Skip to main content

Danno Patrimoniale e non patrimoniale - insidia

 Presenza di un avvallamento della sede stradale e del manto bituminoso viscido per precedente pioggia - la responsabilita' dell'accaduto doveva ascriversi alla Provincia, che, quale ente proprietario della strada, non aveva provveduto alla eliminazione di una situazione di insidia, ……. (Corte di Cassazione Sezione 3 Civile Sentenza del 30 settembre 2009, n. 20943)

Responsabilità Civile - Danno Patrimoniale e non patrimoniale - insidia

Presenza di un avvallamento della sede stradale e del manto bituminoso viscido per precedente pioggia - la responsabilita' dell'accaduto doveva ascriversi alla Provincia, che, quale ente proprietario della strada, non aveva provveduto alla eliminazione di una situazione di insidia, ne' l'aveva in alcun modo segnalata - In tema di risarcimento di danno patrimoniale subito da una persona minore o comunque in eta' giovanile, qualora sia accertata non una "micropermanente" ma una percentuale superiore di invalidita' permanente, la mera circostanza che il soggetto danneggiato, all'epoca dell'incidente, non avesse una specifica capacita' professionale e non svolgesse attivita' lavorativa non autorizza ad escludere un danno futuro solo sulla base di cio' e senza ulteriori indagini. (Corte di Cassazione Sezione 3 Civile Sentenza del 30 settembre 2009, n. 20943)

Corte di Cassazione Sezione 3 Civile Sentenza del 30 settembre 2009, n. 20943

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell'impugnata decisione lo svolgimento del processo e' esposto come segue.

Con atto notificato il 25 maggio 1990 PA. Ma. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Frosinone la Provincia di Frosinone, esponendo: che l'1 giugno 1989, mentre, alla guida della propria "vespa" 125, percorreva la strada provinciale (OMESSO), all'uscita di una curva destrorsa, aveva perduto il controllo del veicolo a causa della presenza di un avvallamento della sede stradale e del manto bituminoso viscido per precedente pioggia e, caduto rovinosamente a terra, si era procurato lesioni molto gravi; che la responsabilita' dell'accaduto doveva ascriversi alla Provincia, che, quale ente proprietario della strada, non aveva provveduto alla eliminazione di una situazione di insidia, ne' l'aveva in alcun modo segnalata.

Chiedeva, pertanto, la condanna della Provincia al risarcimento dei danni nella misura che sarebbe stata accertata in esito ad espletanda istruttoria.

La Provincia, nel costituirsi, contestava la domanda e ne chiedeva il rigetto, assumendo che sulla strada all'epoca dei fatti, come da documentazione fotografica che produceva, esistevano cartelli che indicavano sia la presenza di curva pericolosa, che la natura sdrucciolevole della strada.

Si espletavano prova testimoniale e consulenza medico - legale.

Con sentenza in data 15 febbraio 2002 il Tribunale, ritenuta la esistenza dell'insidia, condannava la Provincia al risarcimento dei danni, che liquidava equitativamente per la sola invalidita', sia temporanea che permanente, nella misura di lire 35.000.000, oltre interessi legali dal fatto.

Avverso la sentenza proponeva appello il Pa. , con atto notificato il 3 giugno 2002, deducendo: che i danni da invalidita' temporanea e da invalidita' permanente erano stati liquidati con un criterio assolutamente riduttivo ed arbitrario, in via equitativa, anziche' con riferimento alle apposite tabelle in uso presso i Tribunali; si era omesso di attribuire il ristoro del danno da mancato guadagno e del danno morale; che immotivatamente non gli si era riconosciuta la rivalutazione monetaria, pur in presenza di un credito di valore; che non si erano liquidale le spese documentate; che le spese di giudizio erano state liquidate in misura inadeguata, senza comprendervi, peraltro, le spese di consulenza tecnica.

Chiedeva, pertanto, che, in riforma della gravata sentenza, gli fossero attribuite le maggiori somme di spettanza, con rivalutazione, interessi e spese.

La Provincia, nel costituirsi, contestava il gravame in punto di liquidazione dei danni e proponeva appello incidentale sull'an, deducendo, in via principale, che doveva escludersi qualsiasi responsabilita' dell'ente per difetto degli elementi dell'insidia e, in subordine, che, comunque, la responsabilita' del sinistro si doveva ascrivere a colpa del Pa. , in misura prevalente o almeno paritaria, avuto riguardo alla sua condotta di guida nell'occorso, caratterizzata da velocita' eccessiva.

Precisate le conclusioni come in epigrafe, la causa veniva rimessa al Collegio, che la riteneva a sentenza nell'udienza di discussione del 21 settembre 2004.

Con sentenza 28.9 - 27.12.04 la Corte d'Appello di Roma decideva come segue.

"...accoglie per quanto di ragione l'appello della Provincia di Frosinone e l'appello di Pa. Ma. e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale di Frosinone in data (OMESSO), cosi' provvede: dichiara che il sinistro stradale di cui fu vittima il Pa. fu determinato in pari misura dalla Provincia e dallo stesso e, per l'effetto, condanna la prima a risarcire al secondo il 50% dei danni conseguenti, che liquida, in tale percentuale, per le diverse voci indicate in motivazione, in complessivi euro 277.050,00, con gli interessi legali dalla data della presente sentenza fino al saldo;

condanna la Provincia a rimborsare al Pa. le spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida, quanto al primo grado, in euro 15.000,00, di cui euro 300,00, per esborsi, euro 2.700,00, per diritti ed euro 12.000,00, per onorari, oltre le spese di consulenza tecnica come liquidate e gli accessori di legge e, quanto al presente grado, in euro 16.000,00, di cui euro 200,00, per esborsi, euro 2.300,00, per diritti euro 13.500,00, per onorari, oltre accessori di legge".

Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione Pa. Ma. .

Ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale la Provincia di Frosinone.

A detto ricorso incidentale Pa. Ma. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi.

L'avv. Lino Diana ha chiesto la cancellazione (in quanto espressioni sconvenienti ed offensive, ex articolo 89 c.p.c.) di vari apprezzamenti esposti dalla controparte nella sua memoria datata 15.5.2009.

L'istanza non appare accoglitele.

Va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "La sussistenza dei presupposti per la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute negli scritti difensivi prevista dall'articolo 89 c.p.c., che puo' essere disposta anche nel giudizio di legittimita', rientrando fra i poteri officiosi del giudice, va esclusa allorquando le espressioni contenute negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo e non rivelino percio' un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalla esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilita' delle sue tesi e affermazioni (nella fattispecie la S.C. ha ritenuto che non esulassero dalla materia del contendere e dalle esigenze difensive le espressioni: "un'incredibile persecuzione giudiziaria", "persecuzione", "invenzioni processuali", "tendenziose", "abili manovre", "gratuite affermazioni", "frode")" (Cass. Sentenza n. 805 del 20/01/2004).

Alla luce di detto principio deve ritenersi che espressioni come "...la prospettazione di fatti diversi da quelli reali e provati...", "...Controparte volutamente e in malafede ignora...", "..mala fede avversaria..", "...La prospettazione fattuale viene, forse valutamente, travisata..." e simili, anche se non educate (e quindi certamente da evitare), non rivelino un vero ed effettivo intento offensivo nei confronti della controparte, ma siano solo preordinate a confortare le critiche all'assunto avversario, e non rientrino quindi nella fattispecie prevista dall'articolo 89 cit..

Cio' premesso, sembra opportuno iniziare con il considerare il ricorso incidentale poiche' riguarda (anzitutto) l'an debeatur.

Con i primi due motivi la provincia di Frosinone denuncia "Omessa, illogica e contraddittoria motivazione (articolo 360 c.p.c., n. 5) anche sub specie del mancato e comunque insufficiente esame di risultanze probatorie costituenti punti decisivi della controversia", nonche' "violazione e falsa applicazione (articolo 360 c.p.c., n. 3) di norme di diritto: articoli 115 e 116 c.p.c., articoli 1227, 2043, 2697 e 2700 c.c., nonche' articolo 2712 c.c." esponendo doglianze che vanno riassunte come segue.

A - La Corte d'Appello di Roma ha omesso di considerare che il Sig. Pa. Ma. era nato e residente in (OMESSO) e cioe' nei pressi del luogo dell'incidente. Tali circostanze risultano sia dall'atto di citazione in appello dell'odierno ricorrente Pa. , sia dal rapporto dei Carabinieri, sia dalla memoria di costituzione dell'attore in relazione all'appello incidentale del 16.09.2002. Il Sig. Pa. Ma. , quindi, doveva aver percorso la strada in questione centinaia di volte e la conosceva perfettamente perche' era la strada che porta al centro urbano di (OMESSO). Le valutazioni fatte dalla Corte d'Appello nella parte motiva sono palesemente illogiche e contraddittorie. Una volta che, rettamente, la Corte di merito ha trattato e definito la fattispecie in esame quale responsabilita' aquiliana (articolo 2043 c.c) facendo espresso riferimento al concetto di insidia o trabocchetto doveva tenere presente i principi di diritto in materia. In particolare ha rilevato, essa stessa, che i requisiti della imprevedibilita' e non visibilita' del pericolo non ricorrevano ne congiuntamente, ne' disgiuntamele ma, cio' nonostante, ha attribuito alla Provincia una responsabilita' pari al 50%.

B - La Corte d'Appello ha poi ritenuto che "Tuttavia, a dimostrare la notevole entita' del dislivello stanno le puntuali risultanze del rapporto dei carabinieri, nel quale si riferisce espressamente che nella curva vi era "un forte avvallamento della sede stradale ...". Cosi' decidendo la Corte d'Appello ha posto alla base del suo convincimento il contenuto del rapporto dei CC di Giuliano di Roma che, pero', non contiene l'accertamento di un solo dato di fatto ma solo degli apprezzamenti sulla pericolosita' della strada, che la Corte d'Appello non poteva valutare come decisivi ai fini probatoria sia perche' non sorretta da adeguate valutazioni tecniche sia perche' assolutamente generici. V'e' da aggiungere che la fede privilegiata riconosciuta dal legislatore all'atto pubblico non si estende agli apprezzamenti e valutazioni in esso contenuti.

