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Risarcimento danni - Svalutazione monetaria

Risarcimento danni - Svalutazione monetaria - Obbligazione di valore - Liquidazione con sentenza definitiva - Conversione in debito di valuta - Conseguenze - Ritardo nell'esecuzione del giudicato - Rivalutazione monetaria del credito liquidato in sentenza - Esclusione - Limiti - Fondamento. Con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un'obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi. Ne consegue che è preclusa l'ulteriore rivalutazione monetaria derivante dall'eventuale ritardo nell'esecuzione del giudicato, valendo, in tale ipotesi, i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta. Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 8507 del 14/04/2011

Risarcimento danni - Svalutazione monetaria - Obbligazione di valore - Liquidazione con sentenza definitiva - Conversione in debito di valuta - Conseguenze - Ritardo nell'esecuzione del giudicato - Rivalutazione monetaria del credito liquidato in sentenza - Esclusione - Limiti - Fondamento. Con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un'obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi. Ne consegue che è preclusa l'ulteriore rivalutazione monetaria derivante dall'eventuale ritardo nell'esecuzione del giudicato, valendo, in tale ipotesi, i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta. Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 8507 del 14/04/2011

Corte di Cassazione, Sez. 2, Sentenza n. 8507 del 14/04/2011

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti atti di citazione del 7-9-1970, 28-10-1970, 3-4-1971 e 3- 3-1976 Mario Va.. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma i fratelli Erberto e Giuseppe Va.., Ai.. Bianca, i figli dell'attore Giovanni Va.., Romolo Va.. jr. e Dino Va.. nella qualità di esercenti la potestà sui rispettivi figli minori (nipoti di Mario Va..) Elvira e Massimo Va.., Priscilla e Paola Va.., Emanuela e Filippo Va.., nonché l'avvocato Livio Le.. quale coesecutore testamentario (con Erberto Va..) e curatore speciale dei predetti figli minori di Giovanni Va.., Romolo Va.. jr. e Dino Va.., e la società La Generale Finanziaria (quale cessionaria delle quote delle azioni delle società del gruppo Va..) chiedendo dichiararsi aperta la successione del conte Va.. Romolo sr, padre dell'attore, deceduto a Roma il 16-12- 1969 dopo aver disposto del proprio ingente il patrimonio con un testamento del 23-7-1965 e con alcuni codicilli di poco successivi, accertarsi la quota di eredità riservata per legge all'esponente, emettersi i provvedimenti conseguenti alla lesione di tale quota che assumeva cagionata dal testatore, accertarsi la natura vincolante del codicillo redatto da quest'ultimo il 24-7-1965, accertarsi l'inesistenza nel suddetto testamento di legati e la conseguente istituzione di Mario Va.. quale erede "ex re certa" relativamente alle disposizioni aventi ad oggetto i beni del "de cuius" situati all'estero, ed accertarsi l'inadempimento al legato di usufrutto fatto dal testatore a Erberto e Giuseppe Va... Riuniti i diversi procedimenti il Tribunale adito con sentenza del 20- 5-1982 rigettava tra l'altro sia la domanda di accertamento in Mario Va.. della qualità di coerede in relazione alla disposizioni riguardanti i beni situati all'estero contenute nei codicilli redatti dal testatore il 25 e il 27-7-1965 sia la domanda di accertamento della nullità della donazione effettuata da Va.. Romolo sr. ai figli Erberto, Giuseppe e Mario Va.. con atto del 29-3-1945; tale sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza del 25-3-1987 poi passata in giudicato.
Il giudizio quindi proseguiva per l'accertamento del valore del patrimonio lasciato da Va.. Romolo sr., delle donazioni effettuate dal medesimo al figlio Mario con atto del 29-3-1945 e dei beni situati all'estero (anche con specifico riferimento allo specifico metodo di valutazione di tali beni indicato dal defunto nel codicillo del 27-7-1965).
Nel corso del giudizio si costituiva la s.r.l. CIPRI quale cessionaria per atto del 15-2-1991 di 1/3 dei diritti ereditari dell'attore, compresi quelli riguardanti i beni situati all'estero oggetto del legato.
