giurisdizione civile - giurisdizione ordinaria e amministrativa Cassazione Civile Sez. U, Sentenza n. 21585 del 20/09/2013
Concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche anteriori alla legge n. 205 del 2000 - Relative controversie - Compromettibilità in arbitri - Esclusione - Fondamento - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 5 legge n. 1034 del 1971 - Configurabilità - Operatività dell'art. 31 bis legge n. 109 del 1994 - Esclusione - Applicabilità del sopravvenuto art. 6 della legge n. 205 del 2000 - Esclusione - Ragioni. Cassazione Civile Sez. U, Sentenza n. 21585 del 20/09/2013
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Cassazione Civile Sez. U, Sentenza n. 21585 del 20/09/2013
In materia di concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche e in riferimento alla compromettibilità in arbitri delle relative controversie, ove la concessione sia anteriore alla legge 21 luglio 2000, n. 205, è esclusa la possibilità di ricorrere all'arbitrato, con conseguente nullità della clausola compromissoria, sussistendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, atteso che l'equiparazione, ai fini della giurisdizione, delle concessioni di opere pubbliche agli appalti, operata dall'art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109, non concerne le concessioni di costruzione e gestione, dalle quali deriva un rapporto non assimilabile all'appalto per la natura di attività autonoma della gestione, che presuppone la costruzione dell'opera, e trovando il concessionario compenso per la propria attività anche nella successiva gestione. Né, in senso contrario, assume rilievo il disposto dell'art. 6 della citata legge n. 205 del 2000, che non pone una norma sulla giurisdizione ma riguarda una questione di merito, relativa alla validità ed efficacia del compromesso e della clausola compromissoria (attribuendo la facoltà di ricorrere all'arbitrato anche per le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quando la controversia riguardi diritti soggettivi), e non può avere, in mancanza di una espressa previsione di retroattività, effetti sananti della originaria invalidità della clausola stipulata, la cui valutazione resta ancorata alle norme vigenti al momento del perfezionamento dell'atto.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione in data 4 luglio 2007 il Comune di Città S. Angelo conveniva in giudizio, dinnanzi alla Corte d'appello dell'Aquila, la Società Italiana per Condotte d'acqua p.a., chiedendo che venisse dichiarata la nullità del lodo emesso in data 26 luglio 2006, con il quale era stata definita una lite insorta con la convenuta in relazione all'adempimento della convenzione in data 15 giugno 1992, avente ad oggetto la realizzazione e la gestione, in regime di concessione, delle opere di urbanizzazione dell'area commerciale all'ingrosso, in località Veronica di Città S. Angelo. L'appellante si doleva del fatto che il collegio arbitrale avesse disatteso le eccezioni pregiudiziali, e segnatamente quella di difetto di giurisdizione, e che lo avesse condannato al pagamento delle somme specificate in relazione al secondo, al terzo, al quarto e al quinto quesito.
La convenuta si costituiva resistendo all'impugnazione e proponendo appello incidentale lamentando la nullità del lodo per la ritenuta illegittima liquidazione del danno da inadempimento contrattuale. L'adita Corte d'appello, con sentenza depositata il 5 ottobre 2011, accoglieva l'impugnazione, dichiarava la nullità del lodo e la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle domande oggetto della pronuncia arbitrale.
La Corte territoriale rilevava che l'assimilazione delle concessioni agli appalti, per effetto della L. n. 109 del 1994, art. 31-bis, ai fini della estensione delle regole ordinarie del riparto di giurisdizione, riguardava le sole concessioni di lavori pubblici, ma non anche le concessioni di costruzione e gestione, aventi per oggetto non solo la realizzazione dell'opera pubblica ma anche il successivo espletamento del servizio pubblico in vista del quale la stessa opera era stata realizzata. Per tali concessioni, osservava la Corte d'appello, è sempre stata affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sul rilievo che le concessioni di costruzione e gestione non sono in alcun modo assimilabili all'appalto dal punto di vista giuridico ed economico, in quanto la gestione si sostanzia in un'attività autonoma rispetto alla costruzione dell'opera ed anzi presuppone la sua compiuta realizzazione, e il concessionario che esegue l'opera trova il compenso alla propria attività nella successiva gestione dell'opera stessa.