C - La Corte d'Appello di Roma ha letteralmente sollevato l'attore dall'onere della prova in ordine alla imprevedibilita' e non evitabilita' della presunta insidia. All'udienza del 6.6.94 "l'Avv. Giannaccari, quale Procuratore della Amm.ne Provinciale ... esibisce e deposita n. 10 fotografie, scattate in data (OMESSO) attestanti sia lo stato dei luoghi del sinistro sia le condizioni del manto stradale, nonche' segnaletica ivi presente, da lunga data anteriore all'evento de quo (sara' sufficiente esaminare la corrosione recente sulla segnaletica fotografata). Il procuratore di parte convenuta, preso atto delle risultanze istruttorie, in particolare del rapporto dei carabinieri, fa rilevare come non si possa certamente sostenere che la velocita' tenuta da controparte fosse nei limiti dettati dalle piu' elementari norme di prudenza e, senz'altro, non nel rispetto della segnaletica da sempre ivi presente. L'Avv. Floridi contesta la produzione fotografica odierna dal momento che non si rilevano nelle foto quei segnali specifici che avrebbero dovuto evidenziare il vero stato di pericolo di quel tratto di strada in cui si verifica il sinistro". Il mancato disconoscimento da pane del Pa. della documentazione fotografica prodotta dalla Amm.ne Provinciale era stato puntualmente rilevato dalla convenuta Amministrazione Provinciale con apposito motivo di appello nella propria comparsa di costituzione ed appello incidentale del 25.07.2002. Pertanto ha errato la Corte di merito e violato i principi di diritto esposti nel ricorso. Non emergeva, infatti, da alcun atto del giudizio:

- la data in cui furono scattate le loto prodotte dall'attore Pa. , su cui gravava l'onere di fornire quella prova, e non potevano, quindi, nemmeno considerarsi prova documentale, ne' l'attore stesso ha mai fatto deduzione alcuna a riguardo;

- l'attore non ha mai contestato ne' dedotto che le foto prodotte dalla A.P. convenuta si riferissero ad altro tratto di strada o ad epoca successiva al sinistro anzi, alla udienza del 6.6.94 (supra) l'Avv. Floridi, per l'attore, si limito' ad una generica contestazione che esplicitamente dava atto della presenza in loco, all'epoca del sinistro, di quei segnali stradali riprodotti nelle fotografie depositale dalla A.P. convenuta;

- era comunque l'attore a dover dimostrare, oltre che dedurre (articoli 2043 - 2967 e 2712 c.c., - articoli 115 e 116 c.p.c.) la riferibilita' delle foto da lui prodotte alla epoca ed al luogo del sinistro sicche' l'affermazione della Corte "Invero, le fotografie prodotte dalla Provincia risalgono al 17 giugno 1990, mentre quelle prodotte dal Pa. sono di epoca antecedente, essendo state allegate alla citazione di primo grado, che e del maggio 1990" appare palesemente emessa in violazione delle norme di diritto poiche', per quel che risultava agli atti, le stesse foto potevano ben risalire anche a svariati anni prima del sinistro e, quindi ad una ben differente situazione dei luoghi.

Ma l'attore non ha mai fondamentalmente disconosciuto le foto prodotte dalla Amministrazione Provinciale, sia quelle allegate alla comparsa di costituzione e risposta in 1 grado del 6.7.90, sia quelle esibite e depositate alla piu' volte menzionata udienza del 6.6.94. L'Amministrazione Provinciale di Frosinone convenuta, nella sua prima difesa, cioe' la comparsa di costituzione e risposta del 6 luglio 1990 ha espressamente disconosciuto, nelle forme ritenute legittime dalla Suprema Corte, le foto allegate dal Pa. all'atto di citazione. Indi, alla prima udienza del 6 luglio 1990 avanti il Tribunale l'Avv. Giannaccari si costituiva per la A.P. di Frosinone e "nei riportarsi integralmente a quanto controdedotto nell'atto di risposta, ...chiede l'acquisizione ...della seguente documentazione ...e) rapporto della divisione tecnica della Amministrazione Provinciale di Frosinone sulla segnaletica installata sul luogo del sinistro". Poi, all'udienza del 6.6.94 l'Amm.ne Provinciale ha depositato le 10 fotografie di cui sopra. Orbene, la Corte d'Appello adita ha errato quando, di fronte alle tempestive allegazioni della Amm.ne Prov.le di Frosinone, ha postulato che potesse ravvisarsi un "contrasto" tra la documentazione fotografica allegata dal Pa. all'atto di citazione, priva di data ed espressamente disconosciuta dalla A.P. convenuta nel primo atto difensivo mediante allegazione di fotografie "dirette a neutralizzare l'efficacia probatoria della riproduzione" e la documentazione fotografica prodotta invece, in piu' riprese, dalla stessa Amministrazione Provinciale di Frosinone, mai disconosciuta, (at. 2712 c.c., espressamente riconosciuta) e facente piena prova. Si sottraeva quindi, (per il combinato disposto dell'articolo 2712 c.c., e articolo 116 c.p.c.) all'apprezzamento discrezionale della Corte d'Appello la risoluzione dell'asserito contrasto che non poteva sussistere a fronte di una documentazione fotografica facente piena prova contro il Pa. per i suesposti motivi. Tra l'altro, il vizio di motivazione nonche' di falsa applicazione delle norme di diritto sul punto appare anche laddove si esamini la lettera dell'affermazione contenuta nella sentenza della Corte d'Appello "Essa assume di avere istallato prima del fatto i segnali che si rilevano nelle fotografie prodotte ... ma il Pa. lo contesta, producendo fotografie nelle quali non si rileva la presenza di segnali di sorta. Invero, le fotografica prodotte, dalla Provincia risalgono al (OMESSO), mentre quelle prodotte dal Pa. sono di epoca antecedente, essendo state allegale alla citazione di primo grado, che e' del (OMESSO)". Le uniche fotografie prodotte dal Pa. sono quelle "allegate alla citazione di primo grado, che e' del (OMESSO)" (prive di data e di qualunque riferibilita' temporale alla data del sinistro) mentre la produzione fotografica ad opera della Amministrazione Provinciale e' successiva, unita dapprima alla comparsa di costituzione del 6.7.90 indi (altra) prodotta all'udienza del 6.6.94: la ritenuta contestazione ad opera del Pa. poteva avvenire solo con un atto successivo al 6.7.90, non potendosi nemmeno pensate ad una contestazione che avvenga validamente con un atto precedente al fatto (giuridico) da contestarsi. Inoltre, la contestazione doveva essere chiara ed esplicita.