A seguito del decesso di Mario Va.. si costituivano i suoi eredi testamentari per proseguire il giudizio.
Il 17-6-1997 si costituivano in giudizio Marcella Manfredi, Va.. Elvira e Gabriella Va.. quali eredi di Va.. Erberto, nelle more deceduto.
Con sentenza non definitiva del 17-10-2000 il Tribunale, per quel che ancora interessa in questa sede, respingeva la domanda di riduzione proposta da Mario Va.. in ragione della verificata insussistenza della asserita lesione della sua quota di riserva e condannava Giuseppe Va.. e gli eredi di Erberto Va.. a pagare agli aventi causa di Mario Va.., a titolo di adempimento del legato di cui ai codicilli del 25 e del 27-7-1965, il controvalore (da accertare nel prosieguo del giudizio) dei beni siti all'estero lasciati dal "de cuius".
Il Tribunale adito successivamente con sentenza definitiva del 7-6- 2002 condannava Giuseppe Va.. e gli eredi di Va.. Erberto a pagare agli aventi causa di Mario Va.., in adempimento del legato dei beni ereditari esistenti all'estero, la somma di Euro 11.334.350,24, di cui Euro 3.778.116,74 alla società CIPRI ed i restanti 2/3 "pro quota" agli eredi di Mario Va.., oltre alla rivalutazione ed agli interessi legali sulle somme rivalutate dal gennaio 1992 al saldo.
Avverso la prima sentenza del Tribunale proponevano gravame la s.r.l. CIPRI e Giovanni Va.. cui resistevano proponendo altresì degli appelli incidentali con separati atti Marcella Manfredi, Gabriella Va.. ed Elvira Va.. (che peraltro avevano impugnato anche in via autonoma la sentenza), Romolo Va.. jr., Giuseppe Va.. e Massimo Va.., Stefano Va.. e Rosalba D'Ambrosio; avverso la seconda sentenza proponevano impugnazione Marcella Manfredi, Gabriella Va.. ed Va.. Elvira cui resistevano con separati atti formulando altresì degli appelli incidentali Giuseppe Va.., Romolo Va.. jr., Giovanni Va.., Massimo Va.., Stefano Va.. e Rosalba D'Ambrosio, Giuseppe Va.. e la società CIPRI. Riuniti i procedimenti, nel corso del giudizio decedevano Va.. Romolo jr., in luogo del quale si costituivano Filippo Va.. ed Emanuela Va.., e Giuseppe Va.., in sostituzione del quale si costituiva Roberto Va...
La Corte di Appello di Roma con sentenza del 13-10-2009, in parziale riforma delle due sentenze appellate, ha dichiarato l'estinzione del processo in relazione agli specifici rapporti processuali menzionati in motivazione ed ha condannato Roberto Va.. quale erede di Giuseppe Va.. e, in ragione delle rispettive quote ereditarie, gli aventi causa di Erberto Va.., a pagare, in adempimento del legato dei beni ereditari esistenti all'estero disposto da Va.. Romolo sr. agli aventi causa di Mario Va.. - ciascuna delle parti obbligate in ragione della metà del totale - la complessiva somma di Euro 7,523.893,44 oltre interessi legali a decorrere dalla pubblicazione della sentenza stessa, suddividendo tali somme secondo le frazioni ed i destinatari già individuati nelle sentenze impugnate.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto separati ricorsi la s.r.l. CIPRI Immobiliare con tre motivi, Massimo Va.. e D'Ambrosio Rosalba Maria, ciascuno in proprio e nella qualità di erede di Mario Va.. ed Elvira Caselli, con due motivi, e Rosalba Maria D'Ambrosio, quale erede di Stefano Va.., con due motivi; al primo ricorso hanno resistito con separati controricorsi Filippo Va.. ed Emanuela Va.., nonché Eivira Va.. e Gabriella Parisi, nella qualità di eredi di Erberto Va.. e di Marcella Manfredi, proponendo altresì un ricorso condizionato articolato in sette motivi; ai primi due ricorsi ha resistito anche Roberto Va.. che ha proposto altresì un ricorso condizionato affidato a sei motivi; Massimo Va.., Rosalba Maria D'Ambrosio, Eivira Va.. e Gabriella Parisi hanno successivamente depositato delle memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.
