Rapporti con la parte assistita - Gestione di somme - Indebito trattenimento
Esistenza di un credito nei confronti del cliente - Rapporti con i colleghi - Obbligo di dare istruzioni al collega - Obbligo di informativa Costituisce illecito disciplinare, in violazione dell'art. 41 c.d.f., l'indebita ritenzione di somme da parte dell'avvocato in difetto di espressa e necessaria pattuizione. In particolare, integra illecito deontologico il comportamento dell'avvocato che trattenga indebitamente la somma ricavata dalla vendita forzata di un'autovettura pur in presenza di un credito nei confronti del cliente ed in costanza di rapporto con quest'ultima, qualora, come nella specie, non risulti che il professionista abbia mai chiesto o comunque ottenuto l'autorizzazione a trattenere le somme spettanti al cliente - Pone in esser un illecito deontologico l'avvocato che, nonostante i ripetuti tentativi posti in essere dal collega per ottenere notizie in ordine alle procedure di esecuzione forzata presso terzi al primo affidate, non fornisca alcuna comunicazione, con ciò violando l'art. 31 c.d.f. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Pistoia, 16 ottobre 2009). Consiglio Nazionale Forense decisione del 15-12-2011, n. 183
Avvocato - Norme deontologiche - Rapporti con la parte assistita - Gestione di somme - Indebito trattenimento - Esistenza di un credito nei confronti del cliente - Rapporti con i colleghi - Obbligo di dare istruzioni al collega - Obbligo di informativa
Costituisce illecito disciplinare, in violazione dell'art. 41 c.d.f., l'indebita ritenzione di somme da parte dell'avvocato in difetto di espressa e necessaria pattuizione. In particolare, integra illecito deontologico il comportamento dell'avvocato che trattenga indebitamente la somma ricavata dalla vendita forzata di un'autovettura pur in presenza di un credito nei confronti del cliente ed in costanza di rapporto con quest'ultima, qualora, come nella specie, non risulti che il professionista abbia mai chiesto o comunque ottenuto l'autorizzazione a trattenere le somme spettanti al cliente - Pone in esser un illecito deontologico l'avvocato che, nonostante i ripetuti tentativi posti in essere dal collega per ottenere notizie in ordine alle procedure di esecuzione forzata presso terzi al primo affidate, non fornisca alcuna comunicazione, con ciò violando l'art. 31 c.d.f. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Pistoia, 16 ottobre 2009). Consiglio Nazionale Forense decisione del 15-12-2011, n. 183
Consiglio Nazionale Forense decisione del 15-12-2011, n. 183
DECISIONE
sul ricorso presentato dall’ avv. P. F. avverso la decisione in data 16/10/09, con la quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pistoia gli infliggeva la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di mesi tre;
Il ricorrente, avv. P. F. non è comparso;
Per il Consiglio dell’Ordine, regolarmente citato, nessuno è comparso;
Udita la relazione del Consigliere avv. Bruno Piacci ;
Inteso il P.M., il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
FATTO
La vicenda di cui è causa riguarda sette distinti procedimenti disciplinari promossi nei confronti dell’Avv. F. da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pistoia (di seguito anche solo COA), poi riuniti nella seduta del 19 giugno 2009 da parte del medesimo COA.
1) Il primo procedimento disciplinare atteneva alla segnalazione pervenuta al COA dal Giudice Monocratico del Tribunale di Pistoia, secondo cui l’Avv. F., quale difensore di fiducia dei sigg. F., non era comparso all’udienza sebbene avvisato.
In merito a tanto l’Avv. F., benché invitato dal Consiglio, non forniva alcuna osservazione e in data 20 giugno 2008 il Consiglio deliberava l’apertura di procedimento disciplinare nei suoi confronti.
2) Il secondo procedimento disciplinare riguardava la nota dell’Avv. S. con cui lo stesso rappresentava che, nonostante varie richieste telefoniche e scritte, l’Avv. F. non aveva provveduto alla restituzione dei fascicoli relativi ad alcune pratiche a lui affidate, chiedendo all’uopo l’intervento del Consiglio; con ulteriore nota l’Avv. S. segnalava che l’Avv. F. aveva provveduto ad incassare la somma di € 2.138,00 ricavato dalla vendita di un’autovettura nell’ambito di un giudizio di esecuzione, trattenendola e senza fornire alcuna comunicazione, anche in tal caso chiedendo al Consiglio di intervenire sia per risolvere la questione, sia per i provvedimenti disciplinari di competenza.
Nonostante l’invito rivolto dal COA di Pistoia, l’Avv. F. non inoltrava alcuna osservazione e in data 20 giugno 2008 il COA deliberava l’apertura di procedimento disciplinare.
3) Il terzo procedimento riguardava invece una nota dell’Avv. L. con cui lo stesso chiedeva al Consiglio di intervenire presso l’Avv. F. non avendo più notizie di due procedure di esecuzione forzata domiciliate presso lo Studio dello stesso.
Ancora una volta, nonostante l’invito del Consiglio, l’Avv. F. non faceva pervenire alcuna osservazione ed il Consiglio, in data 20 giugno 2008, deliberava l’apertura di procedimento disciplinare.
4) Il quarto procedimento era relativo ad una nota del sig. S. con cui lo stesso affermava di aver affidato all’avv. F. nell’anno 2006 una pratica di riabilitazione in ordine ad una condanna penale da lui riportata e che, dopo avergli conferito il mandato e versato un acconto di € 500,00, nonostante numerose richieste di informazioni rivolte all’Avv. F., non aveva più avuto notizia della procedura che aveva successivamente appreso non essere mai stata presentata; aggiungeva altresì di non aver ricevuto fattura per l’acconto versato.
A seguito dell’invito rivoltogli dal COA l’Avv. F. inviava nota con cui affermava di non aver mai ricevuto mandato dal sig. S. e che gli risultava invece che lo stesso fosse cliente dell’Avv. S., con cui, a quell’epoca, divideva lo Studio.
Il COA richiedeva allora chiarimenti all’Avv. S., che con propria nota affermava di aver presentato il S. all’Avv. F. perché curasse la pratica di riabilitazione dello stesso, ma di non sapere se fosse stato conferito un mandato espresso e se fosse stato versato un acconto, ma di avere conoscenza, avendo più volte incontrato il S. presso lo Studio dell’Avv. F., che questi aveva ripetutamente rassicurato il cliente sulle sorti della pratica di riabilitazione giustificando il ritardo con il carico di lavoro del Tribunale di Sorveglianza.