I primi due motivi di ricorso non possono essere accolti, in quanto la motivazione esposta dalla Corte di merito e' sufficiente (anche sa talora implicita), logica, non contraddico ria e rispettosa della normativa in questione.

In particolare va rilevato quanto segue.

La vicinanza tra il luogo di nascita e residenza di Pa. Ma. ed il luogo dell'incidente costituisce un punto privo del requisito della decisivita' in quanto non comporta necessariamente che costui, al momento dell'incidente, avesse recentemente "..percorso quella strada centinaia di volte" e dovesse quindi conoscere bene lo stato dei luoghi; e comunque non e' incompatibile con l'affermata responsabilita' concorrente della Provincia e del Pa. .

Quanto al concetto di insidia o trabocchetto emergente dalla sentenza impugnata, va rilevato che le doglianze sopra riassunte debbono ritenersi infondate sulla base delle seguenti considerazioni.

La Corte Costituzionale, con sent. num. 0156 del 1999, ha dichiarato "...non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 2043, 2051 c.c. e articolo 1227 c.c., comma 1, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 Cost.".

Nella motivazione si legge tra l'altro: "...la nozione d'insidia stradale viene a configurarsi come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dall'esperienza giurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalita', col preciso fine di meglio distribuire tra le parti l'onere probatorio, secondo un criterio di "semplificazione analitica" della fattispecie generai rive della responsabilita' in esame. Se e in quanto il danneggiato provi l'insidia, puo' e deve essere affermata la responsabilita' della pubblica amministrazione, salvo che questa, a sua volta, provi di non aver potuto rimuovere - adottando le misure idonee - codesta situazione di pericolo, i cui elementi costitutivi il giudice ha comunque il compito di individuare in modo specifico (fra l'altro precisando gli standards di diligenza connessi alla visibilita' e prevedibilita' nonche' all'evitabilita' del pericolo stesso, in relazione all'uso della strada), onde accertare in definitiva se ricorrano, a stregua delle peculiarita' del caso, le condizioni richieste dall'articolo 2043 c.c..

Che poi, una volta acciaiata in tal modo la responsabilita' della pubblica amministrazione, di regola risulti inapplicabile l'articolo 1227 c.c., comma 1, dipende da evidenti ragioni di incompatibilita' logica fra un passibile concorso di colpa del danneggiato e la stessa nozione d'insidia, essendo questa contraddistinta appunto dai caratteri dell'imprevedibilita' e dell'inevitabilita' del pericolo.....".

Probabilmente e' stata la frase "...Se e in quanto il danneggiato provi l'insidia, puo' e deve essere affermata la responsabilita' della pubblica amministrazione, salvo che questa, a sua volta, provi di non aver potuto rimuovere - adottando le misure idonee - codesta situazione di pericolo.." considerata isolata dal contesto, ad ingenerare talune affermazione non del tutto chiare e condivisibili in dottrina ed in giurisprudenza.

Basta pero' leggere la parole successive "... i cui elementi costitutivi il giudice ha comunque il compito di individuare in modo specifico (fra l'altro precisando gli standards di diligenza connessi alla visibilita' e prevedibilita' nonche' all'evitabilita' del pericolo stesso, in relazione all'uso della strada), onde accertare in definitiva se ricorrano, a stregua delle peculiarita' del caso, le condizioni richieste dall'articolo 2043 c.c.) ..." per concludere (persine a prescindere dall'ulteriore chiaro contesto) che la Corte Costituzionale non ha affatto inteso affermare che la sussistenza di detta insidia consente di omettere l'accertamento degli elementi della fattispecie prevista dall'articolo 2043 c.c..

L'insidia dunque non e' ne' un istituto giuridico, ne' un elemento di un istituto giuridico, ne una situazione di fatto alla, quale conseguono sempre e necessariamente determinate conseguenze giuridiche fisse e prestabilite (sul piano probatorio o su altri piani); ma e' semplicemente una situazione di fatto che per la sua oggettiva invisibilita' e per la sua conseguente imprevedibilita' (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 10040 del 29/04/2006) integra una situazione di pericolo occulto (cfr tra le altre Cass. Sentenza n. 20328 del 20/09/2006) indubbiamente di grande importanza probatoria; situazione che il Giudice di merito, con una valutazione che si sottrae al sindacato di legittimita' se immune da vizi logici o giuridici, puo' considerare come idonea ad integrare una praesumptio hominis di sussistenza del nesso eziologico con l'incidente e di sussistenza della colpa dell'ente o della persona tenuta a vigilare sulla sicurezza del luogo ove l'insidia si e' realizzata.