In relazione poi al fatto che il ricorso proposto da Va.. Massimo e da Rosalba Maria D'Ambrosio è stato notificato prima degli altri ricorsi, deve qualificarsi lo stesso come ricorso principale e gli altri come ricorsi incidentali.
Occorre quindi procedere all'esame del ricorso principale, avvertendo che contestualmente ad esso viene esaminato il ricorso proposto da Rosalba Maria D'Ambrosio quale erede di Stefano Va.., considerato che i due motivi articolati nei due ricorsi sono assolutamente identici.
Tanto premesso, si osserva che con il primo motivo i ricorrenti principali, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1324 - 1362 e segg. c.c. e della disciplina e dei principi a tutela dell'autonomia privata e testamentaria, censurano la sentenza impugnata con riferimento alle esatta determinazione dell'oggetto del legato in favore di Mario Va.. che il testatore aveva posto a carico di Erberto Va.. e di Giuseppe Va.. con i
codicilli del 27-7-1965; essi assumono che in base a questa disposizione Mario Va.. avrebbe dovuto acquisire a tale titolo il controvalore dei beni siti all'estero del "de cuius" maggiorato dei redditi netti maturati nel quinquennio successivo all'apertura delle successione, e che la suddetta maggiorazione avrebbe dovuto essere valutata, per le partecipazioni societarie, capitalizzando al 5% l'utile netto effettivo risultante dal bilancio dell'ultimo anno sociale e, per i beni privi di reddito, come i terreni edificabili, secondo "il loro prezzo di mercato alla data della corresponsione";
orbene, nonostante che la volontà del testatore fosse stata chiaramente espressa senza necessità di integrazione della stessa, il giudice di appello ha ritenuto che l'applicazione dei criteri di valutazione indicati dal "de cuius" presupponesse l'appartenenza a quest'ultimo dei beni da valutare, così escludendo la valutazione di beni di cui Va.. Romolo sr. non risultava formalmente proprietario al momento dell'apertura della successione. I ricorrenti principali poi aggiungono che la Corte territoriale, premesso che l'unico bene all'estero da considerare era costituito dalla società Little Star Trading Establishment S.A. (che deteneva una partecipazione del 29,275% nella società SADAMLUZ a sua volta proprietaria del 49,99% della SADAR, titolare del terreno di Avenida Pueyrredon 2451), ritenuto lecito effettuare la liquidazione del valore della SADAR al dicembre 1974 sulla base del valore effettivo del terreno posseduto, e stimato il patrimonio netto della SUDAMLUZ alla fine dell'anno 1969 in 7.503.767, dovendo valutare il patrimonio netto della Little Star Trading Establishment, ha preso atto della impossibilità di fare riferimento ai valori di bilancio, dal momento che tale società era stata cancellata dal Registro di Commercio di Schaan (Liechtenstein) nel 1977, e non era stato possibile reperire la precedente documentazione societaria ad essa relativa; pertanto, attesa tale grave lacuna, la sentenza impugnata ha ritenuto di poter adottare il parametro costituito dal bilancio dell'anno precedente l'apertura della successione con riferimento all'alternativo sistema di valutazione dell'effettivo valore della partecipazione totalitaria posseduta dal testatore nella società Little Star Trading Establishment.
I ricorrenti principali assumono che tale valutazione si è risolta in una manipolazione della volontà del testatore, laddove invece, data l'impossibilità di calcolare l'entità del patrimonio netto della suddetta società e constatato che essa possedeva soltanto la partecipazione nella SADAMLUZ e che era interamente controllata dal testatore, sarebbe stato legittimo adottare il criterio descritto nel suddetto codicillo e far leva sul metodo della capitalizzazione degli utili della SAOALMUZ, "come se quest'ultima fosse partecipata da Va.. Romolo sr. e non dalla Little Star Trading Establishment". La censura è infondata.
