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Divieto di conflitto di interessi – Art. 37 c.d.f. – Ratio – Fattispecie - Consiglio Nazionale Forense, decisione n. 48 del 20 aprile 2011

Divieto di conflitto di interessi – Art. 37 c.d.f. – Ratio – Fattispecie - Consiglio Nazionale Forense, decisione n. 48 del 20 aprile 2011

Affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall’art. 37 c.d.f., non solo deve essere chiara la terzietà dell’avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell’id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell’uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico.
La ratio sottesa all’art. 37 c.d.f. è diretta ad assicurare che il mandato professionale debba essere svolto in assoluta libertà ed indipendenza da ogni vincolo e, nel contempo, a garantire che il rapporto fiduciario che deve sussistere tra il cliente e l’avvocato, con il correlativo vincolo di riservatezza, che concerne le notizie apprese dal cliente, non possa essere in alcun modo incrinato, o posto in dubbio, dai successivi incarichi professionali assunti dal professionista.
Affinché la condotta dell’avvocato resti immune da censure deontologiche, non è sufficiente che il professionista affermi, dichiari o comunichi alle parti la sussistenza della situazione di incompatibilità per essere stato avvocato di entrambe, ma occorre altresì che egli ponga in essere tutte le cautele necessarie perché queste dichiarazioni non solo siano veritiere, ma appaiano in concreto tali da far apparire l’assoluta terzietà dell’avvocato al di sopra di ogni dubbio o ipotesi. (Nella specie, alla dichiarazione formale con la quale il professionista comunicava ai due suoi clienti in contrapposizione che non avrebbe tutelato alcuno dei due, era seguito un comportamento che aveva dato luogo a situazioni di fatto, concludenti ed oggettive, in evidente contrasto con la posizione solo formalmente assunta). (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Casale Monferrato, 25 settembre 2008).

Consiglio Nazionale Forense, decisione n. 48 del 20 aprile 2011