In data 24/10/2008, il COA deliberava quindi l’apertura di procedimento disciplinare.
5) Il quinto procedimento disciplinare riguardava la mail inviata dal sig. M. al COA con cui lo stesso si lamentava del comportamento dell’Avv. F. in relazione ad una
pratica affidatagli dal padre senza che venisse fornito un resoconto sull’attività prestata benché venissero ripetutamente formulate delle richieste di danaro.
Il M. precisava altresì che dopo un’ulteriore richiesta di danaro, cui era stato opposto un rifiuto da parte della madre di esso M., se non fossero state fornite notizie sulle pratiche affidate, l’Avv. F. aveva reagito offendendo la signora con frasi ingiuriose e cacciandola dallo Studio. Il M. aggiungeva ancora che si era proceduto alla revoca del mandato dell’Avv. F. e che il legale al quale si erano poi rivolti aveva accertato che alcuna attività era stata svolta; ancora segnalava che l’Avv. F. aveva richiesto l’ulteriore somma di € 300,00 per procedere alla consegna della documentazione a lui affidata minacciando in caso diverso di non restituirle e che non aveva emesso fattura per la somma di €2.000,00 che gli era stata versata in relazione alle pratiche affidategli.
Nonostante l’invito rivoltogli dal Consiglio, l’Avv. F. non formulava alcuna osservazione ed il COA, in data 16 gennaio 2009, deliberava apertura di procedimento disciplinare.
A seguito della comunicazione dell’apertura del procedimento disciplinare l’Avv. F.
inviava propria memoria difensiva con la quale affermava che le circostanze indicate nell’esposto non erano vere e comunque di aver già definito ogni questione con il M..
6) Il sesto procedimento disciplinare era poi relativo ad una nota dell’Avv. M. con cui lo stesso riferiva di essersi rivolto all’Avv. F. per un’esecuzione mobiliare presso il Tribunale di Pescia e che, ricevuto l’assenso da parte dell’Avv. F., aveva provveduto ad inviargli l’istanza di vendita, il titolo esecutivo ed il precetto.
Aggiungeva di aver successivamente richiesto a mezzo fax aggiornamenti sulla procedura senza però ricevere alcuna risposta e che anche i tentativi di contatto telefonico non avevano sortito altro effetto se non quello di “sentirsi appendere la cornetta in faccia”.
In relazione a tanto chiedeva l’intervento del Consiglio quanto meno per ottenere la restituzione del titolo e del precetto.
Nonostante l’invito del COA l’Avv. F. non faceva pervenire alcuna osservazione ed il Consiglio deliberava, in data 24/4/2009, l’apertura di procedimento disciplinare.
Ricevuta detta comunicazione l’Avv. F. presentava una memoria difensiva affermando di aver già comunicato all’Avv. M. di disconoscere la firma apposta sull’avviso di ricevimento del plico contenente la documentazione sopra indicata e di non essere in possesso quindi del plico stesso.
7) Il settimo procedimento disciplinare riguardava la nota dell’Avv. Z. con la quale lo stesso segnalava di essersi rivolto all’Avv. F. per una procedura esecutiva presso la Sezione distaccata di Montecatini Terme e che dopo aver inviato l’istanza di vendita ed altre documentazioni aveva provveduto con un fax a richiedere all’Avv. F. notizie in merito alla stessa.
A tale fax, rispondeva però l’Avv. M. D. I., il quale rappresentava che l’Avv. F. non si trovava più presso quello Studio fornendo il nuovo numero di fax ove lo stesso era reperibile; peraltro, nonostante l’utilizzo di tale numero da parte dell’Avv. Z., lo stesso non riceveva alcun riscontro da parte dell’Avv. F. alle sue richieste.
Nonostante l’invito rivoltogli dal COA l’Avv. F. non forniva alcuna osservazione e in data 24/4/2009 il Consiglio deliberava l’apertura di procedimento disciplinare.
Come già detto, nella seduta del 19 giugno 2009 il COA di Pistoia, per ragioni di economia processuale disponeva la riunione dei procedimenti disciplinari rispettivamente individuati con i nn. 12/08; 13/08; 14/08; 17/08; 1/09; 3/09; 6/09 citando l’Avv. F. a comparire per il giorno 16 ottobre 2009 per rispondere dei fatti quali sopra già esposti cui si aggiungeva il ripetuto rifiuto a fornire chiarimenti al
COA in merito agli stessi, nonché un precedente disciplinare costituito dalla sanzione della censura comminata in data 19/9/2008 e più precisamente con i seguenti capi di incolpazione:
1a) per avere abbandonato la difesa dei clienti/imputati quale difensore di fiducia di F. P., F. E. e F. E. nel procedimento penale n. 703/07 R.G. DIB. non partecipando all'udienza del 29/1/2008 avanti al Giudice Monocratico del Tribunale di Pistoia Dott. Luciano Costantini senza fornire alcuna giustificazione della propria assenza.
1b) per non avere risposto al Consiglio dell'Ordine in relazione ai chiarimenti richiesti, ledendo con tali comportamenti i doveri di decoro, lealtà, correttezza e diligenza con i quali l'Avvocato deve svolgere la propria attività professionale;
compromettendo la propria reputazione professionale e l'immagine della intera classe forense ed in particolare violando gli artt. 11,38 e 24 II del Codice Deontologico non avendo prestato la propria attività difensiva e non avendo risposto al Consiglio dell'Ordine che chiedeva chiarimenti in relazione alla segnalazione ricevuta.
2a) per avere omesso di relazionare il dominus Avv. S. sull'andamento degli incarichi affidatigli: A) esecuzione mobiliare Ci./ S.; B) C./L.; C) A./M.;
2b) per non avere restituito i fascicoli relativi alle esecuzioni;
2c) per avere indebitamente trattenuto la somma di € 2.138,80 pari al ricavato della vendita forzata di un autoveicolo nella prima procedura indicata;
2d) per non avere risposto al Consiglio dell'Ordine in relazione ai chiarimenti richiesti,
ponendo in essere con tali comportamenti attività gravemente negligente e contraria ai doveri di decoro, lealtà e correttezza comportamenti tali da riflettersi sulla sua reputazione professionale e tali da compromettere l'immagine della classe forense. In particolare con violazione dei seguenti articoli del Codice Deontologico: art. 31 non avendo fornito al dominus informazioni sull'attività svolta;
art. 41 avendo omesso di rendere conto del denaro ricevuto quale prezzo ricavato dalla vendita di una autovettura, trattenendo le somme ricevute oltre il tempo necessario e provvedendo a riconsegnarle al dominus soltanto a seguito della apertura del procedimento disciplinare; art 42 non avendo restituito i fascicoli al dominus che ne aveva fatto richiesta; art 24 n. Il avendo omesso di rispondere al Consiglio dell'Ordine che chiedeva chiarimenti in relazione all'esposto.