Nel caso di specie, ad avviso della Corte d'appello, doveva ritenersi che la concessione del 1992 tra le parti fosse una concessione di costruzione e di gestione, come chiaramente si desumeva dall'esame della convenzione, e segnatamente dall'art. 2, concernente la possibilità del concessionario di esplicare la gestione anche a mezzo di una società allo scopo costituita, salvo sempre il controllo e la supervisione dell'attività di gestione da parte del Comune concedente, e dall'art. 9, a norma del quale "all'ultimazione delle opere relative al centro commerciale, e per quanto riguarda le sole opere pubbliche e all'inizio di ogni anno, la concessionaria predisporrà le tariffe dei servizi affidati in gestione ed il Comune concedente controllerà ed approverà tali tariffe entro 30 giorni dalla presentazione della proposta da parte della concessionaria, invitandola, per fondati motivi, a rivedere tali tariffe sulla base di motivate indicazioni". In particolare, osservava la Corte d'appello, una delle ragioni di contrasto concerneva proprio la mancata approvazione da parte del Comune delle tariffe dei servizi affidati in gestione da applicare ai privati commercianti utilizzatori del centro, con conseguente domanda di risarcimento del danno per mancato guadagno dei proventi della gestione, proposta dalla concessionaria sul presupposto che i privati, in mancanza dell'approvazione delle tariffe, erano rimasti inadempienti al pagamento dei corrispettivi dei servizi goduti (quesito n. 5). Dalla qualificazione del rapporto come di concessione di costruzione e gestione, discendeva poi pianamente che le controversie ad esso relative restavano soggette alla disciplina della L. n. 1034 del 1971, art. 5, attributivo alla giurisdizione del giudice amministrativo delle controversie in materia di concessioni, con conseguente preclusione della possibilità di deferire le controversie stesse ad arbitri e nullità della clausola della convenzione che detto deferimento prevedeva.
La Corte d'appello riteneva poi che non potesse indurre a conclusioni differenti il fatto che la L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, aveva introdotto anche per le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la facoltà di arbitrato rituale di diritto per la soluzione di controversie relative a diritti soggettivi, atteso che tale disposizione, integrando in positivo l'art. 806 cod. proc. civ., aveva riguardo alla validità del compromesso o della clausola compromissoria e quindi del giudizio arbitrale; il che escludeva che, ai fini dell'applicabilità della stessa potesse farsi riferimento all'art. 5 cod. proc. civ.. Lo stesso art. 6, comma 2, poi, in mancanza della espressa previsione della sua efficacia retroattiva, non poteva avere effetti sananti della originaria invalidità della clausola stipulata, valutata sulla base delle norme vigenti al momento del perfezionamento dell'atto, secondo i principi in materia di successione di leggi nel tempo propri dei contratti.
In conclusione, il rilevato difetto di potere degli arbitri di conoscere della controversia loro deferita, stante la nullità della clausola compromissoria, determinava la nullità del lodo e l'assorbimento di ogni ulteriore questione.
Per la cassazione di questa sentenza la Società Italiana per Condotte d'acqua p.a. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi;
ha resistito, con controricorso, il Comune di Città S. Angelo. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente società denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 1034 del 1971, art. 5.
La ricorrente censura la sentenza impugnata sostenendo che la Corte d'appello, erroneamente, non avrebbe tenuto conto del fatto che la clausola compromissoria contenuta nella convenzione era relativa alle controversie che fossero insorte in relazione alla fase esecutiva del rapporto convenzionale, e non al suo momento genetico, e cioè ad una fase alla quale non si è mai estesa la giurisdizione del giudice amministrativo. In realtà, sostiene la ricorrente, l'essere la convenzione intercorsa tra le parti relativa ad una concessione di costruzione e gestione non faceva comunque venire meno l'applicabilità dell'ordinario criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo; e nella fase esecutiva della convenzione venivano in rilievo unicamente posizioni di diritto soggettivo. La Corte d'appello avrebbe quindi errato nel far discendere dalla qualificazione del rapporto come concessione di costruzione e gestione la devoluzione di tutte le controversie relative alla detta convenzione, anche quelle aventi ad oggetto la fase esecutiva, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e nel ritenere, quindi, la non compromettibilità della controversia in arbitri, omettendo qualsiasi esame in ordine alla natura delle posizioni soggettive coinvolte nei singoli quesiti e nelle singole domande.