Certamente quasi sempre una siffatta situazione (per la sua estrema rilevanza concreta nella valutazione del predetto nesso e della predetta colpa) e' destinata a comportare nella valutatone del Giudicante la presunzione di sussistenza del predetto nesso e della predetta colpa; ma l'applicabilita' quasi generale di questa presunzione costituisce un mero dato statistico; e quindi il Giudice di merito puo' e deve, sempre, anche in presenza di una insidia (o trabocchetto) accertare la sussistenza di tutti gli elementi previsti dall'articolo 2043 c.c.; infatti non puo' escludersi la possibilita' che in qualche caso, nonostante l'insidia, il (colposo o doloso) comportamento del danneggiato o di un terzo concorrano a provocare l'incidente (od eccezionalmente assumano addirittura rilevanza causale esclusiva; nel senso che l'insidia, pur oggettivamente esistente, non ha inciso sul particolare nesso eziologico concernente lo specifico incidente in questione).

Con riferimento al danno cagionato da cosa in custodia (va ribadito che la responsabilita' del custode disciplinata dall'articolo 2051 c.c., costituisce una ipotesi di responsabilita' oggettiva e non di colpa presunta; (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 28811 del 05/12/2008 e Cass. Sentenza n. 20427 del 25/07/2008), la circostanza che il custode puo' liberarsi dalla responsabilita' solo provando il caso fortuito e cioe' l'intervento di un fatto idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 993 del 16/01/2009; Cass. Sentenza n. 5741 del 10/03/2009, Cass. Sentenza n. 993 del 16/01/2009), comporta di regola la non essenzialita' giuridica di indagini circa la configurabilita' dell'insidia, e' pero' incontestabile che quest'ultima, essendo - va ribadito - una mera situazione di fatto, puo' realizzarsi anche con riferimento ad una fattispecie inquadrabile nell'articolo 2051 c.c.; ma in tale ipotesi ha solo l'effetto di caratterizzare in fatto (solo in fatto), in relazione a detta situazione, l'oggetto effettivo e concreto dell'onere probatorio a carico del custode, in quanto quest'ultimo deve dimostrare l'insussistenza del nesso eziologico tra la cosa in custodia che ha prodotto (o nell'ambito della quale si e' prodotta) l'insidia, ed il danno; il che, in concreto, equivale a dire l'insussistenza del nesso eziologico tra la custodia della cosa (intesa come signoria materiale o potere di fatto sulla medesima; cfr. tra le altra Cass. Sentenza n. 5741 del 10/03/2009) che ha prodotto (o nell'ambito della quale si e' prodotta) l'insidia ed il danno; e' cioe', in sostanza, deve provare che il che il danno e' stato determinato in realta' da cause create dal danneggiato o da terzi (come ad esempio la perdita o l'abbandono sulla pubblica via di oggetti pericolosi), non conoscibili ne' eliminabili con immediatezza da parte del custode, neppure con la piu' efficiente attivita' di manutenzione; il che comporta appunto l'insussistenza di detto nesso tra la signoria di fatto sulla cosa da parie del custode (dato che non aveva in concreto un effettivo potere su eventi di tal fatta, in quanto non aveva alcuna possibilita' di intervenire in tempo) ed il danno (cfr. Cass. Sentenza n. 15042 del 06/06/2008). In altri termini il caso fortuito deve essere inteso come un fatto (avente la predetta efficacia causale ed) estraneo alla sfera di custodia del soggetto ora citato (cfr in tal senso la suddetta Cass. Sentenza n. 5741 del 10/03/2009).

La Corte di merito ha sostanzialmente applicato tali principi di diritto; e devono pertanto ritenersi prive di pregio le censure giuridiche sul punto; in particolare va ribadito che tale Giudice, valutando la fattispecie ex articolo 2043 c.c., (non sussistono censure sull'applicazione di detta norma, va precisato comunque che per il Giudicante sarebbe stato possibile pervenire al medesimo risultato pure valutando detta fattispecie ex articolo 2051 c.c.), ben poteva, pur affermando che il manto stradale aveva caratteristiche insidiose, ritenere sussistente un concorso di responsabilita' del danneggiato nei limiti e per le ragioni esposte in sentenza.

Infondate sono anche le doglianze logiche e giuridiche concernenti le valutazioni della Corte circa le risultanze istruttorie; ed in particolare quelle concernenti l'articolo 2712 c.c..

Con riferimento a tale norma, va rilevato quanto segue. E' vero che essa prevede una prova legale; ma solo con riferimento ai fatti ed alle cose rappresentate nelle riproduzioni fotografiche e la provincia ricorrente non assume (ne' tanto meno assume ritualmente) che la data in cui le foto furono scattate fosse rappresentata nelle medesime. Tanto basta per escludere l'applicabilita' dell'articolo 2712 cit. con riferimento a dette foto, in relazione alle problematiche circa l'individuazione della situazione dei luoghi (specie relativamente alla segnaletica) al momento dell'incidente.

Permane dunque solo la mera questione della rilevanza dell'atteggiamento processuale assunto dei difensori con riferimento alle attivita' difensive (soprattutto alle produzioni) della controparte, in particolare con riferimento alla circostanza che la difesa della Provincia aveva prodotto le suddette foto assumendo (di un mero assunto in sostanza si tratta; e cio' emerge proprio dal contenuto del ricorso incidentale) a verbale che rappresentavano la situazione al momento dell'incidente.

