Skip to main content

strumento della posta elettronica certificata – utilizzabilità nel processo penale

strumento della posta elettronica certificata – utilizzabilità nel processo penale - onere accertativo difensore istante Corte di Cassazione, Sez. 5   sentenza num. 10334 ud. 24/01/2019 – deposito 8.3.2019, commento a cura dell’Avv. Marta Cigna.

Fatto. La Corte d’appello, in parziale riforma della decisione del Tribunale diminuiva la pena e confermava nel resto la condanna di un soggetto ritenuto colpevole del reato di furto aggravato commesso all'interno di esercizio commerciale con violenza sulle cose per avere danneggiato il dispositivo antitaccheggi.

Il difensore proponeva ricorso per Cassazione lamentando, tra gli altri motivi, la violazione dell’art. 420 ter c.p.p. per non avere la Corte d’appello rinviato l’udienza alla quale il difensore non si presentava avendo depositato, tramite posta elettronica certificata, atto di adesione all’astensione prevista per quella data e legittimamente proclamata.

Il difensore rilevava, altresì, vizio di motivazione per non aver la Corte d’Appello argomentato in alcun modo sulla richiesta di applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. dedotta nei motivi aggiunti all’appello depositati, anche questi, tramite posta elettronica certificata.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato.

Diritto. In motivazione la Suprema Corte ha illustrato le argomentazioni dei due opposti orientamenti interpretativi esistenti in merito all’ammissibilità dell’uso dello strumento della posta elettronica certificata tra privati nell’ambito del processo penale. Secondo un primo orientamento, il deposito del legittimo impedimento del difensore di fiducia nel procedimento penale tramite pec non sarebbe mai ammissibile in quanto in contrasto con l’art. t. 16 comma 4, d.l. n. 179 del 2012 ,  conv. In I. n. 221 del 2012. Questa tesi aderisce ad una interpretazione strettamente letterale del dato normativo in base alla quale deve ritenersi che il legislatore abbia inteso limitare nel processo penale l’uso della posta elettronica certificata alle sole cancellerie.

Secondo altro opposto orientamento, invece, illustrato dalla Corte, il deposito tramite pec è assimilabile a quello che avviene tramite fax in quanto entrambi strumenti di comunicazione informale. Può, quindi, applicarsi estensivamente allo strumento della pec lo stesso principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in merito all’uso del fax. Secondo questa giurisprudenza di legittimità l'istanza di rinvio depositata tramite fax non è irricevibile, nè inammissibile. Grava, però, sull’istante l'onere di accertarsi del regolare arrivo dell'atto e della sua tempestiva sottoposizione alla attenzione del giudice procedente (il quale, è tenuto, in tale evenienza, a valutarlo), ove intenda far valere, in sede di impugnazione, la omessa valutazione della istanza.

In questi termini la Corte di Cassazione ha ritenuto di rigettare il ricorso, posto che, nel caso in esame, il difensore non si era accertato che l’istanza inviata via pec fosse stata effettivamente sottoposta all’attenzione dei giudici di merito e ciò, anche se la modalità di deposito via pec dell’adesione alla astensione era stata espressamente prevista dal Protocollo siglato tra Corte D’Appello e Ordine degli avvocati di quel distretto. Trattasi di modalità che, ha ritenuto la Suprema Corte, pure ritenuta ammissibile, non esaurisce l'onere accertativo del difensore istante. Onere a cui, nel caso in questione, il difensore non ottemperava e , infatti, l’istanza non veniva mai visionata dai giudici, come riscontrato dal fatto che della stessa non ve ne fosse traccia nel fascicolo, né se ne faceva cenno nel verbale di udienza.

Nello stesso senso la Suprema Corte ha deciso circa la richiesta di applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. poiché anche relativamente al deposito tramite pec dei motivi aggiunti di appello, il difensore non si era preoccupato di verificare che fossero effettivamente pervenuti dinanzi all’attenzione della Corte che infatti, per questo, non si era espressa sul punto. La doglianza  avente ad oggetto il mancato riconoscimento della causa di non punibilità in questione è stata, pertanto, ritenuta inammissibile perché non ritualmente sollevata nei motivi di appello, riprendendo, in questo senso l’orientamento maggioritario avallato dalle SSUU secondo il quale la rilevabilità di ufficio nel giudizio di legittimità della causa di esclusione della punibilità è vincolata, in caso di ammissibilità del ricorso, all'obbligo di applicazione della lex mitior sopravvenuta, presupponendo, dunque, che la sentenza impugnata sia anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28.