La responsabilità del medico -
Le Responsabilità Professionali (di Vittoria Amirante) Corte suprema di cassazione Ufficio del Massimario Rassegna della giurisprudenza di legittimità - Gli orientamenti delle Sezioni Civili - La responsabilità del medico. Il tema classico, sul quale anche nel corso di quest’anno si è appuntato il sindacato nomofilattico della Corte di cassazione in tema di responsabilità medico-sanitaria, è quello che attiene agli oneri probatori gravanti rispettivamente sul professionista sanitario e sul paziente.
In particolare Sez. 3, n. 10050/2022, Spaziani, Rv. 664402-01, in tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali (tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica, anteriormente alla l. n. 24 del 2017), ribadisce l’ormai consolidato orientamento (a partire da Sez. 3 Sentenza n. 28991/2019, Rv. 655828-01, e poi ribadito anche da Sez. 6-3, n. 26907/2020, Rv. 659901-01, secondo il quale è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità, secondo il criterio del “più probabile che non”, tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all’agente.
Sempre in tema di oneri probatori, la recentissima Sez. 6-3, n. 35024/2022, Iannello, Rv. 666349-01, è tornata ad affrontare il tema delle cd. complicanze, rilevabili nella statistica sanitaria, ribadendo quanto già affermato da Sez. 3, n. 13328/2015, Rv. 636015-01, ossia che, nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all’art. 1218 c.c. non è sufficiente dimostrare che l’evento dannoso per il paziente costituisca una “complicanza”, rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione — indicativa nella letteratura medica di un evento, insorto nel corso dell’iter terapeutico, astrattamente prevedibile ma non evitabile — priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva escluso la responsabilità del medico per la paresi dei nervi laringei e per una transitoria ipocalcemia sofferte dal paziente in esito ad un intervento di tiroidectomia, perché dall’accertamento compiuto era emerso che i menzionati esiti peggiorativi, seppur prevedibili, non erano evitabili, a nulla rilevando la loro teorica classificazione clinica — irrilevante sotto il profilo giuridico — come “complicanze”).
Quanto, poi, ai criteri di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile Sez. 3, n. 25884/2022, Pellecchia, Rv. 665948-01, in un caso di responsabilità di una struttura sanitaria, ha affermato che, qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente.
Consolidato può dirsi anche il principio espresso da Sez. 6-3, n. 27279/2022, Guizzi, Rv. 665722-01, o a carico del sanitario, che specifica che, in tema di responsabilità civile derivante dall’esercizio professionale dell’attività medico-chirurgica, a fronte dell’allegazione del relativo inadempimento da parte del paziente, il medico è tenuto a provare di avere adempiuto all’obbligazione di avergli fornito un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze.
Si è, inoltre, indagato il contenuto della prestazione cui il medico è obbligato chiarendo, in primo luogo, Sez. 3, n. 13510/2022, Porreca, Rv. 664845-01, che il cosiddetto “Soft law” delle linee guida — pur non avendo la valenza di norma dell’ordinamento — costituisce espressione di parametri per l’accertamento della colpa medica, che contribuiscono alla corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella legale disciplinata da clausole generali, quali quelle contenute negli artt. 1218 e 2043 c.c. e, in secondo luogo, Sez. 3, n. 13509/2022, Porreca, Rv. 664818-01, che l’attività dovuta dal medico-chirurgo non è limitata all’intervento chirurgico di cui è incaricato, ma si estende, coerentemente alla compiutezza della sua prestazione ed in relazione al correlato interesse di tutela della salute del paziente, alle informazioni relative al doveroso “follow up” prescritto dai protocolli o comunque ritenuto corretto dalla comunità scientifica in relazione alla specifica diagnosi effettuata nel caso concreto. (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso con cui il medico-chirurgo aveva censurato la sentenza di condanna al risarcimento del danno, legato alla perdita delle possibilità di sopravvivenza di un paziente deceduto per un melanoma, in ragione dell’omessa informazione al paziente sulla necessità di eseguire, oltre i dieci anni dall’intervento chirurgico, un “follow up”, come previsto da studi scientifici in corso all’epoca dell’intervento).
Sul delicato versante del diritto alla autodeterminazione del paziente Sez. 3, n. 26209/2022, Porreca, Rv. 665650-01, ha precisato che, se da un lato, il medico può legittimamente rifiutare di eseguire un intervento a rischio emorragico ove il paziente, pur prestando il consenso all’intervento, abbia manifestato un inequivoco dissenso all’esecuzione di trasfusioni di sangue in caso di avveramento di tale rischio, perché il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali, dall’altro, qualora il sanitario opti comunque per l’esecuzione dell’intervento, è tenuto a rispettare il dissenso opposto, diversamente integrandosi la lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente.