A tal proposito si deve pero' rilevare che si e' di fronte (con riferimento agli atteggiamenti processuali di entrambe le parti) a meri (eventuali) elementi di convincimento suscettibili di libera valutazione da parte del Giudice di merito; che nella fattispecie ha operato in modo impeccabile dal punto di vista logico e giuridico.

Con il terzo motivo la ricorrente incidentale provincia di Frosinone denuncia "Violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato (articolo 360 c.p.c., n. 4, esponendo doglianze da riassumere nel modo seguente. Nel proprio atto di appello del 22 aprile 2002 Pa. Ma. aveva chiesto la riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Frosinone in punto di liquidazione del danno risarcibile sostenendo che "... il danno biologico da I.T.T. andava in conseguenza liquidato in lire 37.875,000 (pari ad e 19.560,81), quello dal T.P. il lire 5.000.000 (pari ed euro 2.582,28) e quello da LP. in L 657.571.949 (pari ad euro 339.607,57) mentre il danno morale (1/3) in lire 219.190.649 (pari ad euro 113.202,52)" e concludeva sul punto chiedendo "in riforma della sentenza impugnata condannare l'Amministrazione provinciale di Frosinone a risarcimento di tutti i maggiori danni in favore dell'appellante secondo le quantificazioni effettuale e comunque per gli importi ritenuti dovuti a equi con la rivalutazione monetaria dal di del di fatto e gli interessi". Ricorre pertanto vizio di ultrapetizione relativamente alla liquidazione del danno biologico operata dai giudici di 2 grado poiche' la parte, nelle conclusioni, ha indicato specificamente una somma, effettuando la precisa determinazione del petitum, con la conseguenza che avendo il Giudice pronunciato condanna oltre detto limite, ha violato il principio i cui all'articolo 112 c.p.c.. Ne' varrebbe, in contrario, richiamare la espressione usata dal Pa. "e comunque per gli importi ritenuti dovuti" come postulante una somma eventualmente superiore a quella indicata, essendo evidente che detta richiesta alternativa puo' essere riferita unicamente a somma inferiore a quella indicata. La Corte, di fronte ad un danno biologico e morale richiesto dall'appellante nella misura complessiva di euro 474.943,18, (di cui il 50% avrebbe corrisposto ad euro 237.471,59), gli ha invece attribuito, per danno biologico e morale, la somma di euro 25.1300,00 (502.600,00: 2) eccedente di euro 13.828,41, quella richiesta dall'appellante. Si consideri altresi' che le somme richieste a titolo di danno biologico dal Pa. nell'atto di citazione in appello del 22 aprile 2002 (supra) si riferiscono all'attualita' e sono comprensive della rivalutazione monetaria: le Tabelle aggiornate ai gennaio 2002 del Tribunale di Milano relative al danno biologico negli importi rivalutati al 1 gennaio 2002, recano, per una invalidita' del 65% riferita ad una eta' di 20 anni la somma risarcibile di euro 340.548,31.

Anche il terzo motivo di ricorso e' privo di pregio in quanto la Corte ha esposto una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. In particolare va rilevato quanto segue; - A) la tesi secondo la quale non si potrebbe" richiamare la espressione usata dal Pa. "e comunque per gli importi ritenuti dovuti" come postulante una somma eventualmente superiore a quella indicata, essendo evidente che detta richiesta alternativa puo' essere riferita unicamente a somma inferiore a quella indicata.." e' del tutto apodittica e quindi inammissibile prima ancora che priva di pregio; - B) altrettanto apodittica e quindi inammissibile (prima ancora che priva di pregio) e' la censura fondata sull'assunto secondo cui "...le somme richieste a titolo di danno biologico dal Pa. nell'atto di citazione in appello del 22 aprile 2002 (supra) si riferiscono all'attualita' e sono comprensive della rivalutazione monetaria.."; - C) anche a prescindere da quanto ora esposto, la parte ricorrente non considera il lasso di tempo intercorso tra l'atto di appello e la sentenza di appello ed il conseguente aumento delle somme dovute per gli accessori in questione (la sentenza Corte d'Appello di Roma e' datata 28.9 - 27.12.04); nella specie la Corte da evidentemente per scontato che l'appellante aveva chiesto anche tutti gli interessi e tutta la rivalutazione per tutto il tempo successivo alla sentenza di primo grado e la parte ricorrente non contesta ritualmente il punto (comunque cfr. Cass. Sentenza n, 13666 del 17/09/2001: "La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell'originario "petitum" della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi", cfr. anche Cass. Sentenza n. 18651 del 16/09/2004; e Cass. Sentenza n. 975 del 17/01/2007).

Il ricorso incidentale va dunque respinto.

Va ora esaminato il ricorso principale.

Con il primo motivo Pa.Ma. denuncia "Violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2056 e 1223 c.c., articoli 115 e 114 c.p.c., - Vizio della motivazione per insufficienza e contraddittorieta' - articolo 460 c.p.c., nn. 3 e 5" esponendo censure da sintetizzare nel modo seguente.

La Corte Territoriale ha osservato: "Nulla e' dovuto per perdita di guadagno futuro in relazione ad una pretesa incidenza della invalidita' permanente sulla capacita' lavorativa specifica.

Invero, come e' pacifico, il PA. all'epoca del fatto non svolgeva alcuna attivita' lavorativa, ne' possedeva una specifica professionalita' da utilizzare in future occupazioni specifiche".

