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Mancato rispetto delle distanze legali – Apertura di vedute e sporti sull’immobile attiguo – Differenze tra ricostruzione e ristrutturazione – Effetti maggiori in caso di “nuovo organismo” – Caratteri della veduta ex art. 900 c.c. – Luce irregolare - Cort

Distanze legali – Demolizione e ricostruzione di un fabbricato posto a minima distanza da quello attiguo del vicino – Domanda giudiziale di quest’ultimo di arretramento a........ - Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza n. 3043 del 20 febbraio 2020. Commento a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’appello di Roma.

Distanze legali – Demolizione e ricostruzione di un fabbricato posto a minima distanza da quello attiguo del vicino – Domanda giudiziale di quest’ultimo di arretramento a distanza legale della struttura e di eliminazione delle vedute e sporti realizzati da quest’ultimo – Violazione dell’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 e di quella di 5 metri prescritta dal p.r.g. - Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza n. 3043 del 20 febbraio 2020. Commento a cura di Riccardo Redivo, già presidente di sezione della Corte d’appello di Roma.

Fatto. I proprietari di un fabbricato, posto a 60 cm. dallo stabile dei vicini, li convenivano in giudizio, esponendo che questi ultimi avevano demolito l’immobile, ricostruendo un organismo con diversa conformazione che, sia pur in regola con la concessione edilizia,  non aveva rispettato la distanza di 10 metri dal frontistante di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, né quella di 5 metri dal confine di cui al p.r.g., aprendo anche vedute e sporti irregolari e restringendo il sedime di passaggio comune con essi attori.

Convenivano, quindi, i vicini avanti al tribunale competente  per sentirli condannare all’arretramento del loro fabbricato, alla eliminazione delle vedute e degli sporti, al ripristino di un passaggio di sedime comune ed al risarcimento dei danni conseguenti da loro subiti.

IL Tribunale accoglieva le domande e la sentenza veniva impugnata, sia dai convenuti soccombenti, i quali chiedevano il rigetto di ogni pretesa dei convenuti, sia, in via incidentale, anche dagli attori, i quali chiedevano di estendersi la condanna all’arretramento, oltre che al fabbricato aggiunto, anche alla parte di edificio residenziale effettuata in violazione delle distanze.

La Corte d’Appello, accoglieva parzialmente il gravame principale, riducendo il quantum del risarcimento liquidato dal primo giudice e respingendo altresì, perché non provata, la domanda di acquisto per usucapione del diritto di passaggio.

Avverso detta decisione hanno proposto ricorso per cassazione i convenuti, rilevando che il giudice del merito: a) aveva mal applicato la normativa indicata dagli attori, senza tenere conto in concreto che le pareti  non erano antistanti al loro fabbricato, ma poste in posizione divergente; b) aveva erroneamente ritenuto che il nuovo organismo, in senso complessivo, doveva comunque rispettare le distanze vigenti al momento della sostituzione edilizia (senza, peraltro, considerare quale fosse la distanza preesistente e c) aveva violato il disposto di cui all’art. 900 c.c., avendo ritenuto idonea all’inspicere ed al prospicere la soletta di copertura del basso manufatto, pur privo di ringhiera e di protezione. 

Decisione. La Suprema Corte ha parzialmente cassato la sentenza impugnata, respingendo, anzitutto,  i primi due motivi del ricorso.

In relazione al primo motivo ha affermato che: “La frontistanza si verifica nella situazione di edifici che, da bande opposte rispetto alla linea di confine, presentino le rispettive facciate che si fronteggino almeno per un segmento, talchè, supponendo di farle avanzare, in modo lineare e non radiale, come invece previsto ex art. 907 c.c. e, precisamente in linea ortogonale tra i diversi fondi, che si incontrino almeno in quel segmento, per cui, se tale possibilità di fronteggiamento non esiste, non si lede alcuna norma sulle distanze tra le costruzioni” e che, in particolare “la distanza minima di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 ha un valore assoluto, imponendone l’applicazione indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle loro pareti, purchè sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento”

Ha, quindi, concluso che nella specie esiste la possibilità di fronteggiamento, per cui sussiste un’intercapedine.   

Sul secondo motivo la S. Corte ha evidenziato la differenza tra interventi di semplice ristrutturazione (comportante modifiche esclusivamente interne, senza incidenza sulle componenti essenziali, ovvero dei muri perimetrali, delle strutture orizzontali e della copertura) ed opere di ricostruzione (ove l’intervento si traduce  nel ripristino delle dette componenti, senza variazioni dell’ordinaria superficie e delle originarie dimensioni dell’edificio,  nonché senza aumenti di volumetria), “costituendo un aumento di detti elementi una vera e propria “nuova costruzione”, sottoposta alla normativa in tema di distanze vigente al momento dell’esecuzione dell’opera”.

In tal senso cfr. anche Cass. n. 1504/2018, cui peraltro si è attenuto il giudice d’appello nella decisione impugnata.

Il giudice di legittimità ha, invece accolto il terzo motivo di gravame, con il quale la parte ricorrente ha contestato la decisione di merito, nella quale è stato violato il disposto di cui all’art. 900 c.c., ritenendo idonea all’inspicere e al prospicere la soletta di copertura del basso manufatto, pur privo di ringhiera.

Al riguardo la Suprema Corte, ha ritenuto viziata, per contrasto con gli artt. 900, 905 e 907 c.c.,  la sentenza sul punto, per cui “per considerarsi gli estremi di una veduta è necessario che le c.d. inspectio et prospectio in alienum, ovvero la possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza”, precisando che “l’assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio non costituisce elemento decisivo per affermare  che l’opera abbia i caratteri della veduta e del prospetto, anche se essa sia di normale accessibilità e praticabilità da parte del proprietari, mentre la praticabilità può valere ai fini della qualificazione, non come veduta – come ritenuto dal giudice del merito – ma come luce irregolare, in ordine alla quale il vicino ha sempre il diritto di esigere l’adeguamento ai requisiti stabiliti  per le luci”.

Il giudicante ha, quindi cassato la decisione impugnata rinviando la causa ad altro giudice d’appello perché proceda ad un nuovo esame della situazione di fatto, attenendosi ai principi di diritto indicati.