...... Teresa deposita memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve disporsi la riunione, ex art. 335 c.p.c., del ricorso incidentale e di quello incidentale.
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione in relazione all'attribuzione dell'immobile non comodamente divisibile.
I ricorrenti sostengono che la motivazione per la quale la Corte di Appello avrebbe ritenuto di assegnare, in sede di divisione l'intero compendio immobiliare ai comproprietari Ta...... e Na...... sarebbe insufficientemente motivata in quanto non rispondente all'interesse dei condividenti e fondato su elementi che non troverebbero riscontro negli atti processuali. Con la memoria ex art. 378 c.p.c., i difensori, dei ricorrenti, a ciò autorizzati con la procura speciale allegata alla memoria, hanno rinunciato al primo motivo di ricorso e la rinuncia è stata accettata dalla Ta...... con la memoria a sua volta depositata e anche dalla stessa sottoscritta.
Il primo motivo deve, quindi, essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione in relazione alla valutazione dell'immobile e alla richiesta di rinnovazione della CTU e sostengono:
- che la stima del compendio era stata calcolata sulla base di una CTU di 8 anni prima e aggiornata solo con la rivalutazione monetaria, inidonea a rendere attuale il valore del bene tenuto conto che il valore degli immobili si sarebbe rivalutato, nel periodo di riferimento, secondo i ricorrenti, del 30%;
- che sarebbe stata omessa la motivazione sulla richiesta di rinnovazione della CTU a seguito dell'approvazione della variante al PRG del 2000, intervenuta dopo la CTU, che avrebbe ampliato le possibilità edificatorie e dato la possibilità di ampliare la ricettività della struttura e anche di modificare la destinazione trasformandola in residenziale.
2.1.1 Nella prima parte del motivo i ricorrenti censurano per vizio di motivazione la sentenza impugnata per non avere adeguatamente aggiornato la stima del compendio immobiliare effettuata alcuni anni prima e sostengono che la rivalutazione, effettuata secondo l'indice di rivalutazione monetaria sarebbe insufficiente allo scopo. La censura è infondata.
La Corte di Appello, nel motivare, ha preso in considerazione il criterio tendenziale per la stima dei beni da dividere secondo il quale gli immobili normalmente si rivalutano con un ritmo più elevato rispetto alla svalutazione monetaria, ma, sulla base della consulenza di ufficio ha ritenuto che questo criterio non fosse applicabile nel caso specifico e con riferimento al periodo temporale in considerazione per la "situazione di stallo del mercato immobiliare" (pag. 16 della sentenza) pur dando atto (nella sua sentenza decisa il 14/10/2005) che la valutazione del CTU risaliva al 15 Settembre del 1998 (sempre a pagina 16 della sentenza), ossia a sette anni prima.
Da questa motivazione si possono trarre due conclusioni:
- che, differentemente da quanto sostenuto dai ricorrenti nel loro ricorso principale, la Corte di Appello non ha deciso equivocando sulla data della stima;
- che la Corte di Appello ha ritenuto che non vi fossero elementi per ritenere che la situazione di difficoltà del mercato immobiliare avesse subito mutamenti nel tempo successivo.
Orbene non si può negare che questa sia una motivazione di merito del giudice territoriale al quale non risultano sottoposti contrastanti elementi istruttori da valutare nella appropriata sede di merito; neppure in questa sede di legittimità sono opposte specifiche contestazioni se non un generico riferimento ad un fatto notorio che dovrebbe risultare da astratte statistiche nazionali (comunque non riferite all'ambito territoriale di ubicazione dell'immobile) e agli effetti del passaggio dalla lira all'Euro. In altri termini la sentenza impugnata, sotto questo profilo, non contrasta con principi già affermati da questa Corte secondo i quali per la possibile stasi del mercato e del conseguente deprezzamento del bene, la parte che solleciti una rivalutazione degli immobili per effetto del tempo trascorso dall'epoca della stima deve allegare ragioni di significativo mutamento del valore degli stessi intervenute medio tempore, non essendo sufficiente il mero riferimento al lasso temporale intercorso (Cass. 6/2/2009 n. 3029;
Cass. 21/10/2010 n. 21632); d'altra parte la stima di cui alla CTU depositata il 2/3/2011 in altro procedimento, alla quale fanno cenno gli stessi ricorrenti nella loro memoria, evidenzia un valore (Euro 1.217.925,00) non così dissonante rispetto alla valutazione della Corte di appello con la sentenza del 2005 (valore rivalutato a tale data) risalente al 2005, di Euro 961.616.000.