La sentenza impugnata - con riferimento all'obbligo all'adempimento da parte di Erberto Va.. e Giuseppe Va.. del legato in favore di Mario Va.. avente ad oggetto il trasferimento a quest'ultimo, trascorsi cinque anni dall'apertura della successione, del terzo dei beni esistenti all'estero al momento della morte del testatore, da determinare, per quanto concerneva le partecipazioni sociali, capitalizzando al 5% l'utile netto effettivo risultante dal bilancio dell'ultimo anno sociale - premesso che non era possibile dare esecuzione ai criteri di valutazione indicati dal testatore, posto che la Little Star Trading Establishment, società interamente partecipata da Va.. Romolo sr., era stata cancellata dal Registro di Commercio di Schaan (Liechtenstein) nel 1977 e non era più reperibile la precedente documentazione societaria ad essa relativa, e rilevato che la volontà del defunto era quella di assicurare un valore certo in quanto cristallizzato all'epoca di apertura della successione, ha affermato che l'adozione dei suddetti criteri, lungi dal costituire un presupposto vincolante ed imprescindibile, era ispirato dagli intenti perequativi del "de cuius" circa la parità di trattamento tra i tre figli; il giudice di appello, quindi, ha valorizzato il sistema di valutazione del legato suggerito dal C.T.U. consistente nel metodo patrimoniale, desumendo il valore del legato nella misura corrispondente alla quota (ovvero il 29,275 %) di partecipazione della Little Star Trading Establishment nel patrimonio della SADAMLUZ.


Orbene, premesso che con il motivo in esame non viene censurata l'affermazione della sentenza impugnata in ordine alla impossibilità di adottare i criteri indicati dal testatore e della conseguente necessità del ricorso ad altri criteri, si rileva che i ricorrenti principali, contestando il criterio sussidiario utilizzato e suggerendone uno diverso (cioè la capitalizzazione degli utili della SADAMLUZ "come se" quest'ultima fosse stata partecipata da Va.. Romolo sr. e non dalla Little Star trading Establishment), non considerano che essi stessi avevano dedotto in appello che il parametro rilevante per la liquidazione del controvalore delle partecipazioni sociali era costituito dal bilancio dell'anno precedente l'apertura della successione e non di quelli successivi nei quali gli utili avrebbero potuto essere dolosamente ridotti mediante mirate dismissioni patrimoniali.
Ma l'impostazione del motivo in esame è infondata essenzialmente sotto il profilo della denunciata violazione dei canoni codicistici di interpretazione della volontà del testatore; a fronte invero dell'assunto della Corte territoriale secondo cui Va.. Romolo sr. aveva chiaramente manifestato nel codicillo del 27-7-1965 la volontà di fissare i criteri di valutazione dei "propri" beni eventualmente esistenti all'estero al momento della sua morte, in coerenza del resto con il principio che le disposizioni testamentarie (nelle quali rientrano con finalità di integrazione i codicilli) non possono riguardare che i beni di cui lo stesso fosse titolare al momento della morte, i ricorrenti principali, pur non censurando specificatamente tale statuizione, finiscono per invocare una diversa ricostruzione della volontà del "de cuius" sollecitando a tal fine di considerare la SADAMLUZ (ovvero la società partecipata nella misura del 29,275 % dalla Little Star Trading Establishment) "come se" tale società fosse partecipata direttamente dal testatore, così disattendendo l'interpretazione del codicillo suddetto da parte della sentenza impugnata basata essenzialmente su elementi letterali, senza indicare in concreto le regole ermeneutiche disattese dal giudice di appello ne' soprattutto il modo in cui quest'ultimo si sarebbe da esse discostato.
Deve poi rilevarsi che, una volta riconosciuto legittimo il ricorso da parte della Corte territoriale per le ragioni suindicate a dei criteri sussidiari di determinazione dell'importo del predetto legato (considerato che solo l'adozione di tali criteri avrebbe consentito di attribuire un contenuto al legato in questione), rientra poi nelle scelta discrezionale del giudice di merito individuare il criterio in proposito più adeguato, scelta censurabile in questa sede solo sotto profili motivazionali, nella specie neppure dedotti; infine si osserva che la censura in esame, prospettando comunque genericamente l'adozione di un diverso criterio di valutazione dell'importo del legato in questione, non ha neppure specificato se ed in quali termini tale alternativo criterio avrebbe comportato una stima più favorevole per i ricorrenti principali dell'oggetto del lascito, rilievo quest'ultimo che attiene alla sussistenza o meno dell'interesse a proporre il motivo in oggetto.
