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inammissibilità del ricorso per cassazione – manifesta infondatezza

impugnazioni - inammissibilità - in genere - inammissibilità del ricorso per cassazione – manifesta infondatezza – valutazione – indicazioni, Sentenza n. 19411 ud. 12/03/2019 - deposito del 08/05/2019, commento a cura dell’Avv. Marta Cigna.

Fatto. La Corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado per il reato di appropriazione indebita, rideterminava la pena in termini più favorevoli per l’imputato riconoscendo le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alla circostanza aggravante concorrente, e confermava nel resto la sentenza di prime cure.

L’imputato proponeva, tramite suo difensore, ricorso per otto motivi, tutti inerenti all’affermazione di responsabilità e tutti considerati inammissibili dalla Suprema Corte: alcuni perché formulati per la prima volta dinanzi al giudizio di Cassazione, altri perché reiterativi di doglianze già esaminate e correttamente non accolte dalla Corte di appello, ed altri ancora perché manifestamente infondati.

La S.C. nella parte in diritto in premessa ha ribadito in maniera esaustiva ed organica i confini che delimitano e definiscono il sindacato di legittimità ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., in base ai quali il giudice di legittimità ha il compito di accertare:

- la decisività del materiale probatorio richiamato, che deve essere tale da disarticolare l'intero ragionamento del giudicante o da determinare una complessiva incongruità della motivazione;

-l'esistenza di una radicale incompatibilità con l'iter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto;

-la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del c.d. <travisamento del fatto>, che sussiste qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu oculi ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito.

La S.C. ha precisato, inoltre, che è inammissibile la mera riproduzione di un motivo di appello, senza specifica allegazione di vizio di motivazione (allegazione, questa, onerata dall’obbligo di cui sopra di argomentare la decisività del vizio). Per converso, non possono essere dedotte nel giudizio in Cassazione questioni inerenti a vizi di motivazione non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d'appello. Se fosse altrimenti, si vanificherebbe la ratio dell’impugnazione in Cassazione, esplicitata dall’art. 609 c.p.p., poiché il giudice di legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d'appello, ed, inoltre, poiché non potrebbe propriamente rilevarsi un vizio di motivazione riguardo ad elementi fattuali che in sede di appello non abbiano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdizionale.

La Suprema Corte è tornata a ribadire altresì che il giudice d'appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata.

Inoltre, in presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilità, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare la congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo. In caso di “doppia conforme”, pertanto, il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.

Ancora, la S.C. ha inoltre chiarito i termini di distinzione tra “manifesta infondatezza” dei motivi di ricorso e “mera infondatezza”. Si tratta di un discrimen rilevante soprattutto ai fini della declaratoria della prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza d'appello perché è solo il vizio dell’inammissibilità che, in base al consolidato orientamento, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, quindi, la possibilità di dichiarare cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p. e solo la “manifesta infondatezza” è causa di inammissibilità del ricorso per cassazione.

La S.C. ha, dunque, precisato che il giudice di legittimità, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso, lungi dall'essere chiamato ad una arbitraria delibazione quanto alla infondatezza (mera o manifesta) dei motivi, sia tenuto a valutare:

con riferimento ai motivi che deducano inosservanza od erronea applicazione di leggi, se essi risultino caratterizzati da evidenti errori di diritto nell’interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso, come accade nei casi in cui:

si invochi una norma inesistente nell'ordinamento

si pretenda di disconoscere l’esistenza o il senso assolutamente univoco di una determinata disposizione di legge;

si riproponga una questione già costantemente decisa dal Supremo collegio in senso opposto a quello sostenuto dal ricorrente, senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l'opposta tesi;

con riferimento ai motivi che deducano vizi di motivazione, se essi muovano, in relazione al fatto, allo svolgimento del processo, alla sentenza impugnata, censure o critiche sostanzialmente vuote di significato in quanto manifestamente contrastate dagli atti processuali, come accade, ad esempio, nel caso in cui il motivo di ricorso attribuisca alla motivazione della decisione impugnata un contenuto letterale, logico e critico radicalmente diverso da quello.