Norme deontologiche - Dovere di lealtà, probità e decoro
Avvocato - Norme deontologiche - Dovere di lealtà, probità e decoro - Scrittura privata - Unilaterale integrazione di riconoscimento di debito - Sospensione per anni uno - Integra grave violazione deontologica degli artt. 5 e 6 c.d., in relazione alla quale va ritenuta congrua la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per anni uno, la condotta dell'avvocato che, dopo aver provveduto a redigere una scrittura privata di accordo sottoscritta dalle parti, aggiunga unilateralmente alla stessa, in un secondo tempo ed in assenza delle parti, un riconoscimento di debito a favore del suo assistito mai riconosciuto dalla controparte. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Genova, 26 novembre 2009). Consiglio Nazionale Forense 21-04-2011, n. 72
Avvocato - Norme deontologiche - Dovere di lealtà, probità e decoro - Scrittura privata - Unilaterale integrazione di riconoscimento di debito - Sospensione per anni uno - Integra grave violazione deontologica degli artt. 5 e 6 c.d., in relazione alla quale va ritenuta congrua la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per anni uno, la condotta dell'avvocato che, dopo aver provveduto a redigere una scrittura privata di accordo sottoscritta dalle parti, aggiunga unilateralmente alla stessa, in un secondo tempo ed in assenza delle parti, un riconoscimento di debito a favore del suo assistito mai riconosciuto dalla controparte. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Genova, 26 novembre 2009). Consiglio Nazionale Forense 21-04-2011, n. 72
Consiglio Nazionale Forense 21-04-2011, n. 72 FATTO
Con missiva d.d. 25 ottobre 2008 il signor R.R. trasmetteva al COA di Genova, per quanto di competenza, copia di una denuncia e dei relativi allegati, presentata in data 21 ottobre 2008 presso i carabinieri nei confronti dell’avvocato D.T., con la quale segnalava:
- di essere proprietario di un immobile in Genova, parzialmente locato alla E. s.a.s. di T.L.;
- che il contratto di locazione era cessato in data 17 ottobre 2008 con la liberazione dell’immobile da parte della richiamata società;
- che nello stesso giorno si era tenuto un incontro tra l’esponente, il sig. L.T. e il di lui figlio, Avv. D.T., per definire i rapporti tra le parti;
- che al termine della riunione l’avv. T. aveva redatto manualmente un atto, di poi sottoscritto dalle parti, in cui si precisava che il proprietario, essendo stati liberati i locali dal conduttore, nulla aveva più a che pretendere da quest’ultimo;
- di aver richiesto all’avv. T. una copia del documento, ma che non essendovi nei locali una fotocopiatrice, quest’ultimo si era impegnato a recapitargliela;
- che successivamente, da una copia del documento lasciata nella cassetta delle lettere, aveva constatato come risultasse aggiunta una frase sicuramente non presente all’atto della sottoscrizione e precisamente “che riconosco creditrice per euro 5.476,68”;
- di aver poi ricevuto in data 21 ottobre 2008 una raccomandata da parte dell’avv. T., datata 17 ottobre 2008, con la quale si chiedeva, per conto della E., il pagamento della somma di euro 5.476,68.
Denunciava, in definitiva, come l’avvocato T. avesse arbitrariamente aggiunto, successivamente alla sottoscrizione del documento, la dicitura contenente il su descritto riconoscimento di debito.
Informato sul contenuto dell’esposto, l’odierno incolpato faceva pervenire al COA di Genova in data tre novembre 2008 memoria scritta con la quale contestava tale ricostruzione mettendo in luce come vi fosse già stato uno scambio di corrispondenza tra lui e il sig. R.. In data 22 gennaio 2008 infatti era già intervenuto professionalmente, per conto di E., chiedendo, a fronte della disdetta, il pagamento di una indennità pari a 18 mensilità, e in data 31 gennaio il sig. R., con propria missiva, chiedeva di non considerare per data la disdetta, richiesta rifiutata con lettera del 6 febbraio 2008.