3a) per avere omesso di relazionare il dominus Avv. L. sull'andamento di due incarichi affidatigli e relativi a procedure per pignoramento presso terzi, nonostante i molti solleciti ricevuti;
3b) per non avere risposto al Consiglio dell'Ordine in relazione ai chiarimenti richiesti ponendo in essere con tali comportamenti attività gravemente negligente e contraria ai doveri di decoro, lealtà e correttezza comportamenti tali da riflettersi sulla sua reputazione professionale e tali da compromettere l'immagine della classe forense. In particolare con violazione degli art. 31 e 24 II del Codice Deontologico non avendo fornito al dominus informazioni sull'attività svolta ed avendo omesso di rispondere al Consiglio dell'Ordine che chiedeva chiarimenti in relazione all'esposto.
4a) per non avere adempiuto al mandato conferitogli dal sig. S. G. ed in particolare per non avere curato la riabilitazione penale dell'esponente;
4b) per avere omesso di informare il proprio assistito che ne faceva richiesta sullo stato della pratica;
4c) per non avere restituito alla parte assistita la documentazione ricevuta, violando con tali comportamenti i seguenti articoli del Codice Deontologico: art. 8 che impone all'avvocato di adempiere al proprio dovere professionale con diligenza; art. 40 che obbliga l'avvocato ad informare il proprio cliente e art. 42 che impone all'avvocato la restituzione senza ritardo della documentazione ricevuta per l'espletamento del mandato ed avendo tenuto un comportamento non rispondente a dignità correttezza e decoro professionale con lesione della propria immagine professionale e della classe forense.
5) per non avere risposto al Consiglio dell'Ordine che chiedeva chiarimenti in relazione all'esposto presentato da F. M. violando con tale comportamento l'art. 24 del Codice Deontologico che prevede il dovere dell'avvocato di collaborare con il Consiglio dell'Ordine osservando il dovere di verità e che nell'ambito di un procedimento disciplinare sancisce come illecito disciplinare la mancata risposta da parte dell'iscritto alla richiesta da parte del Consiglio di chiarimenti.
6a) per avere tenuto nei confronti del Collega Avv. F. M. un comportamento non ispirato a correttezza e lealtà omettendo di rispondere alle numerose lettere con le quali chiedeva informazioni sulle pratiche e rifiutandosi di parlare con lui per telefono;
6b) per avere omesso di relazionare il dominus sull'andamento degli incarichi affidatigli;
6c) per non avere risposto al Consiglio dell'Ordine che chiedeva chiarimenti in relazione all'esposto presentato dall'Avv. M. violando con tali comportamenti i doveri di lealtà e correttezza ai quali ogni avvocato deve ispirare la propria condotta previsti dagli arti 6 e 20 del Codice Deontologico nonché l'art. 31 che prevede che l'avvocato debba dare al collega informazioni dettagliate sull'attività svolta e l'art. 24 che nell'ambito di un procedimento disciplinare sancisce come illecito disciplinare la mancata risposta da parte dell'iscritto alla richiesta da parte del Consiglio di chiarimenti.
7a) per avere tenuto nei confronti del Collega Avv. R. Z. un comportamento non ispirato a correttezza e lealtà omettendo di rispondere alle numerose lettere con le quali chiedeva informazioni sulle pratiche;
7b) per avere omesso di relazionare il dominus sull'andamento degli incarichi affidatigli;
7c) per non avere risposto al Consiglio dell'Ordine che chiedeva chiarimenti in relazione all'esposto presentato dall'Avv. Z. violando con tali comportamenti gli artt. 22 e 31 del Codice Deontologico avendo tenuto nei confronti del collega un comportamento non ispirato a correttezza e lealtà; non avendo risposto alle sue richieste di informativa e omettendo di relazionare al collega sulle pratiche affidategli e di dargli informazioni sull'attività svolta nonché l'art. 24 II Codice Deontologico non avendo risposto alla richiesta di chiarimenti rivoltali dal Consiglio dell'Ordine.
Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati contestava infine all'avv. P. F. il precedente disciplinare costituito dalla sanzione della censura comminata in data 19/9/2008.
In riferimento ai vari procedimenti disciplinari, a seguito della memoria difensiva depositata dall’Avv. F., il COA assolveva l’Avv. F. dall’incolpazione di cui ai capi di incolpazione 1 e 5 e valutata la gravità dei comportamenti, ritenuta la continuazione del comportamento, la recidiva e tenuto altresì conto anche della precedente sanzione della censura, gli infliggeva la sanzione di tre mesi di sospensione dall’esercizio della professione.
1) Per quanto riguarda il primo procedimento (capi di incolpazione 1a e 1b), il COA, così come dedotto dall’Avv. F. rilevava che era effettivamente risultato che nell’udienza del 6 novembre 2007, innanzi il Tribunale di Pistoia, l’Avv. F. non fosse più difensore dei sigg. F. e che gli stessi erano assistiti da altri difensori, sicché non sussisteva l’ipotesi di illecito disciplinare.
2) Per quanto attiene il secondo procedimento (capi di incolpazione 2°, 2b, 2c, 2d), il COA rilevava che successivamente all’apertura del procedimento disciplinare l’Avv. S. aveva comunicato che l’Avv. F. aveva provveduto alla restituzione della somma di € 2.138,80 indebitamente trattenuta e che pertanto intendeva ritirare l’esposto; il COA però osservava che anche a fronte di tale comunicazione era suo compito procedere all’accertamento dei fatti e del comportamento dell’Avv. F..
In merito agli stessi, il COA osserva che era risultato pacifico che l’Avv. F. non avesse fornito notizie all’Avv. S. sulle pratiche a lui affidate, benché avesse ricevuto direttamente dallo stesso l’incarico; inoltre era altresì pacifico che non avesse provveduto a restituire i fascicoli nonostante l’invito rivoltogli dal COA e una promessa di invio formulata da esso Avv. F., di fatto poi non mantenuta.
Ancora, il COA rilevava che il comportamento dell’Avv. F. costituiva illecito disciplinare per aver trattenuto indebitamente la somma ricavata dalla vendita forzata di un’autovettura, a nulla rilevando le affermazioni dell’Avv. F. circa l’esistenza di un suo credito nei confronti della cliente non essendo risultato che lo stesso avesse mai chiesto, o comunque ottenuto, l’autorizzazione a trattenere le somme spettanti al cliente.
