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danni da demansionamento del lavoratore - Le somme percepite non son imponibili

Risarcimento dei danni da demansionamento del lavoratore - Le somme percepite non son imponibili - non sono assoggettabili a tributo l'indennita' corrisposta dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche spese dal lavoratore oltre l'orario massimo di lavoro da lui esigibile. (Corte di Cassazione Sezione Tributaria Civile Sentenza del 19 marzo 2010, n. 6754)

Risarcimento dei danni da demansionamento del lavoratore - Le somme percepite non son imponibili - on sono assoggettabili a tributo l'indennita' corrisposta dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche spese dal lavoratore oltre l'orario massimo di lavoro da lui esigibile.
(Corte di Cassazione Sezione Tributaria Civile Sentenza del 19 marzo 2010, n. 6754)

Corte di Cassazione Sezione Tributaria Civile Sentenza del 19 marzo 2010, n. 6754


RILEVATO IN FATTO

1.1 - Le. Ma. Jo. proponeva ricorso avverso il silenzio - rigetto formatosi in ordine alla domanda di rimborso della somma di lire 124.087.500, versata a titolo di ritenuta fiscale sulla somma corrispostagli dall' Ag. S.p.a., in virtu' di conciliazione della controversia da lui intrapresa, in qualita' di dirigente, in tema di demansionamento.

1.2 - La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l'appello del Le. avverso la decisione di primo grado con cui era stato rigettato il proprio ricorso, essenzialmente fondato sulla natura risarcitoria delle somme corrispostegli.

1.3 - Veniva in particolare evidenziato che la clausola con la quale l'azienda si impegnava a "corrispondere al lavoratore la somma di lire 375.000.000, all'esclusivo fine di risarcirgli il danno da demansionamento", avrebbe avuto finalita' elusive, in quanto il suo contenuto sarebbe stato eliso dal riconoscimento, da parte dell'appellante, "della effettiva impossibilita' per l'Azienda Ag. S.p.a. di assegnargli, al momento del recesso, mansioni equivalenti a quelle originarie".

Richiamati gli articoli 51 (gia' 48) e 17 (gia' 16) del nuovo TUIR, si osservava, quindi, che le somme corrisposte attenevano ad indennita' "conseguite a titolo di risarcimento danni consistenti nella perdita di reddito", e, pertanto, dovevano essere assoggettate a tassazione, come, del resto, desumibile dal comportamento dell'azienda, che - cosi' denunciando la volonta' di assecondare meramente il lavoratore - aveva tuttavia versato, quale sostituto d'imposta, la ritenuta fiscale.

1.4 - Ha proposto ricorso per cassazione il Le. , sorretto da cinque motivi. Si sono costituiti il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate, deducendo l'infondatezza del ricorso e interponendo ricorso in via incidentale, sorretto da unico motivo.

La difesa del ricorrente ha prodotto memoria ex articolo 378 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 - Deve procedersi alla riunione dei ricorsi, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione.

2.2 - Sempre in via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita', per difetto di legittimazione, dei ricorsi proposti sia nei confronti sia, in via incidentale, dal Ministero dell'economia e delle finanze, che non e' stato parte del giudizio d'appello, instaurato nei confronti della sola Agenzia delle entrate, nella sua articolazione periferica, dopo la data del 1 gennaio 2001, con implicita estromissione dell'ufficio periferico del Ministero (Cass., Sez. Un., n. 3166 del 2006).

Il rilievo ufficioso dell'inammissibilita' e la reciproca giustificano l'integrale compensazione - in parte qua - delle spese processuali.

2.3 - Sempre in via preliminare, deve essere esaminata la questione, proposta col ricorso incidentale - sostanzialmente, anche se non esplicitamente - condizionato, dell'inammissibilita' di quello principale. Invero le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio, poi prevalentemente applicato, secondo cui "qualora la parte, interamente vittoriosa nel merito, abbia proposto ricorso incidentale condizionato avverso una statuizione a lei sfavorevole, relativa ad una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, rilevabile d'ufficio, la Corte di Cassazione deve esaminare e decidere con priorita' tale ricorso, senza tenere conto della sua subordinazione all'accoglimento del ricorso principale, dal momento che l'interesse al ricorso sorge per il fatto stesso che il ricorrente incidentale e' soccombente sulla questione pregiudiziale o preliminare decisa in senso sfavorevole, che la vittoria conseguita sul merito e' resa incerta dalla proposizione del ricorso principale e non dalla sua eventuale fondatezza e che le regole processuali sull'ordine logico delle questioni da definire - applicabile anche al giudizio di legittimita' (articolo 380 c.p.c., comma 2, articolo 141 disp. att. c.p.c., comma 1) - non subiscono deroga di sollecitazione delle parti" (Cass., Sez. Un., 23 maggio 2001, n. 212; Cass. 9 settembre 2004, n. 18169; Cass. 28 ottobre 2005, n. 21083; Cass., 29 aprile 2006, n. 10042; Cass. 15 gennaio 2007, n. 653; Cass. 2 luglio 2007, n. 14978).