1.1. Con riferimento al secondo quesito - avente ad oggetto la domanda di danni conseguente al fatto che da quando (marzo 1993) la Gambogi aveva avuto la disponibilità della progettazione di tutti gli edifici privati ed aveva rinnovato la richiesta di concessione edilizia per gli edifici B, E e G, a quando (settembre 1997) era stata definitivamente approvata la variante del piano regolatore, la Concessionaria non aveva potuto eseguire le opere indicate in quanto le aree ove gli edifici dovevano sorgere avevano una diversa destinazione urbanistica, contrastante con quella presupposta dalla convenzione e dalla perimetrazione allegata - la ricorrente rileva la assoluta assenza di discrezionalità in capo al Comune, in quanto la natura edificatoria dei terreni era, appunto, presupposto di fatto e di diritto per l'esercizio della procedura di evidenza pubblica, e il Comune si era impegnato, con la convenzione, a rilasciare il relativo titolo edificatorio. Si era quindi in presenza di una situazione in cui non venivano in rilievo i poteri autoritativi del Comune, ma la lesione, ad opera di quest'ultimo, per effetto della erronea attestazione circa la natura edificatoria delle aree, dell'affidamento riposto nell'attendibilità della attestazione rilasciata dalla P.A.
Ove poi si consideri che la realizzazione degli edifici in questione costituiva parte del corrispettivo della prestazione della concessionaria, certamente la relativa domanda rientrava nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario, in quanto inerente a diritti soggettivi.
1.2. Analogamente, la ricorrente sostiene che la domanda di restituzione delle somme connesse agli oneri di urbanizzazione pagati da Gambogi, che integravano un indebito, rientrava pienamente nella giurisdizione del giudice ordinario, venendo in discussione il diritto soggettivo alla restituzione di una somma pagata indebitamente, ancorché la detta somma fosse relativa ad oneri di urbanizzazione.
1.3. Ad avviso della ricorrente, anche la domanda di danni derivanti dall'inadempimento del Comune che aveva reso impossibile per il concessionario di beneficiare del corrispettivo della propria prestazione attraverso la gestione trentennale del centro commerciale, aveva diretta attinenza al diritto soggettivo alla percezione del corrispettivo. L'approvazione della tariffa, secondo quanto stabilito dall'art. 9 della Convenzione, invero, costituiva un preciso obbligo contrattuale del Comune in sede di esecuzione della convenzione.
2. Con il secondo motivo, la Società Italiana per Condotte d'acqua p.a. denuncia violazione e mancata applicazione della L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, e dell'art. 5 cod. proc. civ., in relazione alla clausola compromissoria di cui all'art. 13 della convenzione intercorsa tra le parti.
La ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto che la valutazione della validità della clausola compromissoria dovesse essere cristallizzata al momento della sua sottoscrizione, in quanto ha omesso di attribuire alla L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, l'efficacia sua propria, di norma sulla giurisdizione, e quindi idonea a radicare la giurisdizione anche nel caso in cui in precedenza la stessa non fosse sussistente. In questo senso, del resto, si sono espresse le Sezioni Unite con la sentenza n. 22903 del 2005, con la quale si è affermato che la disposizione in questione ha efficacia di norma sulla giurisdizione e che la verifica sulla sussistenza dei presupposti per valutare se la controversia rientrasse tra quelle compromettibili, non poteva essere effettuata prescindendo dal suo contenuto. La Corte d'appello avrebbe quindi dovuto riconoscere che, al momento dell'attivazione della clausola compromissoria, il giudizio sulla validità di questa non poteva non essere condizionato dalla L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, che consente il ricorso all'arbitrato anche nelle controversie di giurisdizione esclusiva quando le stesse abbiano ad oggetto diritti soggettivi.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione e mancata applicazione della L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2, sostenendo che erroneamente la Corte d'appello ha effettuato la propria disamina accedendo ad una valutazione di ordine generale sul rapporto intercorrente tra la clausola compromissoria e il rapporto giuridico sottostante e ritenendo nulla la clausola solo in considerazione della sottostante qualificazione del rapporto, laddove avrebbe dovuto riconoscere come, anche nelle materie riconducibili alla L. n. 1034 del 1971, art. 5, il legislatore avesse comunque individuato una riserva di giurisdizione per il giudice ordinario con riferimento alle controversie riguardanti indennità, canoni e altri corrispettivi. La Corte d'appello avrebbe quindi dovuto procedere alla disamina delle singole domande proposte con l'atto di accesso agli arbitri, assumendo a criterio di riparto quello del petitum sostanziale, e verificando se le dette domande afferivano alle indennità, canoni o ad altri corrispettivi, seguendo quindi lo schema di giudizio delineato dalla citata sentenza n. 22903 del 2005. 4. Il primo e il terzo motivo, all'esame dei quali può procedersi congiuntamente in considerazione della connessione tra le censure proposte, non sono fondati.
La Corte d'appello, nel decidere la controversia sottoposta alla sua cognizione, si è attenuta ai principi affermati da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 3518 del 2008; principi che il Collegio condivide ed ai quali intende dare continuità.