2.1.2 Nella seconda parte del motivo si censura, sempre per vizio di motivazione, la sentenza impugnata per non avere accolto la richiesta di rinnovazione della CTU, formulata per aggiornare il valore dell'immobile in considerazione della documentata approvazione, in epoca successiva alla stima (nel 2000) della variante al PRG che consentiva di aumentare l'indice di edificabilità consentendo di intervenire sull'immobile in modo tale da poterlo trasformare e ampliare. Anche questa censura è infondata.
La Corte ha considerato anche la variante al P.R.G. approvato nel 2002 e quindi successivamente alla consulenza (v. il riferimento a pagina 14 della sentenza); prendendo in specifica considerazione la variante, ha motivato il rigetto della richiesta di rinnovazione della CTU osservando che l'aumento dell'indice di edificabilità non incide sulla costruzione in quanto, secondo quanto accertato dal CTU, non appare economicamente conveniente un suo ampliamento. In altri termini, ha adeguatamente motivato sul diniego di rinnovo della CTU valutando antieconomico un suo ampliamento, anche considerando il nuovo PRG e non risulta che al giudice del merito siano state formulate specifiche censure sul giudizio di antieconomicità. Gli ulteriori argomenti che attengono alla mancata considerazione, ai fini della stima, della possibilità del mutamento di destinazione, da alberghiera a residenziale, non risultano trattati davanti al giudice di appello in funzione della richiesta di aggiornamento e comunque, attesa la loro assoluta genericità, non sono neppure rilevanti.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 1115 c.c., in relazione alla ripartizione di quote di comproprietà e sostengono:
- che sulla domanda di diversa ripartizione ex art. 1115 c.c., delle quote di rispettiva proprietà non si era pronunciato il Tribunale con sentenza non definitiva, ma aveva semplicemente accolto la richiesta di rendiconto e aveva condannato i convenuti al pagamento delle somme a debito per proseguire la procedura di divisione;
- che solo al momento della divisione occorre verificare, dopo il ricalcolo delle quote dei comproprietari, se debba o meno operare il meccanismo del ricalcolo di cui all'art. 1115 c.c.;
- che la valutazione delle quote al 50% non era parte delle premesse logiche delle quote di comproprietà della sentenza non definitiva;
- che il giudice ha suddiviso al 50% crediti e debiti nella presunzione che al momento della divisione sarebbero stati regolati i conti e stabilire i rispettivi crediti e debiti non significa decidere sulle quote di comproprietà;
- che la stessa sentenza di appello da atto dell'esistenza di un debito residuo;
- che il pagamento della somma di lire 307.178.698, avvenuto il 7/4/1999 non era integralmente satisfattivo residuando un credito di lire 20.178.520 che scaturiva dalla sentenza non definitiva del 1994 come modificata dalla Corte di Appello con la sentenza del 1997, oltre spese di cancellazione e di registrazione, oltre interessi. Formulando il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., i ricorrenti chiedono se il passaggio in giudicato di una sentenza riguardante il rendiconto delle spese contratte per la cosa comune implichi o meno l'impossibilità di vagliare una domanda ex art. 1115 c.c., per il fatto che il suo eventuale accoglimento comporterebbe una diversa ripartizione delle quote di comproprietà rispetto a quella posta a base della rendicontazione per calcolare debiti e crediti. 3.1 La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza oggi impugnata, ha ritenuto che il giudice di primo grado aveva l'obbligo, non adempiuto, di pronunciarsi sulla domanda di Na...... e Ta...... di assegnazione dell'intero compendio immobiliare e, pertanto, non costituendo l'omessa pronuncia motivo di regressione al primo grado, ha emesso la pronuncia di assegnazione che già doveva essere emessa nel primo grado.
Nessun altro adempimento era necessario.
Gli appellati avevano chiesto il concorso nella divisione, per maggior quota, se di ragione e di legge in corrispondenza dell'entità dei loro diritti e dei loro crediti verso gli altri condividenti con la conseguente espansione della loro quota, con riserva di migliore precisazione in prosieguo.
Non risulta che siano mai stati precisati, ma neppure semplicemente indicati i crediti derivanti dall'estinzione di obbligazioni solidali contratte per la cosa comune e scadute o scadenti entro l'anno dalla domanda di divisione.