Con il secondo motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1224 c.c. e delle norme disciplinanti "l'obbligazione pecuniaria di valore", censurano la sentenza impugnata con riferimento alla determinazione del credito complessivo relativo al suddetto legato, costituito dal controvalore del terzo della partecipazione totalitaria di Va.. Romolo sr. nella suddetta società maggiorato degli utili netti conseguiti negli anni 1970-1974 e dal danno da lucro cessante, pari ad Euro 2.507.964,48, oltre gli interessi moratori a decorrere dalla pubblicazione della sentenza impugnata; essi assumono che per i crediti di valore, come quello predetto, la necessità di reintegrare il patrimonio del creditore onde evitare il pregiudizio relativo alla diminuzione del potere di acquisto della moneta si pone con riferimento al periodo intercorrente tra il momento della causazione e quello della liquidazione del danno; orbene tale liquidazione attiene al calcolo della somma di denaro effettivamente dovuta a titolo di risarcimento, considerato che è la stessa natura del credito di valore ad imporre che esso resti tale fino al momento dell'effettiva liquidazione; pertanto erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la decisione di appello ha trasformato il credito di valore in credito di valuta rendendo irreversibile tale trasformazione, così pregiudicando la possibilità, qualora la presente causa dovesse essere rinviata ad altra Corte di Appello a seguito dell'accoglimento del ricorso, di rivalutazione del credito stesso fino alla data della decisione che detta Corte riterrà di assumere.
La censura è infondata.
Il giudice di appello, nell'affermare che il credito di valore relativo al suddetto legato, costituito dal capitale rivalutato all'anno 1974 maggiorato dai redditi conseguiti alla medesima data del 1974, doveva essere determinato alla data di pubblicazione della sentenza di secondo grado, destinata a convenire tale credito di valore in credito di valuta, e che da tale data spettavano gli interessi moratori al tasso legale, si è attenuto al principio secondo cui, dovendo la liquidazione di un debito di valore essere effettuata in valori monetari correnti, per effetto dalla sentenza che decide sulla relativa liquidazione si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi (e non moratori, come invece sostenuto dalla Corte territoriale con un errore emendabile in questa sede che non determina la cassazione della sentenza impugnata, in quanto il dispositivo è comunque conforme al diritto); tale conversione quindi preclude la ulteriore rivalutazione monetaria dell'importo determinato fino al saldo, atteso che, in relazione all'eventuale ritardo della esecuzione del giudicato, valgono i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta (Cass. 8-3-2005 n. 5008).
È poi appena il caso di rilevare l'infondatezza dell'assunto dei ricorrenti principali secondo cui la determinazione del credito in questione alla data della decisione del giudice di secondo grado precluderebbe la rivalutazione di esso in ipotesi di cassazione della sentenza fino al tempo della nuova decisione in sede di rinvio; è infatti evidente che il richiamato principio della conversione del debito di valore in debito di valuta all'atto della sentenza che opera tale determinazione in termini monetari presuppone che tale sentenza sia divenuta definitiva, e che quindi, in ipotesi di cassazione della stessa, il giudice di rinvio sarà investito del potere - dovere di procedere ad una nuova liquidazione di tale importo con riferimento al tempo della decisione.