Il COA censurava poi, ritenendolo disciplinarmente rilevante, il non aver risposto né alla nota del COA con cui lo si invitava a restituire i fascicoli all’Avv. S., né a quella con cui si chiedevano chiarimenti in merito al successivo esposto presentato dal medesimo Avv. S..
3) Per il terzo procedimento disciplinare (capi di incolpazione 3° e 3b) il COA osservava che vi era ammissione dell’Avv. F. di non aver fornito le richieste comunicazioni circa lo stato delle pratiche all’Avv. L. ed allo stesso modo risultava per tabulas la mancata risposta alle richieste di osservazioni del COA, sia nella prima fase, che a seguito dell’apertura di procedimento disciplinare.
4) Per il quarto procedimento disciplinare (capi di incolpazione 4°, 4b e 4c) il COA osservava che la versione dei fatti formulata dal sig. S.in ordine alla mancata assistenza nella procedura di riabilitazione, risultava confermata dalla nota dell’Avv. S., cui erano stati chiesti chiarimenti in merito.
Al riguardo il COA rilevava che non avrebbe avuto alcun senso per il S. recarsi presso lo Studio dell’Avv. F. e riferire nell’occasione all’Avv. S. (che con lo stesso F. divideva lo Studio), circa i motivi della sua presenza se non avesse effettivamente conferito il mandato all’Avv. F..
5) Per il quinto procedimento disciplinare (capo di incolpazione n.5) l’Avv. F. come già effettuato con la propria nota, confermava in sede di comparizione di aver raggiunto un accordo con l’esponente M., sicché, non avendo quest’ultimo fatto pervenire alcuna diversa osservazione al COA, poteva ritenersi effettivamente accertata detta circostanza, laddove per la mancata risposta al COA era stato rappresentata un’oggettiva difficoltà di comunicazione da parte dell’Avv. F. e che pertanto il Consiglio riteneva non sussistere illecito disciplinare.
6) Per il sesto procedimento disciplinare (capi di incolpazione 6°, 6b, 6c), per il quale l’Avv. F. affermava di non aver mai ricevuto dall’Avv. M. il titolo esecutivo, l’atto di precetto e l’istanza di vendita, il COA osservava che la responsabilità dell’Avv. F. emergeva sia dalla documentazione esibita dall’Avv. M., che confermava l’avvenuta ricezione da parte dell’Avv. F. della documentazione inviatagli, sia perché lo stesso, ove ciò non fosse avvenuto, come egli sosteneva, avrebbe potuto immediatamente comunicarlo all’Avv. M. in risposta ai numerosi fax dallo stesso inviatigli con richiesta di notizie.
7) Per il settimo procedimento disciplinare (capi di incolpazione 7°, 7b, 7c), il COA osservava che anche in questo caso la responsabilità dell’Avv. F. risultava dai documenti allegati all’esposto dell’Avv. Z. in ordine all’invio della documentazione per la procedura esecutiva, regolarmente ricevuta dall’Avv. F., così come risultavano del tutto inevase le richieste di notizie ripetutamente formulate dallo stesso.
Censurava quindi il comportamento dell’Avv. F., giacché anche in tale occasione non aveva fornito risposta al Consiglio dell’ordine, né al momento della segnalazione dell’esposto, né allorquando gli era stata comunicata l’apertura del procedimento disciplinare.
***
Avverso la predetta decisione del COA, ha proposto ricorso innanzi questo Consiglio l’Avv. F. con atto depositato il 23 febbraio 2010 a fronte di una notifica della decisione effettuata con spedizione in data 4 febbraio 2010 e con effettivo ritiro della stessa in data 15 febbraio 2010.
Con il proprio ricorso, senza formulare specifici riferimenti ai fatti e limitandosi ad indicare i riferimenti numerici dei capi di incolpazione, l’Avv. F. in ordine alle vicende del secondo procedimento disciplinare (capi 2a, 2b, 2c, 2d del procedimento riunito) osserva che l’esposto dell’Avv. S. risultava ritirato, sicché a suo dire il COA non avrebbe dovuto ulteriormente procedere; per quanto riguarda il capo 2a (per il quale però non vi è specificazione e che dovrebbe riguardare l’omessa relazione sulle pratiche all’Avv. S.) si afferma che l’operato dell’Avv. F. dovrebbe ritenersi legittimo per il “sostanziale e documentato sviluppo dei rapporti con la Società A.”, confermato dal fatto che dopo la restituzione della somma (presumibilmente riferita al capo di incolpazione 2c), la stessa A. aveva versato all’Avv. F. una somma maggiore per sue spettanze, continuando ad avere rapporti con lui; sicché al più ci si poteva dolere del mancato riscontro alle missive dell’Avv. S..
In riferimento ai capi di incolpazione 3 e 7 - come detto solo numericamente indicati - l’Avv. F. conferma che gli addebiti risultano fondati sotto il profilo formale, ma ritiene che il Consiglio avrebbe dovuto non infliggere alcuna condanna trattandosi di episodi di modesto rilievo e di nessun danno per terzi, occorsi per di più durante un periodo di sua precaria salute.
In riferimento al capo 4 di incolpazione ritiene errata la decisione del COA perché le dichiarazioni del sig. S. avevano trovato conferma solo nelle dichiarazioni dell’Avv. S. e che le stesse dovevano ritenersi formulate per celare un’inerzia dello stesso S., non pratico della materia penale ed al quale esso Avv. F. aveva più volte fornito un supporto.
Per quanto riguarda il capo di incolpazione 6, insiste nell’affermare che la firma di ricevuta del plico non era di esso Avv. F. e che dunque non poteva restituire ciò che non era mai pervenuto; laddove la mancata segnalazione all’Avv. M. doveva imputarsi alle cattive condizioni di salute attraversate in quel momento.
In merito a tanto, afferma di riservarsi di inoltrare a questo Consiglio la documentazione sanitaria comprovante le sue affermazioni e che erano state prodotte nel diverso procedimento disciplinare conclusosi con la sanzione della censura.
Conclude quindi per la revoca o l’annullamento della sanzione, per l’insussistenza materiale degli illeciti in riferimento ai capi 2a, 4 e 6 o comunque per la buona fede di esso incolpato ed in relazione a tanto se fossero ritenuti sussistenti solo alcuni degli illeciti, adottarsi una sanzione meno grave della sospensione, ovvero in via subordinata, che la sospensione stessa fosse contenuta nel minimo di mesi due.
