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Contatore della luce manomesso al fine di impedire l'esatta registrazione dei consumi stessi

Contatore della luce manomesso al fine di impedire l'esatta registrazione dei consumi stessi - colpa dei nuovi acquirenti  per non aver controllato, immettendosi nel possesso, l'integrita' del misuratore

Contatore della luce manomesso al fine di impedire l'esatta registrazione dei consumi stessi - colpa dei nuovi acquirenti  per non aver controllato, immettendosi nel possesso, l'integrità del misuratore (Corte di cassazione Sezione III civile Sentenza 13 aprile 2005, n. 7679)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 5 ottobre 1994 la S.p.a. Enel conveniva in giudizio, avanti il Giudice di pace di Rossano, A.C., per sentirla condannare al pagamento della somma di lire 1.812.617 (euro 936,14), pari all'importo non pagato dell'energia consumata nel periodo dal maggio 1982 all'aprile 1997, comprensivo di accessori (importo erariale, sovrapprezzo tecnico ecc.).

Esponeva l'attrice che in data 26 aprile 1987 suoi dipendenti avevano accertato e verbalizzato che il misuratore dei consumi dell'energia (contatore) dell'abitazione dell'utente A.C., sita in Rossano Scalo via Adriatico n. 6, era stato manomesso al fine di impedire l'esatta registrazione dei consumi stessi.

La convenuta, costituitasi, asserendo di aver preso possesso dell'appartamento solo in data 4 giugno 1996, per averlo acquistato con rogito notarile dai coniugi P.A. e U.F., e che ignorava che il misuratore era stato manomesso, contestava di dover rispondere del consumo dell'energia effettuato prima di tale data, eccepiva la prescrizione del diritto dell'Enel ai sensi degli artt. 2947 e 2948 c.c. e chiedeva di chiamare in causa i suoi venditori.

Costoro, costituitisi in giudizio, negavano l'addebito di aver manomesso il contatore.

Il giudice di pace con sentenza 39/2002, depositata il 7 marzo 2002, condannava la convenuta a pagare all'attrice la somma di lire 575.794 (euro 297,37), oltre interessi di mora dal luglio 1986 al soddisfo; condannava altresì la stessa a pagare la metà delle spese di giudizio in favore dell'attrice e la metà delle stesse spese in favore dei chiamati in causa.

Per la cassazione della decisione ricorre la A. esponendo due motivi. Nessuna difesa è stata svolta dagli intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell'obbligo di astenersi dal decidere, a sensi dell'art. 51 c.p.c., da parte del Giudice di pace avv. L.R. per la sua relazione con il difensore della parte attrice (A.C.), esso avv. G.Z., in quanto difensore di altro soggetto, tale P.P., nel giudizio civile intrapreso da costui nei confronti dello stesso avv. L.R. e pendente davanti al tribunale di Rossano con il n. 174/95, giusta l'attestazione della cancelleria dello stesso tribunale di cui al certificato del 23 maggio 2002.

Assume la ricorrente che la presente causa, dopo vari rinvii, era passata al Giudice di pace avv. L.R., che, senza darne comunicazione alle parti, l'aveva trattenuta in decisione ed emesso la sentenza impugnata, di tal che non era stata data la possibilità al suo difensore di esercitare la ricusazione nei confronti dello stesso giudice.

Il motivo è infondato.

Ed invero, dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che l'inadempimento dell'obbligo di astensione ex art. 51 c.p.c. può essere fatto valere come motivo di impugnazione, per l'irregolare costituzione del giudice naturale, in ipotesi in cui la parte interessata non sia stata messa in condizione di esercitare la ricusazione (Cass. civ. 5193/1998).

Tuttavia, l'unica ipotesi presa in considerazione dalla giurisprudenza come causa di nullità della sentenza, o addirittura di inesistenza della medesima, è quella in cui il giudice sia direttamente interessato alla controversia, assumendo la figura di parte formale o sostanziale.

Orbene, nel caso in esame non solo non si conosce l'oggetto dell'altro giudizio, ma nemmeno risulta specificato quale sia l'interesse dell'avv. L.R. a partecipare al medesimo.

Con il secondo motivo, deducendo violazione dell'art. 2043 c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3, e 5, c.p.c., si censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha ritenuto che "non è possibile esonerare la convenuta dal ristoro del danno subito dall'Enel, in quanto dal momento dell'acquisto dell'appartamento deve considerarsi in colpa per non aver controllato, immettendosi nel possesso, l'integrità del misuratore...".

Ritiene la ricorrente che il criterio di equità è iniquo perché contrario alla logica corrente, al comune buon senso e a norme di diritto, in quanto, da un lato, si riconosce che l'atto illecito e stato messo in opera dai precedenti proprietari e, dall'altro, si pone a carico dell'acquirente un obbligo che non aveva alcun riscontro giuridico.

Anche tale secondo motivo è infondato. Ed invero, risponde al comune buon senso che chi prende possesso di un appartamento per civile abitazione, quale acquirente o conduttore, ne controlli non solo l'efficienza dei servizi, ma anche la loro regolare tenuta in ragione dell'utenza che se ne è fatta. Ed infatti, ai fini della sussistenza della colpa, l'art. 2043 c.c. richiede che l'evento non sia voluto dall'agente, ma si verifichi, oltre che per inosservanza di norme giuridiche, per negligenza, imprudenza, imperizia, la cui misura di valutazione è, per giurisprudenza costante, rapportata alla diligenza del buon padre di famiglia.

Orbene, il Giudice di pace ha dato contezza della decisione adottata, specificando che la colpa della A. è da ravvisarsi nel fatto di non aver controllato il misuratore dell'energia elettrica quando si è immessa nel possesso dell'appartamento, bensì di averne tratto vantaggio non corrispondendo l'importo per il consumo di energia nel periodo dal 4 giugno 1986 al 6 aprile 1987.

Resta così superato, perché infondato, il presupposto, giuridico e di fatto, su cui poggia il terzo motivo di ricorso, vale a dire la doglianza sui criteri di attribuzione delle spese di lite.

Ed infatti, se la convenuta-ricorrente avesse usato l'ordinario criterio di diligenza, non solo avrebbe evitato di trovarsi nella situazione accertata dai dipendenti dell'Enel, ma avrebbe fatto al che l'ente erogatore si rivolgesse a tempo debito nei confronti dei precedenti fruitori dello stesso servizio.

Ne consegue il rigetto del ricorso, senza onere di pagamento delle spese del presente giudizio, stante l'assenza dell'intimato ente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; nulla per le spese.

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it