In quella sede il giudice, dichiarando di pronunciare una sentenza definitiva, aveva stabilito che le quote di comproprietà erano del 50% e che i debiti e i crediti si dividevano al 50% e, quindi, aveva escluso che Ca...... e Ar..... potessero vantare una maggiore quota di proprietà.
Il giudice di appello ha ritenuto:
- che fosse passata in giudicato la statuizione con la quale le quote di proprietà si dovevano ripartire al 50% e, decidendo sull'assegnazione dell'intero agli appellanti, odierni controricorrenti (con decisione ora passata in giudicato in conseguenza della rinuncia al relativo motivo) ha condannato gli assegnatari a pagare il 50% del valore di stima.
La decisione non merita censura.
È indubitabile (e neppure contestato) che la quota di comproprietà, fino al momento della divisione fosse del 50% per ciascuna delle parti comproprietarie e, in tal senso la sentenza della Corte di Appello che prende atto della comproprietà nella misura del 50% per ciascuna parte è corretta.
Solo al momento della divisione opera il meccanismo di ricalcolo delle quote ai sensi dell'art. 1115 c.c., u.c., per il quale la quota del partecipante, si incrementa in misura corrispondente al rimborso dovutogli, ove abbia adempiuto obbligazioni contratte in solido per la cosa comune; ma perché questo meccanismo possa operare è necessario che non siano ancora estinte le obbligazioni in solido dei comproprietari nei confronti di terzi, contratte per la cosa comune, scadute o scadenti entro l'anno dalla domanda di divisione; la norma che prevede l'incremento di valore si correla, infatti, allo stesso art. 1115 c.c., comma 2, per il quale il prezzo di vendita e comunque il valore della cosa da assegnare viene diminuito dell'importo necessario all'estinzione delle obbligazioni; il valore così recuperato per effetto dell'estinzione dell'obbligazione viene riaccreditato, al condividente che ha pagato sotto forma di incremento del valore della quota.
Risulta infine, dalla sentenza oggi impugnata, che gli odierni ricorrenti avevano sostenuto di avere già pagato la somma di lire 307.178.698 (v. le conclusioni degli appellanti a pagina 5 della sentenza) che asserivano essere integralmente satisfattiva, gli appellanti incidentali non contestavano gli intervenuti pagamenti (e anzi espressamente li ammettono nel ricorso: v. pag 30 del ricorso e pag. 4 e s. della loro memoria), ma contestavano e contestano che il pagamento sia stato integralmente satisfattivo e la Corte di appello sul punto non ha ne' affermato ne' negato che il pagamento sia stato integralmente satisfattivo, ma ha negato la cancellazione dell'ipoteca iscritta a garanzia del debito sul rilievo che era contestata l'integrale estinzione del debito. L'affermazione del giudice di Appello in punto giudicato sulle quote di spettanza doveva intendersi riferita alle quote di spettanza al momento di introduzione del giudizio di divisione, in quanto non modificate successivamente per obbligazioni solidali verso terzi ex art. 1115 c.c., tenuto contorna dalla sentenza non definitiva, ne' dalla sentenza di appello, ne' dal motivo di ricorso risulta prova o almeno specifica indicazione di obbligazioni solidali riconducibili a quelle considerate dall'art. 1115 c.c.. Tanto premesso e considerato deve concludersi per la conferma della sentenza impugnata e per il rigetto del motivo di ricorso e pertanto nessuna pronuncia sull'incremento di valore poteva essere emessa.
I crediti considerati dalla Corte di Appello erano quelli relativi ai crediti maturati dagli attori nei confronti dei convenuti a titolo di gestione della cosa comune e per utili di attività da loro svolta (v. pag. 9 della sentenza di appello), sicuramente non qualificabili come crediti per la cosa comune.
Gli odierni ricorrenti non specificano neppure in ricorso quali fossero, al momento della divisione, le obbligazioni in solido dei comproprietari nei confronti di terzi, contratte per la cosa comune, scadute o scadenti entro l'anno dalla domanda di divisione pagate dal partecipante e per le quali lo stesso non aveva ancora ottenuto il rimborso.
Il motivo è invece proposto sul presupposto del tutto infondato che i debiti per i quali è dovuto l'incremento della quota siano tutti i debiti del comproprietario nei confronti dell'altro comproprietario e non solo quelli di cui all'art. 1115 c.c., comma 1; sotto questo profilo il motivo è inammissibile perché introduce una questione estranea all'ambito di applicazione della norma che si assume violata.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione quanto alla mancata riforma della sentenza definitiva del primo grado che aveva disposto la compensazione delle spese, riforma che era stata richiesta con motivo di appello incidentale.