Il ricorrente ha poi fatto pervenire a questo Consiglio, in data 13 giugno 2011, ulteriori note difensive con cui si duole di un mancato contraddittorio, sostenendo che in riferimento all’esposto dell’Avv. S. se questi lo avesse denunciato alla Magistratura, la presunta parte lesa, e cioè il cliente, avrebbe chiarito che alcuna lesione era avvenuta e nel frattempo sarebbe stato sospeso il giudizio disciplinare;
per converso, il COA di Pistoia non aveva dato luogo ad alcun approfondimento probatorio.
Insiste infine nelle conclusioni rassegnate, nuovamente osservando la sussistenza di un periodo di salute precaria, tale da averlo condotto ad errori di comportamento comunque veniali e senza danno concreto per alcuno.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
In ordine ai motivi di doglianza formulati in ricorso – in verità in maniera estremamente sommaria, senza alcun riferimento ai fatti nonché alla decisione assunta dal C.O.A. di Pistoia – di non certo agevole comprensione, si osserva che l’Avv. F. si duole per aver proceduto il C.O.A. di Pistoia in riferimento al capo 2 di incolpazione, sostenendo l’inesistenza di norma deontologica che prescriva di procedere “in difetto di rappresentazione scritta di un addebito”, e per non essere in presenza di fatti notori.
La doglianza è infondata alla stregua della consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui: “L’esercizio dell’azione disciplinare non è condizionato dalla tipologia della fonte della notizia dell’illecito deontologico, atteso che il C.O.A., ai sensi dell’art. 38, comma 3, L.P. può deliberare l’apertura del procedimento disciplinare anche sul presupposto della semplice conoscenza di fatti di pubblica notorietà o di mere informazioni, a nulla rilevando, ai fini dell’esercizio dell’azione disciplinare, la mancanza di un esposto o della segnalazione da parte di terzi” (Cons. Naz. Forense 17/02/2008 n. 154; conforme
Cons. Naz. Forense 04/07/2007 n. 75).
Peraltro, nel caso di specie, in ordine ai capi 2a, 2b, 2c, il C.O.A. di Pistoia aveva ricevuto dapprima nota dell’Avv. S. con cui si sollecitava l’intervento del Consiglio per ottenere la restituzione dei fascicoli relativi ad alcune pratiche affidate e poi un successivo esposto, sempre da parte dell’Avv. S., con il quale si rappresentava l’indebita ritenzione da parte dell’Avv. F. della somma di € 2.138,00 quale ricavato della vendita di un’autovettura nell’ambito di un giudizio di esecuzione, sollecitando l’adozione dei provvedimenti disciplinari del caso.
Correttamente quindi, alla stregua anche della giurisprudenza sopra richiamata, il C.O.A. di Pistoia, ha ritenuto di dover procedere nei confronti dell’Avv. F., anche in presenza della successiva nota dell’Avv. S. che rendeva noto il proprio intendimento di ritirare l’esposto, avendo nelle more l’Avv. F. provveduto a restituire l’importo indebitamente trattenuto.
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Al fine di consentire un’omogenea trattazione dei vari capi di incolpazione, è opportuno esaminare dapprima il merito delle vicende, riservando - successivamente all’esame delle stesse - l’analisi dei capi di incolpazione 2d, 3b, 6c e 7c, per i quali il COA ha ritenuto sussistere illecito disciplinare per violazione dell’art. 24 del Codice Deontologico.
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Per quanto attiene il merito dei capi di incolpazione, il ricorrente si duole del fatto che il C.O.A. non avrebbe valutato il comportamento tenuto dalla società A. (precedentemente C. s.r.l.) avendo la stessa provveduto al pagamento di fatture dell’Avv. F. relative ad altre procedure, nonché a richiedere ancora suoi pareri come risultante da una mail datata 6 marzo 2009, (da lui prodotta in uno alla memoria difensiva innanzi il Consiglio di Pistoia), dovendo ritenersi l’esposto solo frutto del risentimento del dominus, Avv. S., per il mancato riscontro alle note dello stesso (che peraltro si riconosce come effettivamente avvenuto).
Orbene, in merito ai fatti sopra esposti ed al comportamento tenuto dall’Avv. F., risultano del tutto condivisibili le osservazioni del C.O.A., secondo cui era risultato pacifico – anche per sua esplicita ammissione – che l’Avv. F. non avesse fornito notizie all’Avv. S. sulle pratiche a lui affidate, benché avesse ricevuto direttamente dallo stesso l’incarico e fosse stato numerose volte sollecitato al riguardo.
Inoltre, era altresì pacifico che non avesse provveduto a restituire i fascicoli nonostante l’invito rivoltogli dal COA e una promessa di invio formulata da esso Avv. F., di fatto poi non mantenuta.
Allo stesso modo, appare corretto il rilievo del COA che ha ritenuto il comportamento dell’Avv. F. costituire illecito disciplinare per l’aver trattenuto indebitamente la somma ricavata dalla vendita forzata di un’autovettura, a nulla rilevando le affermazioni dello stesso Avv. F. circa l’esistenza di un suo credito nei confronti della cliente, ovvero il prosieguo dei rapporti con la stessa, non essendo risultato che lo stesso avesse mai chiesto o comunque ottenuto l’autorizzazione a trattenere le somme spettanti al cliente.
Al riguardo, da una parte appare irrilevante la circostanza che la società abbia provveduto al pagamento di alcune fatture, trattandosi di prestazioni comunque effettuate dall’Avv. F. e dunque da onorare, e dall’altra parte che anche il mantenimento dei rapporti non costituisce certo autorizzazione a trattenere importi di spettanza del cliente ma, al più, che la società ha inteso - una volta ricevuto l’importo indebitamente trattenuto dall’avvocato - non risolvere i rapporti con lo stesso in un’ottica di libera determinazione.
In altri termini, il comportamento dell’Avv. F. va valutato indipendentemente dagli effetti che dallo stesso potevano discendere circa i rapporti futuri con il cliente.
Rimane invece indubitabile che egli abbia trattenuto indebitamente somme di spettanze della cliente, e non abbia provveduto all’invio delle stesse neanche a fronte dell’esposto presentato dall’Avv. S. in data 13 febbraio 2008 - (comunicato dal C.O.A. di Pistoia all’Avv. F. in data 26 febbraio 2008) - e nonostante una sua nota del 29 febbraio 2008 con cui affermava che nel giro di dieci giorni avrebbe provveduto alla restituzione delle somme indebitamente incassate (e dei fascicoli trattenuti).