Sosteneva il ricorrente che il 17 ottobre 2010, data del rilascio dell’immobile, erano stati eseguiti i calcoli di dare/o avere, giungendo alla somma già richiamata attraverso la compensazione tra l’ammontare delle 18 mensilità e un debito per canoni non pagati e produceva un suo manoscritto a dimostrazione della effettuazione dei calcoli.
Spiegava poi come la diversità della grafia, relativa alla frase contestata, fosse imputabile alle condizioni e modalità precarie con cui il documento manoscritto era stato steso.
Successivamente il COA di Genova deliberava l’apertura del procedimento disciplinare per il seguente addebito:
“violazione dell’art. 5 (dovere di probità, dignità e decoro) e dell’art. 6 (dovere di lealtà e correttezza) del Codice Deontologico, poiché, dopo aver provveduto a redigere una scrittura privata di accordo sottoscritta dalle parti, in un secondo tempo unilateralmente in assenza delle parti aggiungeva alla stessa un riconoscimento di debito a favore del suo assistito mai riconosciuto dalla controparte”.
In Genova in epoca vicina e prossima al 17 ottobre 2008.
All’udienza del 29 ottobre 2009, presente l’incolpato e il suo difensore, si procedeva all’audizione dell’esponente che ribadiva come la dicitura contestata fosse stata aggiunta successivamente alla sottoscrizione del documento e a sua insaputa.
Infatti appena accortosi di tanto si era subito recato dai carabinieri. Veniva poi sentito l’incolpato che ribadiva quanto sostenuto in memoria, precisando che il contratto oggetto di disdetta era di sei anni più sei e che conteneva anche la previsione di contatto con il pubblico. Particolare quest’ultimo rilevante, in quanto da un lato contestato dal proprietario, dall’altro ritenuto dall’affittuario a sostegno del proprio credito.
Il procedimento veniva rinviato all’udienza del 26 novembre 2009 per l’acquisizione del contratto, e in tale udienza l’incolpato si riportava alle memorie agli atti, mentre il difensore concludeva per l’assoluzione.
Il COA di Genova riteneva la responsabilità dell’incolpato al quale infliggeva la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense per anni uno. La decisione del COA di Genova si fonda sulla deposizione resa dal sig. R. e sui riscontri documentali e logici ritenuti adeguati.
Osserva innanzitutto il COA come non vi sia contestazione sul fatto che la clausola di cui è processo sia stata redatta dall’incolpato, come il resto del documento. Rileva allora come la grafia relativa alla clausola sia di dimensione nettamente più piccola rispetto a quella dell’intero documento, come, ancora, in tutto il testo sia sempre stata usata la terza persona, mentre nella frase richiamata si usa la prima persona singolare, come il testo si soffermi su aspetti secondari, mentre il riconoscimento del debito viene liquidato solo con tre parole e senza alcuna specificazione su calcolo effettuato.
Invece, deduce il COA, il documento, letto privo della clausola, appare assolutamente coerente con la finalità indicata dall’esponente, ovvero la tacitazione del credito da questi vantato per canoni non versati e la restituzione dell’immobile. Ancora, il COA trova sospetta l’indicazione di una cifra, quale quella di cui alla nota clausola, specificata anche nei centesimi, poco compatibile con una transazione generale di dare e avere.
Oltre a ciò viene considerato rilevante il comportamento dell’esponente che si reca immediatamente dai carabinieri appena letto il documento in copia.
E del resto non appare logico che nel documento il debitore da un lato, e il creditore dall’altro, non si siano preoccupati di stabilire tempi e modalità di pagamento, e incongrua anche la monitoria, inviata lo stesso giorno della firma dell’accordo, da parte dell’odierno dell’incolpato, senza alcun intervallo di tempo.