Pertanto il ricorso principale ed il ricorso di D'Ambrosio Maria Rosalba quale erede di Stefano Va.. devono essere rigettati. Venendo quindi all'esame del ricorso incidentale, si rileva che con il primo motivo la società CIPRI, deducendo vizio di motivazione e/o violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'ari. 360 n. 4 c.p.c. e/o violazione e falsa applicazione degli artt. 556 e 750 c.p.c, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto, conformemente all'assunto del giudice di primo grado, che Va.. Romolo sr. aveva donato ai figli Va.. Mario, Erberto e Giuseppe la nuda proprietà della totalità dei pacchetti azionari di sei società, attuando tale suo intento attraverso l'intestazione nel 1942 ai tre figli del 36% delle azioni mediante il trasferimento delle stesse a mezzo di fissati bollati, e successivamente tramite la donazione ai suddetti figli in parti uguali tra loro del restante 64% dei pacchetti azionari con atto a rogito notaio Angotti del 29-3-1945; in realtà il Tribunale di Roma, dopo che il CTU incaricato nel giudizio di primo grado di valutare la consistenza del patrimonio ereditario per cui è causa aveva fatto riferimento ad una intestazione da parte del testatore in favore dei tre suddetti figli di un numero pari di azioni di sei società immobiliari, aveva qualificato tale atto come donazione in assenza di qualsiasi domanda in proposito, e tale errore era stato confermato dal giudice di appello, avendo posto questi a base iniziale del suo calcolo per verificare la sussistenza o meno della lesione di legittima lamentata da Mario Va.. il valore globale delle sei società di cui i figli del "de cuius"erano risultati titolari, e non solo invece il 64% del loro patrimonio; in ogni caso, anche qualora volesse condividersi la qualificazione giuridica di donazione indiretta accordata alla cessione del 36% delle azioni intervenuta nel 1942, si sarebbe dovuto procedere alla valutazione distinta delle consistenze societarie riferite, ovvero, quanto al 36% del capitale, al 1942 e, quanto al restante 64%, al 1945, e poi procedere alla rivalutazione al 1969, anno del decesso di Va.. Romolo sr.. La censura è infondata.
Anzitutto deve osservarsi che il giudice di appello ha affermato senza censure specifiche in proposito che la realtà delle donazioni (quindi anche di quella effettuata da Va.. Romolo sr. a favore dei figli nel 1942 oltre che di quella operata nel 1945) era stata definitivamente accertata dalla menzionata sentenza della Corte territoriale del 25-3-1987 passata in giudicato, le cui considerazioni, pur non essendo formalmente opponibili alla CIPRI (che non aveva partecipato a quel giudizio), potevano essere integralmente richiamate ai fini della prova della effettività altresì della prima donazione, e della imputabilità del successivo atto di parziale retrocessione dei beni da parte di Mario Va.. a società facente capo al donante ad una scelta autonoma di colui che nelle more ne era divenuto titolare proprio a titolo di donazione; tale assunto ha indotto logicamente il giudice di appello a ritenere che correttamente il CTU aveva tenuto conto, ai fini della determinazione del "donatum", sia della donazione diretta del 1945 sia di quella indiretta dei 1942, le quali valutate unitariamente avevano comportato la cessione gratuita dell'intero capitale sociale delle società donate.
Queste conclusioni non possono essere infirmate dal rilievo della ricorrente incidentale secondo cui non vi sarebbe stata alcuna domanda in ordine alla collazione della prima donazione; infatti la collazione, in presenza di donazioni fatte in vita dal "de cuius", è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l'equilibrio tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del "relictum"e del "donatum" al momento dell'apertura della successione, e quindi finalizzato a il garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota, con la conseguenza che l'obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell'apertura della successione (salva l'espressa dispensa da parte del "de cuius" nei limiti in cui sia valida) e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti (Cass. 1-2-1995 n. 1159;
Cass. 18-7-2005 n. 15131).