I ricorrenti sostengono:
- che la domanda ex art. 1115 c.c., fu proposta, nel primo grado, con una formula molto ampia e diretta, soprattutto ad una corretta valutazione della quota, senza escludere una divisione paritaria e quindi non si potrebbe sostenere che non era stata accolta la loro domanda;
- che il processo aveva avuto una lunghissima durata perché i convenuti si erano opposti all'accertamento del credito degli attori con argomenti, a loro dire, pretestuosi.
4.1 Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha ravvisato la soccombenza degli attori in primo grado in relazione al mancato accoglimento della domanda di assegnazione di una quota maggiore di comproprietà maggiore del 50%. La domanda di attribuzione di una maggiore quota di comproprietà era stata proposta nel primo grado e la domanda non ha trovato accoglimento, con ciò giustificandosi la compensazione per la soccombenza degli attori su tale domanda all'esito finale del giudizio.
Per completezza di motivazione e con riferimento alla asserita pretestuosità della difesa delle controparti in merito ai crediti reclamati dagli attori, si osserva che la censura è infondata in quanto gli attori avevano proposto la domanda di determinazione dei conguagli a credito avanzando pretese per importi superiori a quelli che sono stati accertati in giudizio; le consulenze erano state espletate nel comune interesse per stabilire i rispettivi debiti e crediti e per la stima del compendio per il giudizio di divisione. 5. Con il primo motivo del ricorso incidentale i ricorrenti incidentali deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 2688 c.c. in relazione alla cancellazione dell'ipoteca giudiziale, regolata, invece dall'art. 2878 c.c., n. 3, e art. 2884 c.c.. I ricorrenti incidentali sostengono che la Corte di Appello, nel rigettare la domanda di cancellazione dell'ipoteca, ha applicato alla fattispecie l'art. 2688 c.c. che disciplina invece la cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali sul presupposto che la domanda sia stata respinta o che il giudizio si sia estinto, mentre dovevano essere applicati l'art. 2884 c.c., e art. 2878 c.c., n. 3, perché non era stata chiesta la cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale, ma la cancellazione, ai sensi dell'art. 2884 c.c., e per l'estinzione del debito garantito dall'ipoteca iscritta dalle controparti a garanzia dei crediti riconosciuti con le sentenze non definitive n. 1451/1994 del Tribunale di Bologna e n. 1280/97 della Corte di Appello di Bologna, passata in giudicato. 5.1 Il motivo, fondato con riferimento all'applicazione dell'art. 2688 c.c., è tuttavia inammissibile per difetto di interesse in quanto la Corte di Appello ha motivato il rigetto della domanda di cancellazione dell'iscrizione ipotecaria con due autonome rationes decidendi:
- la prima fondata sul rilievo che non si sarebbero verificati i presupposti (il rigetto della domanda o l'estinzione del giudizio) ai quali l'art. 2668 c.c. (erroneamente applicato) subordina la cancellazione della trascrizione delle domande giudiziali;
- la seconda fondata sul rilievo che l'estinzione del credito per il quale era stata iscritta ipoteca giudiziale era contestata e, quindi, in mancanza di assenso del creditore, non poteva essere disposta la cancellazione dell'iscrizione.
Questa autonoma e decisiva ratio decidendi non ha formato oggetto di specifica impugnazione con adeguato motivo di ricorso e relativo momento di sintesi ex art. 366 bis c.p.c.; neppure potrebbero essere valorizzati i rilievi secondo i quali l'ulteriore credito ipotecario di lire 20.718.520 non sarebbe stato riconosciuto nella sentenza definitiva di primo grado perché è assorbente il rilievo della Corte di Appello sull'eccezione di inadempimento; tale eccezione, infatti, ribalta sul debitore l'onere della prova dell'estinzione e, quindi, in caso di contestazione deve procedersi ad accertamento giudiziale nella specie mancante.
Nella fattispecie resta quindi applicabile il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale se la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, perché l'impugnazione, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza (cfr. Cass. n. 22753/2011 Ord.; Cass. n. 3386/2011, Cass. n. 24540/2009, Cass. n. 9247/2006, Cass. n. 13956/2005).
7. In conclusione deve essere rigettato sia il ricorso principale che quello incidentale.
Le spese di questo giudizio di cassazione devono essere integralmente compensate tra le parti in considerazione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri; rigetta il giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2013
riferimenti normativi|blue
Cod. Civ. art. 1115