Il giudizio contiene un grave errore perche' di fronte ad un giovane di (OMESSO) anni in attesa di prima occupazione con una invalidita' del 65% non poteva essere negata l'incidenza sulla capacita' lavorativa specifica. Diversamente opinando si dovrebbe escludere il sussistere di danno patrimoniale pur in presenza di fatti che riducono la capacita' di produrre reddito e di produrre guadagno.

Era stato provato, (fatti peraltro non contestati):

- che il ricorrente ha avuto il congedo militare in data 01.03.1989;

- che il sx si e' verificato l'11.06.1989 e quindi dopo tre mesi;

- che nel periodo tra l'01.12.1993 e l'01.02.1999 aveva percepito un sussidio di lire 395.000 mensili da pane della Prefettura;

- che per gli anni 1999-2000-2001 aveva percepito una minima retribuzione della Piccola Coop.va Sociale JE. JU. A.R.L.;

- che in data 28.06.2002 era stato assunto dalla CONTROLPOL quale invalido civile nel 4 livello del Contratto Collettivo categoria vigilanza Notturna.

Sussisteva, dunque, la prova presuntiva che il PA. , ove l'incidente non si fosse verificato, avrebbe, entro un brevissimo termine dal congedo militare (indicato in atti in sei mesi) e quindi entro il Settembre 1989, iniziato una confacente attivita' lavorativa quanto meno riconducibile alla categoria OPERAIO.

Il motivo e' fondato, e va quindi accolto.

La Corte d'Appello ha evidentemente (pur se implicitamente) basato la sua decisione sulla necessita' di una prova rigorosa e specifica della riduzione della capacita' lavorativa specifica.

Tale tesi (nelle fattispecie come quella in questione) deve ritenersi giuridicamente errata.

Occorre precisare che con riferimento alla liquidazione del danno patrimoniale futuro di soggetti non ancora produttivi di reddito a causa della giovane (o giovanissima) eta' sussistono in dottrina e giurisprudenza opinioni non sempre coincidenti.

Certamente e' indubbia la validita' generate (e quindi anche nelle fattispecie come quella in esame) del principio dell'onere della prova (articolo 2697 c.c.) e del principio secondo cui (ex articolo 1226 c.c.) e' consentita la liquidazione equitativa del danno solo se il quest'ultimo e' provato (o non e' contestato) nella sua esistenza e non dimostrabile, se non con grande difficolta', nel suo preciso ammontare (cfr. su quest'ultimo punto, tra le altre Cass. sent. 12545 del 08/07/2004).

Pero' il modo con cui tali due principi sono stati applicati ha talora condotto a rendere in sostanza la liquidabilita' del danno in questione meramente teorica ma non concretamente realizzabile in pratica.

E' in realta' ovvio che e' (quasi) sempre impossibile dare la prova rigorosa, precisa ed incontestabile di un danno in questione (e cio' e' stato giustamente affermato da molto tempo da parte della giurisprudenza, cfr. tra le tante: Cass. Sentenza n. 495 del 20/01/1987: "Per la risarcibilita' del danno patrimoniale futuro e' sufficiente la prova che il danno si produrra' secondo una ragionevole e fondata attendibilita', non potendosene pretendere l'assoluta certezza") infatti, persino se il danneggiato produceva un reddito al momento dei sinistro, l'evoluzione successiva della sua capacita' di produrlo (ovviamente nell'eventualita' che il sinistro medesimo non si fosse verificato) puo' essere oggetto solo di un giudizio prognostico meramente probabilistico (potrebbe infatti persino accadere che in concreto tale capacita' venga successivamente a mancare) basato su presunzioni; la piu' importante e basilare delle quali e' certamente costituita dall'entita' del reddito gia' prodotto.

E' palese che tale impossibilita' e' ancora piu' evidente nell'ipotesi di danneggiato che al momento del sinistro non produceva reddito, in quanto in tal caso viene meno pure quell'elemento presuntivo che e' costituito dall'entita' del reddito gia' prodotto.

Cio' non significa pero' che tale danneggiato debba sempre e comunque restare privato (applicando un errato "rigore" interpretativo che porterebbe in concreto ad escludere sempre la liquidabilita' in questione) del risarcimento del danno patrimoniale; che ben puo' essere liquidato invece in base ad una corretta interpretazione della normativa in questione (in particolare in tema di presunzioni).

Va precisato a questo punto che e' nell'ordine naturale delle cose che un soggetto ancora in eta' scolastica, qualora non abbia particolari deficienze, in futuro produrra' un reddito.