Quanto infine ai profilo di censura secondo il quale comunque si sarebbe dovuto procedere ad una valutazione distinta del 36% del donato nel 1942 e del 64% del donato nel 1945, è agevole rilevarne l'infondatezza osservando che entrambi tali valori avrebbero dovuto essere stimati alla data di apertura della successione. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, deducendo vizio di motivazione e/o violazione e falsa applicazione degli artt. 556 e 747 c.c., sostiene che la Corte territoriale, nel confermare la sentenza non definitiva del Tribunale del 17-10-2000 in merito alla insussistenza della lesione della quota di legittima riservata a Mario Va.., ha disatteso le argomentazioni svolte dall'esponente in sede di gravame in ordine alla inesatta quantificazione del "retictum" (con specifico riferimento alla tenuta di Tor Bella Monaca) operata dal CTU nel corso del giudizio di primo grado e recepita pedissequamente dal Tribunale in relazione al metodo di valutazione utilizzato, ossia riferito ai dati catastali, notoriamente inferiori ai prezzi di mercato e, quindi, insuscettibili di rappresentare l'effettivo valore del patrimonio ereditario; in particolare il giudice di appello, limitandosi ad affermare che il CTU aveva correttamente valutato tale patrimonio al 1969, non ha considerato che il Consulente, nel determinare il valore della tenuta di Tor Bella Monaca nella somma di L. 1.793.143.000 facendo riferimento, quale oggetto della stima, ad una cabina elettrica unitamente ad una casa di abitazione ed una casa di campagna, non aveva fatto alcun cenno ai terreni ed alla loro destinazione urbanistica indipendentemente dai fabbricati eretti su di essi. La società CIPRI assume altresì che nel corso del giudizio era stata acquisita agli atti una sentenza del Tribunale di Roma che, decidendo in merito al valore dei terreni espropriati dal Comune di Roma facenti parte proprio della tenuta di Tor Bella Monaca relativamente a 150 ettari degli oltre 600 costituenti la sua complessiva superficie, aveva liquidato in favore degli eredi di Va.. Romolo sr. la somma di Euro 43.38.336,89 in riferimento ad un valore rilevato nel 1980.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata con riferimento alla valutazione dell'asse ereditario di Va.. Romolo sr., nell'ambito del quale ha compreso anche la tenuta di Tor Bella Monaca, ha rilevato che la relativa stima era stata effettuata dal CTU considerando non tanto gli importi esposti nella denuncia di successione, ma i prezzi di mercato vigenti all'epoca della morte del "de cuius", ossia nell'anno 1969, non potendosi tener conto di eventuali successive rivalutazioni dei cespiti per effetto del successivo andamento del mercato immobiliare, in quanto in base all'art. 556 c.c. la valutazione dei beni ai fini della determinazione della legittima deve essere riferita al loro valore al tempo dell'apertura della successione. Pertanto sulla base di tali argomentazioni si osserva da un lato che è infondato l'assunto secondo cui i beni sarebbero stati stimati in base al loro valore catastale, e dall'altro che correttamente sono stati disattese considerazioni delle parti riguardanti il valore dei beni in epoca successiva all'apertura della successione, rilievo che determina l'ininfluenza del profilo di censura relativo al una successiva ben più elevata valutazione della tenuta di Tor Bella Monaca sulla base di una sentenza del Tribunale di Roma relativa all'esproprio tra l'altro solo di una parte di tale immobile il quale comunque, per la sua vasta superficie di oltre 600 ettari, potrebbe essere costituito da aree anche disomogenee tra loro per ubicazione e destinazione e quindi di diverso valore.
Quanto infine al fatto che il CTU non avrebbe considerato i terreni facenti parte della tenuta di Tor Bella Monaca indipendentemente dai fabbricati su di essi eretti, si osserva che la questione sollevata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata nella sentenza impugnata; pertanto la ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l'onere - in realtà non assolto - non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex octis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. Con il terzo motivo la società CIPRI, denunciando vizio di motivazione nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 556 e 750 c.c., censura la sentenza impugnata per aver confermato il convincimento del primo giudice secondo cui, ai fini di stabilire la sussistenza o meno della lesione di legittima di Mario Va.., la donazione dei beni a questi donati con riserva di usufrutto dal "de cuius" doveva essere considerata come donazione in piena proprietà, riferendosi il suo valore al tempo dell'apertura della successione.