In proposito, occorre premettere che non è controverso tra le parti che la convenzione sottoscritta il 15 giugno 1992 dal Comune di Città S. Angelo e la Gambogi Costruzioni s.p.a. aveva ad oggetto la realizzazione e la gestione, in regime di concessione, delle opere di urbanizzazione dell'area commerciale all'ingrosso, 1^ lotto funzionale, in località Veronica di Città S. Angelo. Orbene, queste Sezioni Unite hanno affermato che "compete al giudice amministrativo, nell'esercizio della giurisdizione esclusiva devolutagli dalla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, 5 la cognizione delle controversie promosse prima dell'entrata in vigore della L. 21 luglio 2000, n. 205, aventi per oggetto concessioni di costruzione-gestione di opere pubbliche" (Cass., S.U., n. 19808 del 2008).
Con giurisprudenza sostanzialmente univoca si è infatti affermato che "l'equiparazione agli appalti prevista "ai fini della tutela giurisdizionale" dalla L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 31-bis, è limitata alle concessioni di sola costruzione di opere pubbliche, restando invece esclusi i casi in cui il provvedimento concessorio abbia un oggetto più esteso e si riferisca anche alla progettazione ed alla gestione dell'impianto da costruire, così generando un rapporto non assimilabile all'appalto" (Cass., S.U., n. 17926 del 2008; Cass., S.U., n. 3518 del 2008, cit.; Cass., S.U., n. 13623 del 2001).
Si è infatti affermato che "in materia di concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche e in riferimento alla
compromettibilità in arbitri delle relative controversie, concernenti concessioni anteriori alla L. n. 205 del 2000, è esclusa la possibilità di ricorrere all'arbitrato, con conseguente nullità della clausola compromissoria, sussistendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo L. n. 1034 del 1971, ex art. 5, atteso che l'equiparazione, rispetto alla giurisdizione, delle concessioni di opere pubbliche agli appalti, con conseguente assoggettamento alla regola generale di riparto tra diritti soggettivi e interessi legittimi -effettuata dalla L. n. 109 del 1994, art. 31-bis, con efficacia retroattiva - concerne solo le concessioni di costruzioni e quelle in cui, insieme alla costruzione, siano commesse al concessionario attività tecniche/o amministrative preparatorie, accessorie e connesse o comunque funzionali rispetto alla realizzazione, e non anche le concessioni di costruzione e gestione, da cui deriva un rapporto non assimilabile all'appalto, sostanziandosi la gestione in un'attività autonoma che presuppone la costruzione dell'opera e trovando il concessionario compenso alla propria attività anche nella successiva gestione" (Cass., S.U., n. 19808 del 2008, cit.).
Nel caso di specie, la particolarità è data dal fatto che non si è in presenza di una controversia introdotta dinnanzi ad un giudice, ma della attivazione della clausola compromissoria, contenuta nell'art. 13 della citata convenzione del 1992. Ai fini della verifica della compromettibilità o no in arbitri delle controversie relative alla detta convenzione, tuttavia, occorre avere riguardo alla situazione normativa esistente al momento della stipula della clausola compromissoria o del compromesso (Cass., S.U., n. 27336 del 2008;
Cass., S.U., n. 3518 del 2008, cit.; Cass., S.U., n. 15608 del 2001). Ne consegue che la verifica della riconducibilità della presente controversia all'ambito della giurisdizione ordinaria, con conseguente validità della clausola compromissoria, ovvero all'ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva, va condotta avendo riguardo al richiamato quadro normativo e ai richiamati precedenti. Pertanto, afferendo la controversia in questione ad una concessione di costruzione e gestione, deve affermarsi che la stessa appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, artt. 5 e 7.
In considerazione delle collocazione temporale della vicenda oggetto del presente giudizio, il Collegio ritiene che non possano qui operare le diverse affermazioni contenute nella sentenza n. 28804 del 2011, richiamata dalla ricorrente nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. Invero, il superamento della dicotomia tra concessione di lavori pubblici e concessione di costruzione e gestione è da quella pronuncia (ma in senso analogo, v. Cass., S.U., n. 19391 del 2012) collegato alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 163 del 2006, mentre la vicenda oggetto di causa, che ha avuto inizio con la convenzione del 1992, contenente la clausola compromissoria, da cui è scaturito il giudizio arbitrale iniziato nel 2004, si è svolta in un contesto normativo e giurisprudenziale chiaramente orientato nel senso della esclusione delle controversie afferenti a concessioni di costruzione e gestione dall'ambito della giurisdizione ordinaria, e quindi della stessa possibilità di comprometterle in arbitri.