Per quanto, invece, attiene sia ai rapporti interni tra medico e struttura che ai rapporti tra più strutture in termini di esonero di responsabilità o di responsabilità solidale, da un lato, Sez. 3, n. 25972/2022, Porreca, Rv. 665647¬01, ha chiarito che la responsabilità contrattuale nei confronti del paziente propria della struttura sanitaria comprende anche l’assunzione del rischio per i danni che al creditore possano derivare dall’utilizzazione di terzi per l’adempimento dell’obbligazione negoziale, ma non è configurabile qualora il pregiudizio consegua alla condotta di un soggetto terzo riferibile ad altra struttura, la quale abbia posto in essere una successiva e distinta presa in carico del medesimo paziente, dall’altro Sez. 3, n. 26275/2022, Vincenti, Rv. 665623¬01, ha affermato che ai fini dell’esonero dalla responsabilità contrattuale derivante da emotrasfusione, la struttura sanitaria inserita nella rete del SSN presso la quale è stato praticato il trattamento con sangue infetto — qualora non abbia provveduto con un proprio autonomo centro trasfusionale ed abbia utilizzato sacche acquisite tramite il servizio pubblico competente — è onerata di provare la propria condotta diligente e, cioè, di essersi concretamente accertata che il sangue trasfuso sia stato sottoposto a controlli preventivi ed effettivi da parte di quel servizio. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva escluso la responsabilità contrattuale di un ospedale in base alla sola considerazione che le sacche di sangue non provenivano da un centro trasfusionale autonomo interno all’ospedale, bensì da un centro ad esso esterno).
Quanto al profilo inerente al rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, Sez. 3, n. 08116/2022, Porreca, Rv. 664550-01, riaffermando il principio — già espresso nel corso del 2019, in via generale, da Sez. 3, n. 28987/2019, Porreca, Rv. 655790-01, e ribadito nel 2021 da Sez. 3, n. 29001/2021, Porreca, Rv. 662914-01 — secondo cui la responsabilità della struttura sanitaria è autonoma da quella del medico del quale la stessa si sia avvalsa, configurandosi come responsabilità per fatto proprio e non per fatto altrui, ha chiarito che la rinuncia all’impugnazione principale da parte del medico non determina l’inefficacia dell’impugnazione incidentale proposta dalla struttura sanitaria, anche tenuto conto che alla fattispecie non è applicabile l’art. 334, comma 2, c.p.c. (che si riferisce alla sola declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione principale). Sotto il diverso profilo delle interferenze tra giudizio civile e penale e degli effetti del giudicato penale in sede civile Sez. 3, n. 26811/2022, Vincenti, Rv. 665705-01, ha affermato che nella controversia civile promossa dal danneggiato al fine di ottenere la condanna di una struttura sanitaria al risarcimento dei danni, a titolo di responsabilità contrattuale ex art. 1228 c.c., per il fatto colposo dei medici dei quali la stessa si sia avvalsa nell’adempimento della propria obbligazione di cura, la sentenza penale irrevocabile — pronunciata, all’esito di dibattimento, nel processo al quale abbia partecipato (o sia stato messo in condizione di partecipare) il solo danneggiato come parte civile — che abbia assolto i medici con la formula “perché il fatto non sussiste”, in virtù dell’accertamento dell’insussistenza del nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento iatrogeno, sulla base dei medesimi fatti oggetto del giudizio civile risarcitorio, esplica, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., piena efficacia di giudicato, ostativo di un diverso accertamento di quegli stessi fatti, ed è opponibile all’attore danneggiato, ai sensi dell’art. 1306, comma 2, c.c., da parte della struttura sanitaria convenuta (debitrice solidale con i medici assolti in sede penale), ove la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata in primo grado e successivamente coltivata.
In tema di effetti protettivi del contratto, in sostanziale continuità con quanto affermato da Sez. 3, n. 14615/2020, Sestini, Rv 658328-01, e da Sez. 6¬3, n. 21404/2021, Guizzi, Rv 662040-01, Sez. 3, n. 11320/2022, Spaziani, Rv. 664513-01, ha ribadito la natura extracontrattuale della autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall’inadempimento dell’obbligazione sanitaria, posto che il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, perché, fatta eccezione per il circoscritto campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione, trova applicazione il principio generale di cui all’art. 1372, comma 2, c.c.. In particolare la S.C. ha ribadito il principio escludendo la spettanza dell’azione contrattuale “iureproprio ” alla moglie di un soggetto che, affetto da Morbo di Parkinson, si era allontanato dalla struttura sanitaria presso cui era ricoverato e non era stato mai più ritrovato, precisando che la stessa avrebbe potuto eventualmente beneficiare della tutela aquiliana, con le conseguenti regole in tema di ripartizione dell’onere della prova.
In tema di danno da perdita di “chance” in materia di responsabilità sanitaria, particolarmente rilevante risulta essere Sez. 3, n. 25886/2022, Pellecchia, Rv. 665403-01, sviluppando i concetti già espressi da Sez. 3, n. 21245/2012, Rv. 624449-01, e da Sez. L, n. 13491/2014, Rv. 631459-01, ha precisato che la domanda risarcitoria del danno per la perdita di “chance” è, per l’oggetto, ontologicamente diversa dalla pretesa di risarcimento del pregiudizio derivante dal mancato raggiungimento del risultato sperato, il quale si sostanzia nell’impossibilità di realizzarlo, caratterizzata da incertezza (non causale, ma) eventistica, posto che la “chance” non è una mera aspettativa di fatto, bensì la concreta ed effettiva possibilità di conseguire un determinato risultato (nella specie, dedotto come riduzione del rischio di recidiva di ictus) o un certo bene, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita configura un danno concreto ed attuale. In applicazione del principio, la S.C. ha, così, confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto nuova e, dunque, inammissibile la domanda risarcitoria per perdita di “chance” avanzata per la prima volta in appello.