La ricorrente incidentale, premesso che tale orientamento dava luogo ad una disparità di trattamento nel caso di una donazione da parte di un testatore ai suoi due figli ad uno di un bene in piena proprietà ed all'altro della nuda proprietà di un altro bene, e richiamato in particolare l'art. 751 c.c. in materia di collazione di denaro che prevede, ai fini del conferimento, il criterio nominalistico proprio delle obbligazioni pecuniarie, assume che tale principio ("estendibile a tutti i casi in cui il valore effettivamente donato non può coincidere in ragione della limitazione oggettiva del diritto stesso"), per cui la valutazione del bene donato deve essere riferita al valore effettivo di quanto uscito dal patrimonio del "de cuius",appare sicuramente preferibile a quello astratto per il quale, in ipotesi di riserva di usufrutto, dovrebbe essere adottato il criterio della valutazione della proprietà piena in ossequio alla norma che fissa il momento della valutazione all'atto dell'apertura della successione, e ciò tanto più nel caso di specie, in cui il donatario pretermesso aveva riceduto i beni al donante, potendosi al più fissarne il valore con riferimento al valore residuo dell'usufrutto al momento della retrocessione.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata, affermando che ai fini dell'accertamento della lesione o meno della quota di legittima spettante a Va.. Mario occorreva determinare il valore delle suddette donazioni disposte in favore di quest'ultimo da Va.. Romolo sr. con riferimento all'epoca di apertura della successione, e quindi avuto riguardo alla piena proprietà dei beni donati per effetto dell'estinzione dell'usufrutto a seguito della morte del donante e per il consolidamento della proprietà in capo al nudo proprietario, ha espresso un principio del tutto condivisibile e conforme all'orientamento già espresso da questa Corte (Cass. 20-12-1973 n. 3452; Cass. 26-11-1986 n. 6979; Cass. 24-7-2008 n. 20387), attesa la lettera e la "ratio" delle norme da cui è stato tratto, le quali impongono che l'accertamento dell'eventuale lesione della legittima sia compiuto con riferimento al momento dell'apertura della successione e tendono ad assicurare agli aventi diritto il conseguimento delle quote di riserva loro spettanti in rapporto all'intero patrimonio del "de cuius"; invero, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, per il rinvio di cui all'art. 564 c.c., u.c. (che disciplina le condizioni per l'esercizio dell'azione di riduzione), il valore delle cose donate deve essere determinato con i criteri stabiliti per la collazione, con la conseguente riunione fittizia di tutto quanto disposto a titolo di donazione. Pertanto l'operatività dell'istituto della collazione determina il riferimento, anche con riguardo all'accertamento della lesione della quota di legittima, al tempo dell'apertura della successione secondo le disposizioni dell'art. 747 e segg. c.c., criterio coerente logicamente con la considerazione che solo a tale momento è possibile stabilire il valore dell'intera massa ereditaria (nell'ambito della quale devono essere conferite anche le donazioni effettuate ai legittimar) ed accertare in riferimento a tale valore la lesione o meno della legittima.
La CIPRI al riguardo, pur riconoscendo l'applicabilità dell'art. 747 e segg. c.c. (e segnatamente dell'art. 750 c.c. relativo alla collazione dei mobili, considerato che nella specie la donazione aveva ad oggetto quote societarie) contraddittoriamente richiama l'art. 751 c.c. (che prevede il principio nominalistico per la collazione del denaro onde consentire anche ai coeredi non donatari di conseguire delle quote composte in parte da denaro) senza peraltro illustrare le ragioni della sua invocata operatività nella fattispecie.
Con riferimento infine al rilievo per il quale, avendo Va.. Mario riceduto i beni donati al donante, occorreva fissarne semmai il valore residuo dell'usufrutto al momento della retrocessione, è appena il caso di aggiungere che la successiva alienazione del bene donato da parte del donatario, quali ne siano le ragioni, è vicenda evidentemente estranea al principio della necessità della collazione delle donazioni effettuate dal "de cuius" in favore dei legittimar' ai fini dell'accertamento della lesione della quota di legittima, come è confermato espressamente dall'art. 746 c.c., comma 2 che prevede, in caso di alienazione dell'immobile donato, la sua collazione per imputazione.
Pertanto anche il ricorso incidentale della CIPRI deve essere rigettato.
All'esito del rigetto dei suddetti ricorsi entrambi i ricorsi incidentali condizionati restano assorbiti.
Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità ed alla complessità di parte delle questioni esaminate, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.
LA CORTE
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale di Va.. Massimo e di Rosalba Maria D'Ambrosio in proprio e nella quella qualità di eredi di Mario Va.. e di Elvira Va.., nonché i ricorsi incidentali di Rosalba Maria D'Ambrosio quale erede di Stefano Va.. e della s.r.l. CIPRI Immobiliare, dichiara assorbiti i ricorsi incidentali condizionati di Va.. Elvira e Gabriella Parisi e di Roberto Va.., e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2011

 

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