4.1. La ricorrente sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel non considerare che le questioni poste con i quesiti arbitrali afferivano in realtà a posizioni di diritto soggettivo e che quindi le stesse ben avrebbero potuto essere devolute alla cognizione del collegio arbitrale previsto dall'art. 13 della Convenzione del 1992. Tale assunto non può essere condiviso, atteso che ciò che rileva, ai fini della individuazione della giurisdizione nella prospettiva della devoluzione delle controversie ad arbitri, è proprio la natura del rapporto instaurato tra le parti, contrassegnato da una compresenza di situazioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, che giustifica la previsione della devoluzione delle dette controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e quindi preclude la compromettibilità in arbitri. In questo senso, appare non rilevante l'esame che la ricorrente pretenderebbe, soprattutto con il terzo motivo, venisse svolto in ordine alle singole domande confluite nei quesiti sottoposti al Collegio arbitrale, atteso che la unitarietà della vicenda convenzionale, caratterizzata, appunto, dalla richiamata compresenza di situazioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, anche se solo in alcuni dei quesiti sui quali si è pronunciato il Collegio arbitrale (è qui sufficiente evidenziare il contenuto del quesito n. 5, concernente il risarcimento del danno derivante dalla mancata approvazione delle tariffe dei servizi affidati in gestione, già valorizzato dalla Corte d'appello ai fini della esclusione della giurisdizione ordinaria e della compromettibilità in arbitri della controversia in relazione a tutti i quesiti sottoposti agli arbitri), suggerisce la opportunità della trattazione congiunta delle domande stesse dinnanzi al giudice amministrativo.
5. Il secondo motivo è infondato.
Chiarito che la controversia rientrava, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, artt. 5 e 7 (nel testo ratione temporis applicabile) nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, deve altresì escludersi che la clausola arbitrale sia diventata valida per effetto della L. n. 205 del 2000, art. 6, che ha introdotto anche per le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la facoltà di avvalersi di un arbitrato rituale di diritto per la soluzione delle controversie concernenti diritti soggettivi.
La giurisprudenza di queste Sezioni Unite è infatti sostanzialmente univoca nel senso che "il sopravvenuto L. n. 205 del 2000, art. 6, comma 2, non pone una norma sulla giurisdizione, ma risolve un problema di merito, giacché, estendendo la possibilità di deferire ad arbitri le controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, investe la validità ed efficacia del compromesso e della clausola compromissoria, i quali, in base all'art. 806 cod. proc. civ., non potevano essere stipulati; ne' alla suddetta norma sopravvenuta, in mancanza della espressa previsione della sua efficacia retroattiva, può essere attribuita efficacia sanante della originaria invalidità del compromesso o della clausola compromissoria stipulati durante la vigenza della L. n. 1034 del 1971 ed anteriormente alla entrata in vigore della L. n. 205 del 2000" (Cass., S.U., n. 27336 del 2008;
Cass., S.U., n. 19808 del 2008, cit.; Cass., S.U., n. 3518 del 2008). Si discosta da tale orientamento Cass., S.U., n. 22903 del 2005, richiamata dalla ricorrente, secondo cui la L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 6, comma 2, in forza del quale le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono costituire oggetto di arbitrato rituale di diritto, "trova applicazione anche nei giudizi di impugnazione del relativo lodo (impugnazione che - in base alle regole generali del codice di procedura civile, applicabili nel difetto di una disciplina del rito nella norma in questione - va proposta davanti alla corte di appello, la quale ha anche il potere di decidere "sul merito") introdotti prima della sua entrata in vigore, qualora da ciò derivi la compromettibilità della controversia (in quanto attinente a diritti soggettivi) e, dunque, la giurisdizione del giudice ordinario a seguito della impugnazione del lodo stesso, in conformità al principio secondo cui l'art. 5 cod. proc. civ. ("La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda") non può essere invocato, rispondendo ad esigenze di economia processuale, nelle ipotesi in cui la norma sopravvenuta o la nuova situazione di fatto portino ad attribuire la giurisdizione (o la competenza) al giudice adito che ne fosse originariamente sprovvisto".
Il Collegio ritiene, tuttavia, che sia preferibile il primo orientamento, vuoi perché maggiormente rispondente alla individuazione della natura della disposizione di cui all'art. 6 citato, che non costituisce norma sulla giurisdizione, vuoi perché il secondo orientamento è rimasto isolato e quindi superato da quello che esclude la applicabilità della L. n. 205 del 2000, art. 6 a convenzioni anteriori alla sua entrata in vigore.
6. In conclusione, dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, il ricorso deve essere rigettato.
In applicazione del principio della soccombenza, la società ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 12.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 20 novembre 2012. Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2013
riferimenti normativi|blue
Cod. Proc. Civ. art. 806