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Sentenza penale di condanna - Efficacia giudicato nel procedimento disciplinare

La sentenza penale di condanna, divenuta definitiva ex art. 653 c.p.p., ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’incolpato lo ha commesso; mentre al consiglio dell’ordine residua solo la valutazione della rilevanza disciplinare dei fatti stessi. Consiglio Nazionale Forense (Pres. Alpa, Rel. Mascherin), sentenza del 20 febbraio 2012, n. 14

 

Consiglio Nazionale Forense (Pres. Alpa, Rel. Mascherin), sentenza del 20 febbraio 2012, n. 14

FATTO
1. Con deliberazione in data 15.4.2009 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze apriva il procedimento disciplinare n. 14/2009 R.D. nei confronti dell’avv. M. M., “incolpato di violazione degli artt. 12, 38 e 44 R.D. L.vo n. 1578 del 27.11.33 per essersi reso colpevole, nell’esercizio della professione, di abusi, mancanze e comunque di fatti non conformi alla dignità ed al decoro professionale: - in quanto imputato nel procedimento penale n. 12397/99 R.G.N.R. Procura della Repubblica di Firenze “del reato di cui agli artt. 110, 485, 491, 493, e 61 n. 7 c.p. perché, in concorso con persone allo stato ignote, al fine di procurarsi un vantaggio, formava o faceva formare un testamento olografo completamente falso a firma apocrifa di S. T. datandolo 27.03.98 e di cui successivamente veniva fatto uso facendolo pervenire al Notaio G., che lo pubblicava in data 14.05.98 su richiesta dello stesso M..
Fatto aggravato per aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità alle persone offese privandole dell’attualità dei loro diritti successori.
Fatto accertato in Firenze il 12 maggio 1998 (data in cui il testamento è pervenuto al notaio)”, riportava condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione.
Sentenza divenuta definitiva in data 28.11.2007”.
Con la stessa deliberazione il Consiglio dell’Ordine citava l’incolpato a giudizio.
2. Nelle more dell’udienza dibattimentale l’incolpato depositava, tra l’altro, proprie perizie grafiche dalle quali risultava l’autenticità del testamento in questione;
depositava altresì memoria difensiva, con produzione documentale, con la quale veniva ricostruita la complessa vicenda, sottolineato come egli avesse rinunciato, dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze, alla prescrizione del reato e come avesse pagato tutte le spese processuali e legali; veniva ancora dedotto come le decisioni della Corte d’Appello e della Corte di cassazione fossero giunte all’affermazione di responsabilità senza adeguati riscontri e comunque con una determinazione di attribuzione del fatto che, per la finalità del giudizio disciplinare, non appariva vincolante. Chiedeva quindi l’archiviazione del procedimento.
3. Con decisione in data 30.9.2009/17.9.2010, il Consiglio dell’Ordine, ritenuta la responsabilità dell’incolpato, gli irrogava la sanzione della sospensione per mesi otto, nella sostanza rilevando:
- che, ex art. 653, comma 1 bis, cod. proc. pen., la sentenza penale irrevocabile di condanna aveva efficacia giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso;
- che era vero che l’organo disciplinare doveva compiere un percorso argomentativo autonomo, ma nel senso di evitare una ricezione acritica della sentenza penale quanto ai profili di rilevanza deontologica, restando ferma l’efficacia di “stato” di cui all’art. 653 cod. proc. pen.;
- che comunque la ricostruzione giudiziale del fatto appariva logicamente coerente e riscontrata da elementi oggettivi;
- che la rinuncia alla prescrizione non consentiva di pervenire ad una diversa ricostruzione del fatto;
- che il fatto era grave, ma che andava tenuto conto dell’assenza di precedenti disciplinari e che si trattava di un fatto risalente.
4. Avverso tale decisione propone rituale impugnazione l’incolpato eccependo innanzi tutto la prescrizione dell’azione disciplinare, dal momento che il fatto risale al 1998, il procedimento penale è stato radicato nel 1999 e l’iniziativa del Consiglio dell’Ordine è del 2008, a nulla rilevando l’apertura nel termine del procedimento penale ove non sia stato aperto il procedimento disciplinare;
Rileva poi di essersi trovato coinvolto nella vicenda in quanto chiamato dal notaio al quale era pervenuta la scheda testamentaria che lo nominava legatario;
egli prima di resistere all’impugnazione di tale scheda da parte dell’esecutore testamentario, pur riconoscendo autentica la sottoscrizione della zia testatrice, aveva fatto analizzare la scrittura da esperti calligrafi, i quali avevano riconosciuto l’autenticità. Il giudice penale aveva deciso senza reali prove ed egli nel giudizio d’appello aveva rinunciato alla prescrizione.
Chiede la declaratoria di prescrizione o comunque il proscioglimento; in subordine la riduzione della sanzione.
DIRITTO
Va innanzi tutto escluso che nella fattispecie sia maturata la prescrizione.
Va infatti ricordato che, per effetto della modifica dell’art. 653 cod. proc. pen. disposta dall’art. 1 della legge n. 97/2001 (secondo cui l’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione, nel giudizio disciplinare, non è più limitata alla sentenza resa in dibattimento e si estende, oltre che ai casi di assoluzione per insussistenza del fatto e perché l’imputato non lo ha commesso, a quella disposta perché il fatto non costituisce reato), qualora l’addebito disciplinare riguardi gli stessi fatti contestati in sede penale, si impone la sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di quello penale. Tale pregiudizialità opera anche nella fase amministrativa del procedimento, posto che la norma fa riferimento ai procedimenti disciplinari davanti alle pubbliche autorità, e determina un ostacolo al diritto di procedere, con la conseguenza che il termine di prescrizione non corre a causa di tale impedimento di diritto (Cass., s.u., 1 febbraio 2010, n. 2223; Consiglio Nazionale Forense, 21 aprile 2011, n. 71).
Poiché nella fattispecie all’avv. M. sono stati contestati in sede disciplinare gli stessi fatti contestati in sede penale, il termine di prescrizione ha iniziato a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza penale (28.11.2007) e non si è pertanto compiuto.
Parimenti infondata è la richiesta di assoluzione nel merito, ostandovi in primo luogo il disposto dell’art. 653, comma 1 bis, cod. proc. pen., che afferma che “La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso”.
Dinanzi al passaggio in giudicato della condanna dell’avv. M. per i fatti contestati, pertanto, l’organo disciplinare non può rimettere in discussione la sussistenza del fatto e la sua commissione ad opera dell’incolpato (Consiglio Nazionale Forense, 4 dicembre 2003, n. 387), residuando solo la valutazione della rilevanza disciplinare dei fatti.
Non potendosi peraltro non condividere l’affermazione del Consiglio dell’Ordine di Firenze circa la coerenza logica della ricostruzione giudiziale del fatto e la circostanza che essa è riscontrata da elementi oggettivi, affermazione che le censure del ricorrente, nella sostanza ripetitive di ragioni già svolte, non appaiono in grado di scalfire.
Non occorre poi dilungarsi sulla rilevanza disciplinare del fatto in questione, così come accertato dal giudice penale, trattandosi della formazione e dell’uso di una falsa scheda testamentaria, chiaramente idonei ad integrare un abuso o una mancanza nell’esercizio professionale o comunque un fatto non conforme alla dignità ed al decoro professionale.
L’oggettiva gravità del fatto consente di ritenere equa e proporzionata la sanzione inflitta.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale forense, riunito in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e 59 e segg. del R.D. 22.01.1934, n. 37;
respinge il ricorso.
Così deciso in Roma lì 22 settembre 2011.