Fra l’altro nel contratto d’affitto, acquisito agli atti, non vi era la previsione di contatto con il pubblico da cui sarebbe derivato il diritto all’indennità, quanto invece la previsione contraria.
Quanto alla sanzione, il COA riteneva il fatto addebitato di assoluta gravità, e infliggeva quindi la sospensione di anni uno, anche in considerazione di due precedenti a carico dell’odierno ricorrente, ovvero un avvertimento e una censura. Avverso tale decisione proponeva tempestivo ricorso l’avvocato D.T..
Con primo motivo contesta la ricostruzione in fatto operata dal COA di Genova. Osserva come il COA abbia valutato le emergenze istruttorie in un’ottica di mera accusa, senza dare rilievo alle possibili diverse letture delle stesse, letture che avrebbero potuto portare a conclusioni opposte.
Da questo punto di vista, l’odierno incolpato non condivide la decisione del COA di non dare rilievo ai carteggi intervenuti tra le parti mesi prima della stipula dell’accordo.
Su questi carteggi, il signor R., in sede di udienza disciplinare, si sarebbe più volte contraddetto, negando di averli sottoscritti per poi ammettere di averlo fatto, precisando che i testi erano stati predisposti dal figlio ingegnere, e da lui fatti propri. Peraltro, sostiene il ricorrente, anche con riferimento al documento oggetto di esposto, in udienza il signor R. pare esprimere incertezze, quando riferisce di un atto letto con leggerezza e sottoscritto di fretta in quanto atteso da altri impegni. Quando poi riferisce del documento successivamente letto, il sig. R. si esprime nel senso di ritenere che la clausola di debito non vi fosse prima, perciò non pare sicuro.
Dunque non può riconoscersi piena credibilità all’esponente. Il ricorrente sostiene ancora come ogni perplessità sollevata dal COA possa avere una lettura di segno contrario, con riferimento alle circostanze:
- che la grafia relativa alla clausola sia di dimensione più piccola rispetto a quella dell’intero documento, può derivare dalle condizioni precarie in cui è stato predisposto l’atto;
- che in tutto il testo sia sempre stata usata la terza persona, mentre nella frase richiamata si usi la prima persona singolare, può essere letta come una ingenuità, non certo riferibile a un avvocato che voglia ingannare controparte;
- che il testo si soffermi su aspetti secondari, mentre il riconoscimento del debito viene liquidato solo con tre parole e senza alcuna specificazione su calcolo effettuato, dipende dal motivo che i calcoli erano già stati separatamente predisposti, ciò spiega anche la precisione al centesimo della cifra;
- che l’esponente si rechi immediatamente dai carabinieri appena letto il documento in copia, può dipendere da una convinzione in buona fede, ma errata;
- che la monitoria sia stata inviata lo stesso giorno della firma dell’accordo, dipende dalla opportunità di stringere i tempi di chiusura di una vertenza che si trascinava da tempo.
Né rileva la circostanza che nel contratto d’affitto non vi era la previsione di contatto con il pubblico, da cui sarebbe derivato il diritto all’indennità, ma anzi la previsione contraria, essendo il contatto con il pubblico una condizione in fatto. Con secondo motivo, il ricorrente lamenta l’eccessività della sanzione, avendo il COA di Genova dato troppo rilievo a due precedenti non gravi e di natura diversa, e poco peso al corretto comportamento processuale che pure il COA riconosce. Conclude chiedendo in via principale l’assoluzione e in via subordinata una riduzione della sanzione.
In data 06 novembre 2010, perveniva al CNF comparsa di costituzione dell’avvocato Roberto G. Aloisio, con a margine procura alla difesa, in una alla copia di verbale di denuncia querela presentata dal signor R.A. in data 21ottobre 2008.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Trattasi sicuramente di procedimento indiziario, ma altrettanto sicuramente l’esito della fase istruttoria permette di superare qualsivoglia dubbio circa la responsabilità dell’incolpato.