Tanto, come risulta dall’ulteriore nota del 2 aprile 2008 dell’Avv. S. al C.O.A. di Pistoia con cui informa il Consiglio che alcunché era stato inviato dall’Avv. F..
Le somme trattenute sono state invece rimesse soltanto dopo l’apertura del procedimento disciplinare avvenuta in data 20 giugno 2008 e notificata in data 11-16 luglio 2008, così come risulta dalla nota del 3 settembre 2008 dell’Avv. S., che dà comunicazione dell’avvenuta restituzione degli importi indebitamente trattenuti dall’Avv. F..
Risultano quindi evidentemente violati: l’art. 31 del Codice Deontologico in merito all’obbligo dell’avvocato di tempestiva informativa in ordine alle cause a lui affidate da altro collega, l’art. 42 del medesimo Codice in ordine all’obbligo di restituzione di documenti ricevuti per l’espletamento del mandato e l’art. 41 in ordine all’indebita ritenzione di somme.
Infatti, anche in riferimento al capo 2c, risultano condivisibili le osservazioni del COA di Pistoia che ha ritenuto costituire illecito disciplinare l’indebita ritenzione di somme da parte dell’Avv. F., con violazione dell’art. 41 del Codice Deontologico, non potendo in nessun caso ritenersi presunta un’autorizzazione al trattenimento di somme - come sostiene l’Avv. F. - essendo invece necessaria in una eventuale
ipotesi di tal genere, un’espressa pattuizione.
Sul punto, ha infatti esattamente osservato, richiamando consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, il COA di Pistoia.
“Nessun pregio hanno le affermazioni contenute nella memoria difensiva circa l'esistenza di un credito dell'Avv. F. nei confronti della cliente. Non risulta infatti né che l'Avv. F. abbia mai chiesto alla cliente l'autorizzazione a trattenere le somme ricevute in pagamento delle sue competenze né che la cliente lo abbia autorizzato.
Infatti la facoltà dell'avvocato di incassare somme spettanti al cliente non può essere presunta, né ritenuta implicita nella facoltà di transigere e conciliare prevista nella procura alle liti, ma deve risultare in forma espressa, atteso lo specifico contenuto fiduciario che essa implica” (cfr CNF sent. 25 settembre 2008 n. 82). Ed ancora: “Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che trattenga somme a compensazione non autorizzata dal cliente, nessun valore autorizzativo può, infatti, essere attribuito ad una generica dicitura sul mandato, dovendo il diritto di ritenzione essere regolato da una
prescrizione pattizia intercorrente tra le parti e in cui l'oggetto della prestazione deve essere ben determinato, in quanto il cliente deve conoscere l'esatto contenuto della propria obbligazione”. (CNF sent. 10 dicembre 2007 n. 182)
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In riferimento ai capi di incolpazione 3 e 7, si sostiene in ricorso che gli stessi risultano effettivamente fondati – a dire dell’istante sotto il profilo formale – ma si ritiene che il Consiglio avrebbe dovuto non infliggere alcuna condanna, trattandosi di episodi di modesto rilievo e di nessun danno per terzi, occorsi per di più durante un periodo di precaria salute dell’Avv. F., di cui il Consiglio avrebbe dovuto avere
conoscenza, in relazione ad altro procedimento disciplinare, conclusosi con la sanzione della censura.
Si tratta di argomentazioni di nessun rilievo, tenuto conto che risulta per piena ammissione effettuata dallo stesso incolpato, che l’Avv. F., nonostante i ripetuti tentativi posti in essere dall’Avv. L. per ottenere notizie in ordine a due procedure di esecuzione forzata presso terzi a lui affidate, non abbia in alcun modo fornito una qualsiasi comunicazione riguardante le due pratiche in parola.
Con ciò, ponendo in essere la violazione dell’art. 31 Codice Deontologico in ordine all’obbligo di informativa al Collega che abbia affidato incarichi ad un avvocato.
Sul punto, e ciò valendo anche per le altre vicende in cui il ricorrente invoca la sua buona fede pur ammettendo l’effettività dei comportamenti contestati, si rileva che tale argomentazione non ha pregio, essendo consolidato il principio secondo cui “per l’imputabilità dell’infrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dell’illegittimità dell’azione, dolo generico o specifico, ma è sufficiente la volontarietà con la quale è stato compiuto l’atto deontologicamente scorretto” (Cons. Naz. Forense 08/11/2007 n. 162; conforme Cons. Naz. Forense 19/01/2005 n. 15).
Benché superfluo, alla stregua di tutto quanto fin qui esposto, va poi osservato come l’Avv. F. non abbia in alcun modo documentato quale fosse il suo stato di precaria salute, né in che modo lo stesso avesse potuto incidere sui comportamenti a lui contestati (ed ammessi), nonostante che nel ricorso si fosse preannunciato l’invio di documentazione sanitaria; in realtà poi mai pervenuta a questo Consiglio.
Peraltro, avrebbe dovuto trattarsi in ogni caso di impedimento fisico gravissimo e tale da impedire attività di nessuna particolare difficoltà quale rispondere ad un fax o ad una telefonata.
Sul capo 7 di incolpazione - che si esamina qui in ragione dell’accorpamento effettuato in ricorso con il capo 3 e ammettendosi per entrambi come effettivamente posti in essere i comportamenti contestati - valgono evidentemente le considerazioni appena esposte.
In ogni caso, così come correttamente osservato dal COA di Pistoia, risulta la prova documentale del comportamento posto in essere dall’Avv. F., tenuto conto che in uno all’esposto presentato, l’Avv. Z. ha prodotto copia della lettera raccomandata a.r. con la quale il 23 aprile 2008 inviava all’Avv. F. istanza di vendita, titolo esecutivo su cambiali, verbale di pignoramento e ricevuta CUIR di € 100,00; copia dei fax in data 31 ottobre 2008, nonché quello inviato in data 3 novembre 2008 al nuovo recapito telefax indicato dall’Avv. D. I., con i quali sollecitava notizie sulla pratica e copia della lettera raccomandata a.r. con la quale il 25 novembre 2008, dopo aver ripercorso tutti i vani tentativi di contattarlo sia a mezzo fax che direttamente a mezzo telefono, chiedeva ancora una volta all’Avv. F. notizie sulla pratica.
È quindi del tutto esatto il rilievo del COA secondo cui “anche nel caso in esame l’Avv. F. ha tenuto nei confronti del collega un comportamento contrario ai doveri di lealtà e correttezza; non ha risposto alle sue richieste di informativa ed ha omesso di relazionare al collega sulle pratiche svolte”.