Tanto premesso, l'eccezione, esplicitamente prospettata senza aver esaminato gli atti e i documenti di causa, con la quale si deduce violazione del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 18, in quanto dovrebbe ritenersi che il ricorso introduttivo e il successivo atto di appello siano stati indirizzati all'Agenzia per le Entrate presso la sede di Roma, non puo' essere accolta, in quanto priva di qualsiasi riscontro nelle risultanze processuali (esaminate dalla Corte in considerazione della natura procedurale del vizio denunciato), dalle quali si evince come, nei precedenti gradi di merito, i ricorsi siano stati notificati alle competenti sedi periferiche.

2.4 - Per ragioni di priorita' logico-giuridica vanno in primo luogo esaminati il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, con i quali si denuncia, rispettivamente, violazione dell'articolo 2909 c.c., e articoli 112 e 115 c.p.c., nel senso che vi sarebbe stata violazione del giudicato interno (per non aver la sentenza di primo grado rilevato la natura "elusiva" del verbale di conciliazione), e perche' nessuna domanda di simulazione relativa era stata formulata dall'amministrazione finanziaria, rimasta contumace. Le due censure, tra loro intimamente connesse, non possono essere condivise.

Va in primo luogo considerato che, secondo un orientamento consolidato, puo' formare oggetto di giudicato interno, in conseguenza della mancata impugnazione ad opera della parte interessata, solo una questione suscettibile di autonoma e specifica (ancorche', eventualmente, implicita) decisione a opera del giudice. Non si da, invece, potenziale giudicato, ne' quindi sussiste un onere della parte interessata di proporre impugnazione al riguardo, in relazione ad argomentazioni che il giudice adopera nella sentenza solo per chiarire l'iter logico della propria motivazione, ma che non si traducono in un accertamento isolabile dal contesto della argomentazione stessa, logicamente indispensabile per sorreggere la decisione vertente su una questione diversa (Cass., 2 aprile 2007, n. 8215). Nel caso di specie, poiche' la sentenza di primo grado, come sostiene lo stesso ricorrente, non ha approfondito il tema della natura della somma corrisposta dalla S.p.a. Ag. , ritenendola genericamente risarcitoria, per attribuire a tale pronuncia un significato ulteriore, nel senso di un danno non relativo al ristoro delle somme non percepite in conseguenza del comportamento dell'azienda, vale a dire non patrimoniale, dovrebbe ricorrersi a una vera e propria forzatura.

D'altra parte, il denunciato vizio di ultra-petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli - come risulta essersi verificato nel caso scrutinato - e' libero di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti dedotti in giudizio ed all'azione esercitata, purche' non pervenga ad una non consentita immutazione dei fatti prospettati dalle parti (Cass., 19 giugno 2009, n. 14468, proprio in tema di simulazione).

2.5 - Risultano, al contrario, fondati il primo, il quarto ed il quinto motivo, che, in quanto intimamente collegati, possono essere esaminati congiuntamente.

Con essi sono stati denunciati sia vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, sia violazione e falsa applicazione dell'articolo 1362 c.c., nonche' del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articoli 1, 6, 17 e 51, (T.U.I.R.), in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Ai fini di un corretto inquadramento normativo della fattispecie, va sottolineato che la giurisprudenza di questa Corte e' ferma nel ritenere che in tema di imposte sui redditi, in base al dettato del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 6, comma 2, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio possono costituire reddito imponibile, ma solo quando abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (Cass., 9 dicembre 2008, n. 28887; Cass., 21 maggio 2007, n. 11682; Cass., 21 giugno 2002, n. 9111).

Ne consegue che, ad esempio, non sono assoggettabili a tributo l'indennita' corrisposta dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche spese dal lavoratore oltre l'orario massimo di lavoro da lui esigibile.

La Commissione tributaria regionale, contraddicendo il tenore del verbale di conciliazione, nel quale si fa riferimento al ristoro del danno di demansionamento, ha affermato, cosi' violando i criteri ermeneutica stabiliti dall'articolo 1362 c.c., che la clausola sarebbe stata inserita soltanto per assecondare il lavoratore, ma non ha fornito una spiegazione adeguata delle ragioni in base alle quali si sarebbe trattato, in ogni caso, della reintegrazione di un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi. D'altra parte, la circostanza relativa all'ammissione, da parte del lavoratore, che sussisteva effettiva impossibilita', al momento del recesso, di assegnargli mansioni equivalenti a quelle originarie, non puo' assumere una valenza retroattiva, tale da colorare la natura del danno per il periodo anteriore al recesso.

Si impone, pertanto, la cassazione della decisione impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad atra sezione della CTR, che procedera' ad un accertamento piu' approfondito, inteso - tenuto conto dei suindicati limiti in materia di tassabilita' delle somme corrisposte a titolo di risarcimento, provvedere, sulla base della comune intenzione delle parti, desumibile non solo dal verbale di conciliazione, ma anche dal loro complessivo comportamento - a stabilire se, ovvero in quale misura, la somma percepita dal Le. sia stata corrisposta o meno a titolo di ristoro di un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi.

Il giudice del rinvio provvedera', altresi', alla regolazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, nonche' dallo stesso in via incidentale, compensando le relative spese. Accoglie il primo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, che rigetta nel resto, e dichiara inammissibile il ricorso incidentale dell'Agenzia. Cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.