soggezione a fallimento delle società “in house providing”
Società in house – Soggezione a fallimento ai sensi dell’art. 1 legge fall. – Irrilevanza del controllo analogo – Ragioni. Corte di Cassazione, sez. 1, sentenza n. 5346 del 22 febbraio 2019, commento a cura della Dott.ssa Ilaria Gonnellini.
Fatto. La Corte d’Appello de L’Aquila revocava il fallimento della AAA___s.r.l. in liquidazione, società partecipata da diversi comuni, sul rilievo che la stessa era da considerare in house e, pertanto, non assoggettabile a fallimento essendo “in qualche misura” parificabile agli enti pubblici.
Avverso la sentenza de qua, la curatela del fallimento proponeva ricorso per cassazione facendo valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 1, legge fall. e dell’art. 4 della legge n. 70/1975, attesa l’alterità soggettiva della società in house rispetto agli enti pubblici partecipati.
Decisione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso con rinvio, soffermandosi sulla natura sostanzialmente privatistica della società di capitali con partecipazione pubblica e sul rapporto di sostanziale autonomia tra la società e l’ente locale, non autorizzato ad incidere in via unilaterale sull’attività societaria mediante l’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali.
In particolare la Corte, richiamando la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato n. 2533/17) in tema di “controllo analogo” esercitato dall’amministrazione sulla società partecipata – secondo cui tale relazione interorganica consente all’azionista pubblico di svolgere un’influenza dominante sulla società, se del caso avvalendosi di strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, ma non incide sull’alterità soggettiva della società controllata rispetto all’ente pubblico controllante rimanendo, la prima, un autonomo centro di imputazione di rapporti e situazioni giuridiche soggettive –, ha riconosciuto l’assoggettabilità a fallimento della società in house ai sensi dell’art. 1 della legge fall., che esclude dall’area della concorsualità gli enti pubblici ma non anche le società a partecipazione pubblica per le quali, a ben vedere, trovano applicazione le norme del codice civile sulle società di capitali nonché quelle sul fallimento, sul concordato preventivo e sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
La Suprema Corte, invero, ha affermato che la scelta del legislatore di consentire il perseguimento dell’interesse pubblico anche attraverso gli ordinari strumenti privatistici comporta, in ogni caso, l’assunzione per le società partecipate dei rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto e attesa la necessità di rispettare le regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra tutti coloro che operano all’interno di uno stesso mercato con le medesime forme e modalità (cfr. Cass. n. 22209/13).