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In riferimento al capo 4 di incolpazione ritiene errata la decisione del COA perché le dichiarazioni del sig. S. avevano trovato conferma solo nelle dichiarazioni dell’Avv. S. e che le stesse dovevano ritenersi formulate per celare un’inerzia dello stesso S., non pratico della materia penale ed al quale esso Avv. F. aveva più volte fornito un supporto.
Deve essere allora osservato come nell’esposto da lui presentato il sig. S. affermava di aver affidato nell’anno 2006 all’Avv. F. una pratica di riabilitazione in ordine ad una condanna penale da lui riportata e che, dopo avergli conferito il mandato e versato un acconto di € 500,00, nonostante numerose richieste di informazioni rivolte all’Avv. F., non aveva più avuto notizia della procedura che aveva poi successivamente appreso non essere mai stata presentata; aggiungeva altresì di non aver ricevuto fattura per l’acconto versato.
A seguito dell’invito rivoltogli dal COA l’Avv. F. inviava nota con cui affermava di non aver mai ricevuto mandato dal sig. S. e che gli risultava invece che lo stesso fosse cliente dell’Avv. S., con cui, a quell’epoca, divideva lo Studio.
Con il ricorso innanzi questo Consiglio, come sopra anticipato, aggiunge ora che tanto sarebbe avvenuto per celare una presunta inerzia dell’Avv. S..
Sul punto, va ricordato che a seguito della nota inviata dall’Avv. F. e sopra menzionata, il COA di Pistoia provvedeva a chiederne chiarimenti all’Avv. S.
Lo stesso, con propria nota affermava di aver presentato il S. all’Avv. F. perché curasse la pratica di riabilitazione dello stesso, ma di non sapere se fosse stato conferito un mandato espresso e se fosse stato versato un acconto, ma di avere conoscenza, avendo più volte incontrato il S. presso lo Studio dell’Avv. F., che questi aveva ripetutamente rassicurato il cliente sulle sorti della pratica di riabilitazione giustificando il ritardo con il carico di lavoro del Tribunale di Sorveglianza.
Il COA di Pistoia ha ritenuto che l’esposto del S. doveva ritenersi confermato dalle dichiarazioni dell’Avv. S., sia in ordine al conferimento del mandato da parte del S. all’Avv. F., sia in ordine alla circostanza che lo stesso S. non avrebbe avuto alcun motivo di recarsi più volte nello studio dell’Avv. F. e riferire all’Avv. S. notizie sullo stato della pratica se non avesse effettivamente conferito il mandato all’Avv. F..
Si tratta di osservazione del tutto logica e condivisibile, cui si aggiunge quella ulteriore che vale a caducare l’affermazione dell’Avv. F. circa una presunta inerzia dell’Avv. S., e cioè che se vi fosse stata effettivamente un’inerzia da parte dell’Avv. S., il sig. S., pacificamente cliente dello stesso da diverso tempo, si sarebbe doluto con tale Avvocato ed eventualmente avrebbe presentato al COA di Pistoia un
esposto nei confronti del medesimo Avv. S. e non certo dell’Avv. F., che gli sarebbe rimasto del tutto estraneo e sconosciuto sotto il profilo professionale.
Peraltro, nella nota del 23 ottobre 2008 con cui l’Avv. S. rispondeva al COA di Pistoia, fornendo i chiarimenti richiesti, lo stesso Avv. S. ha testualmente affermato: “……faccio seguito al colloquio telefonico tra noi intercorso in data odierna per confermarti che nell’anno 2006 presentai al Collega P. F. il sig. S. G. al fine di permettere allo stesso di presentare istanza di riabilitazione presso il Tribunale di Sorveglianza di Firenze. E ciò in quanto, come Tu sai, non mi occupo di diritto penale”.
In altri termini, come è dato di comune conoscenza, l’Avv. S. ha affidato alle cure del collega penalista Avv. F., un proprio cliente, non occupandosi lui di materia penale; cosa che appare in verità del tutto credibile e corrispondente all’id quod plerumque accidit.
Non può poi tacersi come nell’esposto presentato dal sig. S., nella parte in cui si afferma di essersi recato numerose volte allo studio dell’Avv. F. per chiedere notizie in ordine alla propria questione, il S. abbia testualmente affermato: “…… tutte le volte l’avvocato inventava scuse per non farmi vedere ciò che chiedevo o dare informazioni precise sulla pratica. Ho scoperto che non esiste alcuna pratica di riabilitazione a mio nome e quindi le cose che l’Avv. F. mi ha detto in questi anni sono tutte inventate. Ho provato a riferire ciò all’Avv. F. ma lui ha riattaccato il telefono in faccia e non si fa trovare in studio”.
Si tratta in verità di un atteggiamento di voluta irreperibilità contestato all’Avv. F. anche in altre delle vicende di cui è giudizio, ivi compresa quella di cui al capo 6 di incolpazione, relativa a vari tentativi di contatto operati dall’Avv. M. per avere notizie di un’esecuzione immobiliare, e che a sua volta ha affermato che i vari tentativi di contatto telefonico non avevano sortito altro effetto “se non quello di sentirsi appendere la cornetta in faccia”.
Correttamente quindi il COA di Pistoia ha ritenuto la responsabilità dell’Avv. F. in ordine agli addebiti contestati, che integrano violazione dei doveri professionali, stante l’omesso compimento degli atti inerenti al mandato ricevuto e avendo tenuto un comportamento non rispondente a dignità, correttezza e decoro professionale.
Risultano quindi violati gli articoli del Codice Deontologico 8, che impone all’avvocato di adempiere al proprio mandato professionale con diligenza; 40, che impone l’obbligo di informare il proprio cliente e 42 che impone all’avvocato la restituzione senza ritardo della documentazione ricevuta per l’espletamento del mandato.
Risulta altresì violato l’art. 5 per aver tenuto un comportamento non rispondente a dignità, correttezza e decoro professionale con lesione della propria immagine professionale e della classe forense.
Sul punto, si richiamano le decisioni di questo Consiglio secondo cui: “Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e probità …. omissis … il professionista che ometta di svolgere il mandato ricevuto, non dia informazioni e si renda irreperibile al cliente…” (Cons. Naz. Forense 16/07/2007 n. 93), e così allo stesso modo: “Pone in essere un comportamento contrario ai principi deontologici l’avvocato che ometta di dare notizie al cliente sullo svolgimento della causa, non restituisca la documentazione in suo possesso, dia false informazioni sullo stato di una pratica...” (Cons. Naz. Forense 20/12/2000 n. 297).