La corrispondenza intercorsa tra il ricorrente e il sig. R. in epoca precedente ai fatti addebitati, in realtà non fa altro che confermare come vi fosse una vertenza in essere, e come, dunque, l’accordo di data 17 ottobre 2008 dovesse in primo luogo risolvere la questione. Detto ciò, il COA correttamente osserva come il testo dell’accordo si soffermi su aspetti secondari, mentre il riconoscimento del debito viene liquidato solo con tre parole e senza alcuna specificazione su calcolo effettuato e come nel documento il debitore da un lato, e il creditore dall’altro, non si siano preoccupati di stabilire i tempi e le modalità di pagamento.
Ciò stride con il chiarimento che l’incolpato fornisce circa l’invio così immediato della messa in mora, che addirittura risulta datata lo stesso 17 ottobre, ovvero l’esigenza di definire in fretta la questione,.
Insomma il sig. R. si riconosce debitore, la vertenza viene risolta con soddisfazione reciproca, al punto che neppure vengono concordati i termini di pagamento, e nonostante ciò immediatamente parte l’ingiunzione di pagamento. Davvero poco credibile.
Rileva ancora correttamente il COA come il documento, letto privo della clausola, appare invece assolutamente coerente con la finalità indicata dall’esponente, ovvero la tacitazione del credito da questi vantato per canoni non versati e la restituzione dell’immobile.
Detto poi come la frase oggetto di indagine sia incontestabilmente da attribuirsi all’incolpato, come da questi riconosciuto, va considerato come la grafia di detta frase sia sicuramente anomala rispetto al contesto generale del documento. La dicitura “che riscontro creditrice per € 5.476,68#”, si caratterizza per essere: a) nella norma quanto al “che”, b) più piccola quanto a “riconosco creditrice per”, c) di nuovo espansa quanto a “€ 5.476,68”, con la cifra 4 sensibilmente staccata dalla cifra 5.
Il che è spiegabile con l’inserimento successivo di detta frase, laddove all’inizio, si parte con la grandezza conforme al resto del testo (che), quindi si stringe e riduce la grandezza, non sapendo quanto dello spazio utile si occuperà(riconosco creditrice), infine , verificato che lo spazio c’è, ci si torna a espandere (€ 5.476,68). Assolutamente indicativo della apposizione successiva dell’espressione contestata, anche il passaggio dalla terza persona, propria di tutto il testo, alla prima persona: “riconosco debitrice”.
Completa infine il quadro probatorio il comportamento, immediatamente successivo al ricevimento della monitoria, tenuto dal sig. R., che si reca subito dai carabinieri per denunciare il fatto, assumendosi la grave responsabilità di tale iniziativa. Per di più, come in parte già visto, la lettura alternativa dei fatti, proposta dal ricorrente, appare incoerente e non credibile.
A quanto già osservato in proposito, si aggiunga come la giustificazione per cui la grafia della frase contestata risulti anomala rispetto al resto, in quanto determinata dalle condizioni precarie di redazione, non spiega davvero nulla; in particolare non spiega perché tali condizioni avrebbero dovuto influire solo e proprio su detta frase. Priva di contenuto apprezzabile anche l’osservazione per cui il passaggio dalla terza alla prima persona non sarebbe compatibile con un atteggiamento in malafede, mentre è di certo indice di mancanza di continuità temporale tra la stesura del testo generale e la stesura della frase particolare.
In sintesi, le emergenze documentali e i riscontri esterni alle stesse sono assolutamente concordanti e univoche nel senso della responsabilità dell’incolpato, mentre le giustificazioni difensive appaiono per lo più inconferenti e spesso tra di loro contraddittorie.
Quanto alla sanzione, il fatto è assolutamente grave e certamente in violazione degli articoli del codice deontologico contestati.
Appare dunque congrua la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per anni uno.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale forense, riunito in Camera di Consiglio; visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e 59 e segg. del R.D. 22.01.1934, n. 37;
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma lì 12 novembre 2010. IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE f.f.
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