Si potra' discutere in ordine all'entita' di tale presumibile reddito futuro in relazione agli elementi prognostici offerti, con riferimento allo specifico soggetto in questione, dalle risultanze processuali della particolare causa di cui si tratta (cfr. tra le altre: Cass. SENT. 23298 DEL 14/12/2004: "Quando un minore, non svolgente attivita' lavorativa, subisca, in conseguenza di un sinistro stradale, lesioni personali con postumi permanenti incidenti sulla specifica capacita' lavorativa futura, il relativo danno da risarcire consistente nel minar guadagno che il minore percepira' rispetto a quello che avrebbe, percepito se la sua capacita' lavorativa non fosse stata menomata - puo' esser determinato dal giudice in base al tipo di attivita' che presumibilmente il minore esercitero', secondo criteri probabilistici, lenendo conto degli studi intrapresi e delle inclinazioni manifestate dal minore, nonche' della posizione economico - sociale della famiglia. Ove il giudice di merito non ritenga di avvalersi di tale prova presuntiva, puo' ricorrere, in via equitativa, al criterio del triplo della pensione sociale. La scelta tra l'ima o l'altro, di merito, e' insindacabile in sede di legittimita', se congruamente motivata"); ma (salvo che sussistano concreti elementi di convincimento in senso contrario) deve considerarsi come evento normale e prevedibile la produzione di un qualche reddito e non la non produzione del medesimo (come e' stato ribadito da questa Corte Suprema: "In tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell'infortunio per non avere il soggetto leso ancora raggiunta l'eta' lavorativa puo' escludere il danno da invalidita' temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidita' permanente che proiettandosi per il futuro verra' ad incidere sulla capacita' di guadagno della vittima, al momento in cui questa iniziera' una attivita' remunerata. Tale danno puo' anche liquidarsi in via equitativa tenendo presente l'eta' dell'infortunato, il suo ambiente sociale e la sua vita di relazione" Cass. Sez. 3 , Sentenza n. 3539 del 15/04/1996, con riferimento ai danni consistenti in spese future di cura ed assistenza, cfr. anche Cass. Sentenza n. 752 del 21/01/2002).

In conclusione (nei solco di un ormai consolidato filone interpretativo) va enunciato il seguente principio di diritto: "In tema di risarcimento di danno patrimoniale subito da una persona minore o comunque in eta' giovanile, qualora sia accertata non una "micropermanente" ma una percentuale superiore di invalidita' permanente, la mera circostanza che il soggetto danneggiato, all'epoca dell'incidente, non avesse una specifica capacita' professionale e non svolgesse attivita' lavorativa non autorizza ad escludere un danno futuro solo sulla base di cio' e senza ulteriori indagini. Al contrario il Giudice, con giudizio prognostico fondato su basi probabilistiche, deve valutare se ed in che misura i postumi permanenti ridurranno la futura capacita' di guadagno di detta persona, tenendo conto in primo luogo della percentuale di invalidita' medicalmente accertata, della natura e qualita' dei postumi stessi, dell'orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attivita' redditizia, degli studi da lui portati a termine, dell'educazione ricevuta dalla famiglia nonche' delle presumibili opportunita' di lavoro che si presenteranno al danneggiato anche in relazione al prevedibile futuro mercato del lavoro; ed in secondo luogo della posizione sociale ed economica di quest'ultima; nonche' di ogni altra circostanza rilevante (ferma restando fa possibilita' per colui che e' chiamato a rispondere di delle lesioni di dimostrare che il minore, dal quel particolare tipo di invalidita', non risentira' alcun danno o risentira' danni minori rispetto a quelli prospettati). In assenza di riscontri concreti dai quali desumere gli elementi suddetti, (e, percio', in mancanza della possibilita' di ricorrere alla prova presuntiva), la liquidazione potra' avvenire attraverso il ricorso al triplo della pensione sociale. La scelta tra l'uno o l'altro tipo di liquidazione costituisce un giudizio tipicamente di merito ed e', pertanto, insindacabile in sede di legittimita' se congruamente motivata, (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 24331 del 30/09/2008, e Cass. Sentenza n 26081 del 30/11/2005).

Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente principale denuncia "1 Violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1226, 2043, 2056 c.c. - Motivazione insufficiente e contraddittoria - articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5. 3 Violazione dell'articolo 132 c.p.c., in relazione agli articoli 1223, 1226, 2043 e 2056 c.c.. - Motivazione apparente e perplessa - articolo 360 c.p.c., n. 4) esponendo doglianze da sintetizzare come segue, La Corte Territoriale ha determinato il danno complessivo attualizzato alla pronuncia (28.09.2004) in euro 504.100,00, (pag. 10 della sentenza) ed ha quindi ritenuto:

"Su detta somma non compete la rivalutazione monetaria, essendo stata liquidata con riferimento all'attualita'. Sono dovuti, invece, gli interessi dal fatto. Questi possono essere calcolati forfettariamente. Tenuto conto che essi sarebbero spettati sulle somme, via via rivalutate, nell'arco di tempo dal 1989 ad oggi e che il tasso legale nello stesso tempo ha avuto misure diverse (10%, 5%, 3,5%, 2,5%), stimasi equo liquidare la somma di euro 50.000,00, cosi che la somma complessiva viene ad ammontare ad euro 554.100,00" (riducendo, poi l'importo a 50% per l'accertato concorso di colpa). Il giudizio sulla determinazione degli interessi e palesemente viziato, perche' non corrispondente alla natura e all'entita' del danno, perche' non correlato con le premesse di fatto accertate dallo stesso Giudice ed infine perche' carente nella individuazione del percorso logico argomentativo utilizzato.

Il motivo e' fondato. Infatti, specialmente se si considera la determinatezza e la lunghezza "dell'arco di tempo ..." suddetto e l'entita' dei tassi nonche' delle somme in questione appare impossibile capire: - A) perche' sulla base delle premesse esposte il Giudice ha deciso di ricorrere ad una valutazione equitativa; - B) attraverso quale percorso logico e' pervenuto a "... liquidare la somma di euro 50.000,00...".

La sussistenza di tali vizi logici (entrambi esplicitamente od implicitamente denunciati) comporta l'insufficienza della motivazione; e' cio' assorbe le altre censure.

L'impugnata decisione va dunque cassata in relazione all'accoglimento del ricorso incidentale; e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

A detto Giudice del rinvio va rimessa anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte:

Riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; rinviata causa, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.