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In riferimento al capo 6 di incolpazione, come già sopra riferito, lo stesso era relativo ad una nota dell’Avv. M. con cui lo stesso riferiva di essersi rivolto all’Avv. F. per un’esecuzione mobiliare presso il Tribunale di Pescia e che ricevuto l’assenso da parte dell’Avv. F. aveva provveduto ad inviargli l’istanza di vendita, il titolo esecutivo ed il precetto.
Aggiungeva di aver successivamente richiesto a mezzo fax aggiornamenti sulla procedura senza ricevere alcuna risposta e che anche i tentativi di contatto telefonico non avevano sortito altro effetto se non quello di “sentirsi appendere la cornetta in faccia”.
In relazione a tanto chiedeva l’intervento del Consiglio quanto meno per ottenere la restituzione del titolo e del precetto.
A seguito dell’apertura del procedimento disciplinare, l’Avv. F. presentava una memoria difensiva affermando di aver già comunicato all’Avv. M. di disconoscere la firma apposta sull’avviso di ricevimento del plico contenente la documentazione sopra indicata e di non essere in possesso quindi del plico stesso.
Con il ricorso innanzi questo Consiglio, l’Avv. F. insiste nell’affermare che la firma di ricevuta del plico non era di esso Avv. F. e che dunque non poteva restituire ciò che non era mai pervenuto; laddove la mancata segnalazione all’Avv. M. doveva imputarsi alle cattive condizioni di salute attraversate in quel momento.
In realtà, correttamente il COA di Pistoia ha osservato che la prova della responsabilità dell’Avv. F. emergeva dai documenti allegati all’esposto.
Ed infatti, l’Avv. M. aveva allegato all’esposto copia della nota 22 maggio 2008, con cui trasmetteva istanza di vendita, precetto e titolo, copie delle note fax 29 luglio 2008, 1 ottobre 2008, 23 ottobre 2008, 5 novembre 2008, 6 novembre 2008, tutte contenenti richieste di notizie all’Avv. F. della procedura affidata con allegati report di conferma; copia raccomandata a.r. e relativi avvisi di ricevimento
regolarmente sottoscritti dell’1 dicembre 2008, con cui, dolendosi del mancato riscontro a tutte le precedenti missive, l’Avv. M. annunciava che in mancanza di notizie sarebbe stato costretto a rivolgersi al Consiglio dell’Ordine.
Infine, con l’esposto del 23 gennaio 2009, come già più volte anticipato, l’Avv. M. si doleva che anche gli innumerevoli tentativi di contattare telefonicamente l’Avv. F. non avevano sortito altro effetto, “se non quello di sentirsi sistematicamente appendere la cornetta in faccia”.
Esattamente ha osservato il COA di Pistoia che se l’Avv. F., come da lui sostenuto, non avesse ricevuto l’originaria documentazione (istanza di vendita, titolo e precetto), avrebbe potuto chiarire subito la questione con l’Avv. M., rispondendo ai suoi numerosi e pressanti fax ed alle telefonate dello stesso.
Correttamente quindi il COA di Pistoia ha ritenuto la responsabilità dell’Avv. F. per aver violato i doveri di lealtà e correttezza e non aver informato il collega sull’attività svolta e comunque sulla pratica a lui affidata in violazione degli artt. 6, 20 e 31 del Codice Deontologico.
Sul punto, valgono le medesime considerazioni ed i richiami di giurisprudenza già sopra evidenziati nelle analoghe fattispecie già prima esaminate.
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Prima di passare all’esame degli altri capi di incolpazione relativi alle mancate risposte al Consiglio dell’Ordine, si osserva come risultino privi di pregio – ed in verità anche di non facile comprensione – le osservazioni formulate con le note aggiuntive fatte pervenire a questo Consiglio in data 13 giugno 2011.
L’Avv. F. ha infatti sostenuto, in riferimento all’esposto dell’Avv. S. (capi di incolpazione 2a, 2b, 2c), che se questi lo avesse denunciato alla Magistratura, la presunta parte lesa, e cioè il cliente, avrebbe chiarito che alcuna lesione era avvenuta e nel frattempo sarebbe stato sospeso il giudizio disciplinare; per converso il COA di Pistoia non aveva dato luogo ad alcun approfondimento probatorio.
Va innanzitutto osservato come non si comprenda quale nesso logico ci sia tra la fattispecie esaminata dal COA – e documentalmente provata – circa la mancata risposta alle richieste di informazione da parte dell’Avv. S. e l’indebita ritenzione di somme spettanti alla cliente A. (già C.) e un preteso approfondimento istruttorio.
Allo stesso modo, appare totalmente inammissibile e priva di senso logico la doglianza in ordine ad un’ipotesi mai verificata (e che il ricorrente invece auspica che avrebbe dovuto accadere!) in merito ad una denuncia dell’Avv. F. da parte dell’Avv. S. alla Magistratura ordinaria.
Si tratta di mere ipotesi prive di qualsiasi fondamento o elemento di realtà e come tali del tutto inammissibili ed estranee a qualsiasi valutazione logico - giuridica.
***
Venendo ora ad esaminare gli altri capi di incolpazione (2d, 3b, 6c e 7c), che fanno riferimento al mancato riscontro da parte dell’Avv. F. alle richieste di deduzioni formulate dal COA di Pistoia a seguito degli esposti presentati nei suoi confronti, si osserva come alcuna censura in ordine alla decisione adottata dal COA a tale riguardo, sia stata formulata nel ricorso innanzi questo Consiglio, non risultando quindi investito lo stesso dell’esame di tali capi di incolpazione.
Peraltro, solo per completezza si osserva come in riferimenti ai predetti capi di incolpazione, anche nella memoria difensiva presentata dall’Avv. F. in relazione all’udienza disciplinare del 16 ottobre 2009 innanzi il Consiglio di Pistoia, nulla si sia osservato in merito agli stessi.
Le osservazioni sin qui formulate, nonché la considerazione della precedente sanzione della “censura” pacificamente irrogata all’Avv. F. e non oggetto di impugnativa, consentono di ritenere del tutto immune da censure la decisione impugnata anche sotto il profilo della congruità, dovendosi ritenere assolutamente corretta la sospensione per mesi tre dall’esercizio della professione irrogata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pistoia all’Avv. F., con conseguente rigetto del ricorso e conferma della predetta decisione.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale forense, riunito in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e 59 e segg. del R.D.
22.01.1934, n. 37;
respinge il ricorso.
Così deciso in Roma lì 16 giugno 2011.
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